Conti Haroldo

Mascarò

Pubblicato il: 30 Marzo 2021

“A quel punto, ora che erano tutti lì riuniti, il Principe propose di celebrare lo scampato pericolo. Il capitano su d’accordo. La vita è tutta una traversata, si è in viaggio fin dalla nascita, ogni piccolo spiraglio di luce è un avvenimento così raccolto, così breve, come tutto quello che lo segue. Lui aveva incrociato mille volte in quelle acque e ora qual era la rotta?” (pp.78). Così Haroldo Conti nel raccontare le vicissitudini di un gruppo eterogeneo di personaggi fuori del comune, imbarcati verso un “porto che forse non esiste” e, soprattutto, dal quale si può cogliere uno dei temi fondamentali di “Mascarò”: il tema del viaggio, della diversità – il “Principe” è tutto all’infuori che un vero principe – e quindi della voglia di libertà.

Una libertà che si traduce in una scrittura che, giustamente, è stata definita procedere a “briglia sciolta”, in una virtuosa “baraonda” (pp.103, 114) di paesaggi e descrizioni divertite di persone in perenne via di trasformazione. Trasformazione da intendersi anche come abbandono delle identità precedenti. Si pensi alla signora Maruca Lopez, vedova Esteve, sedotta dall’appassionato Patagon: si unirà alla sua compagnia per poi diventare la veggente Sonia, nonché danzatrice orientale sempre più grassa, più attraente e altrettanto in perenne ringiovanimento.

Difatti il romanzo prende le mosse proprio in un luogo significativo: la locanda vicina ad un porto, in attesa che la Mañana, una vecchia nave malmessa, salpi per poi condurre Oreste e altri strani passeggeri verso Palmares; che sarà soltanto la prima tappa verso nuove vite tutte da inventare. A “indicare la via” sarà appunto l’eccentrico Principe Patagon, già poeta, attore, mago e indovino certificato, alchimista, “praticamente imperatore”, adesso ben intenzionato ad accaparrarsi sul suo cammino gli artisti, o per meglio dire gli aspiranti artisti più stravaganti, guitti e girovaghi, i più adatti per imbastire un circo itinerante; ovvero il Grande Circo dell’Arca.

Un circo che, grazie ai “mirabolanti” numeri di Oreste, Carpoforo, Perinola, Bocca Storta, Sonia, il vecchissimo e stanco leone Budinetto, porterà negli stupefatti spettatori, in ogni luogo si diriga – per lo più paesini poveri e sperduti, lontani da ogni grande centro abitato – meraviglia, ammirazione e voglia di riscatto. Il tema della ribellione – non a caso dopo “Il Circo” la seconda parte del romanzo è denominata “La guerriglia” – si incarna nel pistolero Joselito Bembè detto Mascarò, personaggio, oltre che misterioso, a rigore secondario, con poco spazio nelle vicende di Patagon e dei suoi. Per un finale in cui compare l’autorità repressiva del potere, con tanto di arresti e torture. Elemento che sembra quasi un triste presentimento se solo pensiamo alla tragica fine di Haroldo Conti, desaparecido, vittima della dittatura di Videla. Un finale in cui, dopo tanto patire, ancora una volta ricompare prepotentemente il tema della libertà, della vita libera, tutta da inventare giorno per giorno; questa volta nelle vesti di Oreste, come fosse diventato l’erede del Principe.

Comunque sia, al di là di tutte le considerazioni che investono le motivazioni, le finalità del romanzo, quello che davvero potrà sorprendere il lettore, e fargli dire che “Mascarò” è un autentico capolavoro, sta nel procedere narrativo, felicemente intricato, che ci restituisce un mondo surreale e ipnotico, nel contempo fiabesco e tremendamente realistico. È una prosa che viaggia tra metafore, riflessioni pensose che subito si traducono in un umorismo nemmeno troppo sottile. Insomma, una bella “baraonda” in cui si fondono divertimento, stupore e soprattutto malinconia e speranza: “Sollevò il braccio per ringraziare gli immaginari applausi, e scosse il bracciale con le conchiglie. Quel suono delicato produsse la visione del mare con una tale forza che il cuore si mise a battere all’impazzata, i muri sparirono, vide la luce accecante dell’acqua, una sagoma nera che sormontava le onde, e perfino sentì  il vento salato riempirgli le narici. In realtà il vero spettacolo stava per cominciare. Lì fuori, un battello con i controcoglioni, un cannoncino montato sulla prua e un angelo che fendeva l’onda, aspettava soltanto lui” (Pag. 355).

È lo stesso Haroldo Conti ad anticiparci nel prologo quanto le vicende e i personaggi del suo romanzo siano state l’autentica rappresentazione di un sentito modus vivendi, peraltro maturata nel tempo e poi venuta “fuori da sola”: “Ed è successo anche con Mascarò che mi lanciava segnali da un angolo della mia esistenza, chiamandomi al suo folle percorso […]  Ora, a differenza di prima, non sono triste e vuoto perché Mascarò continua a esser vivo e mi chiede sempre nuove strade” (pp.14).

Edizione esaminata e brevi note

Haroldo Conti, (1925-1976) è stato uno scrittore e giornalista argentino.  Nel 1962 vince il premio Fabril per il suo primo romanzo Sudeste con cui diventa una delle figure di riferimento della cosiddetta «Generación de Contorno» (nello stesso anno pubblicano autori come Sábato, Mujica Lainez, Cortázar, Marta Lynch). Pubblica inoltre i romanzi Alrededor de la jaula (Premio Universidad de Veracruz, Messico) – poi trasposto per il cinema da Sergio Renán con il titolo Crecer de golpe – e En vida (Premio Barral, Spagna, della cui giuria facevano parte Mario Vargas Llosa e Gabriel García Márquez). Nel 1975 pubblica il romanzo Mascaró, el cazador americano, che vince il Premio Casa de las Américas (Cuba). Il 5 maggio 1976, a seguito del golpe militare in Argentina, Haroldo Conti viene sequestrato. Il suo nome figura fra quelli dei desaparecidos. Molti anni più tardi il Generale Videla fu costretto ad ammettere il suo omicidio; probabilmente Conti è stato gettato in mare come molti suoi connazionali.

Haroldo Conti, “Mascarò”, Traduzione di Marino Magliani. Prefazione di Gabriel García Márquez.  Exòrma (collana Quisiscrivemale), Roma 2020, pp. 360.

Luca Menichetti. Lankenauta, marzo 2021