Leggere “Bambini bonsai”, l’unico romanzo pubblicato in vita da Paolo Zanotti prima di spegnersi purtroppo nel 2012 a soli quarantuno anni, è come stanare un libro sotto il libro.
Il libro di sotto è una distopia post-apocalittica, che a tratti ricorda La strada di Cormac McCarthy e a tratti cita la fiaba della Bella addormentata, ma è sostanzialmente l’invenzione personalissima di un mondo futuro stravolto dai cambiamenti climatici, dove il caldo malato si alterna a diluvi epici, i bambini vengono incubati in secchi pieni d’acqua per proteggerli dal sole bruciante e prototipi di un’umanità robotizzata si affidano alle droghe musicali per vincere il senso di smarrimento esistenziale. In un agglomerato cresciuto disordinatamente nel cimitero genovese di Staglieno prende avvio il romanzo di formazione di Pepe e del suo piccolo gruppo di amici, bambini quanto e anche più di lui, sferzati dalla pioggia, erranti per le vie di una Genova sfigurata, poi in marcia attraverso una landa di freddo post-apocalittico e infine rifugiati nelle viscere sottomarine di una villa enorme, adagiata sul fondo di un Mediterraneo ormai guasto e disertato da pesci e gabbiani. Una materia narrativa abbondante, che va dalla fantascienza (androidi, capsule criogeniche …) al fantasy (denti che conservano la memoria di vite passate), dalle visioni cataclismatiche al bildungsroman (che, per sua natura, di sostanza narrativa ne apporta già in quantità elevatissime). Difficile, per uno scrittore, governare un materiale così eterogeneo senza smarrirsi o lasciarsi portare dalla corrente narrativa e dai suoi molti affluenti. Ma, nonostante la mano non sempre ferma con cui Zanotti ha tirato le fila del plot, “Bambini bonsai” resta impresso come un curioso e raro tentativo di coniugare la narrativa di genere con una prosa d’arte preziosa e introversa, che dà il meglio di sé nella delicatezza di certi squarci sulla psicologia infantile, come anche nella rappresentazione, più impressionistica che realistica, di una Genova dissestata, umida di apocalisse e affacciata su un mare malato:
«Restammo lì a guardarlo. Ripensammo a tutte le dicerie, le maldicenze che giravano nell’agglomerato. Su di lui, sui suoi riflessi corrosivi, sul suo respiro cancerogeno […] Non ci appariva più come il pericoloso mare diurno, che brucia e che fa male, ma come il suo sfortunato fratello notturno, non persecutore ma vittima anche lui. Un tempo bambino azzurro di acqua e di correnti, era poi stato inquinato, dragato, ustionato, vivisezionato. Privato dei suoi figli di pinne e squame, che si erano fatti sempre più piccoli, più piccoli, per sfuggire alle reti. Invaso dalle alghe e quindi dai loro batteri, ladri di ossigeno […] Ora nulla sul suo fondale si agitava più, le barriere coralline erano sbiancate, andate in frantumi».
Al di là di questo connubio sperimentale di stile e narrativa di genere (sperimentale ma chissà quanto intenzionale, perché posto in atto da un autore che nel 2011, ospite a RicercaBO, presidio bolognese delle scritture innovative e di avanguardia, aveva dichiarato con candido coraggio di non aver mai desiderato seguire la strada dello sperimentalismo), c’è poi il libro di sopra, quasi una superfetazione di “Bambini bonsai”, in cui la prosa d’arte si innamora di se stessa e si avvita in una produzione continua di abbellimenti: una inarrestabile trasposizione della realtà in immagini che finisce per ricoprire il testo di una fitta vegetazione di metafore e similitudini. E questa tendenza a sofisticare, anziché a rappresentare, è tanto più vistosa quanto più si applica anche a dettagli marginali, su cui la scrittura potrebbe anche non insistere, come ad esempio la comunissima danza che i cinque bambini fanno nella casa in fondo al mare: «Il ritmo ce lo dava Petronella, era lei che decideva quando c’era da raggrupparsi, grande corolla di bambini che sbocciava al centro della sala, e quando invece c’era da disperdersi come i filamenti di una medusa, lontani, sempre più lontani, la sala già vastissima veniva raddoppiata dagli specchi, tanto che ci sembrava di essere un universo in espansione, finché a diastole compiuta la sistole ci richiamava indietro»; altrove, una banale strada su cui Pepe e i suoi si trovano occasionalmente a passare si amplifica e si scinde in una similitudine addirittura doppia («Percorremmo una strada interminabile come un’anaconda ma dritta come uno stoccafisso»); altre volte ancora, le similitudini, generalmente tratte dalla zoologia e dall’etologia, stringono parentele con animali sconosciuti ai più (la bambina che si illumina «come una lampiroidea» o che si imbottisce di vestiti fino a sembrare «una tridacna dei Caraibi», ecc.), che anziché accendere l’immaginazione del lettore la spengono con rimandi ad ignote X.
Se alcune soluzioni lessicali possono essere state il frutto di una ricerca meditata (ad esempio l’uso di diminutivi compassionevoli o leziosi come «vesticciola» e «sposini», che rimandano al melodramma verista e allo scapigliato “Ventre di Milano”), l’aggettivazione nutrita e a tratti fuorviante (le nuvole «panciute e sculettanti», la pelle «disordinata e rugosa») così come certe similitudini bicefale sono eccessi stilistici di una scrittura spesso in bilico tra la rappresentazione e l’adulterazione del suo oggetto.
Forse l’incompiuta riscrittura di Kaspar Hauser, il progetto a cui Zanotti si stava dedicando negli ultimi anni, avrebbe potuto essere l’occasione per chiarificare il proprio talento. Magari confermando quell’anticonformismo già emerso in “Bambini bonsai”: non di maniera, né di principio, ma frutto di una personalità autoriale che si limitava semplicemente ad essere se stessa e ad offrirsi al mondo tutta d’un pezzo.
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Zanotti (Novara 1971-2012) è stato un accademico, scrittore e saggista italiano. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo i saggi “Il modo romanzesco” (1998), “Il giardino segreto e l’isola misteriosa” (2001), uno studio sulla storia culturale dell’identità omosessuale (“Il gay”, 2005) e il romanzo postumo “Il testamento Disney” (2013).
Paolo Zanotti, “Bambini bonsai”, Milano, Ponte alle Grazie, 2010.
Approfondimento in rete:
http://www.sulromanzo.it/2010/11/bambini-bonsai-di-paolo-zanotti.html
http://www.luminol.it/luminol/2010/12/bambini-bonsai-di-paolo-zanotti/
http://caffeletterario-bologna.blogautore.repubblica.it/2013/04/21/una-lettura-per-paolo-zanotti/
Elettra Santori, dicembre 2013
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