“Non aveva idea di come avrebbe fatto a cavarsela. Forse, una volta lì, si sarebbero risvegliate in lei forze nuove e sconosciute. Per ora poteva contare solo su questa fragile speranza. In ogni caso tutto appariva difficile, quasi impossibile, e se si fosse messa a meditare sulle probabilità di farcela si sarebbe lasciata vincere dallo sconforto ancora prima di cominciare. La paura l’indusse a muoversi un po’ lungo la rotta. Non doveva pensare. Tutto quello che doveva fare era non pensare alla logica, lasciarsi un po’ prendere dalla follia. Come un soldato che parte per una missione rischiosa e non pensa a cosa gli potrà accadere.” p.23
Già a partire dall’eloquente titolo scelto dall’autore, Qualcuno con cui correre, possiamo intuire la propensione dinamica che è alla base di uno dei migliori romanzi sull’adolescenza proposto dalla letteratura a tema degli ultimi vent’anni. Se provassimo idealmente a suddividere le tappe della vita nelle corrispondenti quattro stagioni dell’anno solare, mi è spontaneo immaginare che l’adolescenza debba necessariamente corrispondere all’estate. Provate a pensarci, e non ho dubbi che seguirete il mio (e credo non solo mio) semplice ragionamento: la primavera non può che essere la nostra fanciullezza, tempo di scoperta in cui i frutti maturano e i fiori sbocciano rigogliosi, l’inverno la lunga fase dell’età adulta e l’autunno, in cui cadono le foglie come cadono e si ingrigiscono i capelli, la nostra vecchiaia. L’estate è l’adolescenza: i raggi di luce irradiano i nostri corpi, ed è un tempo di aspettativa in cui correre a perdifiato verso i piccoli grandi obiettivi da raggiungere. Il tempo della scoperta di noi stessi e degli altri. Quello in cui credere ed osare. Quello in cui ci si prepara a diventare uomini. Non dubito che anche David Grossman la pensi o quanto meno l’abbia pensata un po’ così, al tempo in cui immaginò questa storia, se ha voluto renderci tutto così limpido e consequenziale, fin dal titolo. Se ha voluto rappresentare l’adolescenza come una lunga e interminabile corsa verso la strada che porta i suoi giovani protagonisti a incontrare la vita che verrà. Una strada, beninteso, da percorrere certo a tutta velocità ma sempre e comunque accanto a qualcuno che ha il nostro stesso passo e che ha scelto, per istinto, per fede, per ragione o per seguire spontaneamente un sentimento, la medesima via da percorrere.
Assaf è un sedicenne timido e impacciato a cui viene affidato un compito singolare: ritrovare il proprietario di una cagna abbandonata, che scoprirà poi chiamarsi Dinka, seguendola per le strade di Gerusalemme. Correndole dietro per tutta la città incontra vari personaggi, tra cui alcune inquietanti figure attraverso le quali ricompone i tasselli di uno sconvolgente rompicapo: la vicenda di Tamar, una ragazza solitaria e ribelle fuggita da casa per andare a salvare il fratello, giovane tossicodipendente finito nella rete di una banda di criminali. Durante la ricerca, pur non trovandosela mai di fronte ma attraverso racconti, descrizioni e la lettura delle pagine dei diari della ragazza, Assaf impara a conoscere Tamar e a penetrare il suo intimo e suoi sentimenti profondi, tanto da mettere a repentaglio la sua stessa vita nel tentativo di ritrovarla e restituirle Dinka. Non è, evidentemente, solo senso del dovere ciò che muove Assaf, ma qualcosa di altrettanto intimo e profondo: il desiderio e forse la possibilità di trovare qualcuno con cui correre. Per uscire dal guscio e non aver più paura del confronto. Per vivere appieno gli anni più belli che la vita solitamente ci riserva.
Un canto lirico ed elegiaco composto da dolci melodie, ma anche un grido d’aiuto acuto e profondo in cui il concerto di voci rifrange sentimenti ambivalenti, comunque densi e dal respiro che si estende per tutto l’arco di una narrazione avvolgente che non conosce pause. L’adolescenza messa in scena da Grossman ha una dimensione dal respiro ampio e dall’alta consapevolezza di sé e del suo essere nel mondo. Quasi una rappresentazione ontologica dell’età inquieta e del suo senso del divenire, da cui il bellissimo ed emblematico titolo. Perché i ragazzi descritti da Grossman, non soltanto Assaf e Tamar ma anche i diversi giovani artisti di strada e coloro che hanno scelto di vivere al margine, sono in qualche modo soli al mondo. O comunque soli nell’affrontare ciò che il destino riserva loro nelle 362 pagine di cui si compone l’opera. Gli adulti sono volutamente marginali nella rappresentazione immaginata dall’autore, non solo e non tanto perché fisicamente assenti o lontani, quanto invece per amplificare l’effetto che la sua lente di ingrandimento pone sull’età che ha scelto di narrare. Tutti i motivi dell’adolescenza, davvero nessuno escluso, sono declinati dallo scrittore israeliano in una progressione dinamica che assolutizza volutamente, quasi ad immaginarne un paradigma in cui gli eccessi fanno rima con l’età, stati emotivi e sentimenti propri a questo tempo di vita. Il tutto abilmente dissimulato attraverso la forma romanzo, avventuroso e anche scorrevole. Non sorprendetevi, trovandovi a leggere questo libro con gli occhi adulti della ragione, della perseveranza di Assaf e Tamar, così lontani (eppur così vicini), per carattere ed esperienze vissute. Non sorprendetevi perché, se vi concedete un fuggevole viaggio a ritroso nel sentimento del tempo che fu, qualcosa è probabile la ritroviate anche in voi di ciò che fa correre verso la vita Assaf e Tamar. È talmente bella e semplice, talmente azzeccata e condivisibile la metafora attraverso la quale Grossman sintetizza e allo stesso tempo addensa di motivi eroici l’adolescenza che mi sembra quasi stupido non averci mai pensato prima. O se l’ho fatto non ho mai reso consapevole alla mia ragione questa brillante intuizione che è venuta così naturale allo scrittore israeliano.
Correre: Assaf corre appresso a Dinka per quasi tutta la durata del libro. Ma in una dimensione più intima, esistenziale, sognante e metafisica Assaf corre accanto a Tamar per l’intero arco narrativo. Dinka è l’anello di congiunzione, in un certo senso, e non è escluso che, in un futuro che supera le barriere del libro, ogni lettore possa vederli correre tutti e tre assieme. Di là dal racconto di formazione e dal retrogusto inevitabilmente favolistico, indispensabile per ogni lettore che si rispetti – e Grossman non solo lo rispetta, ma gli riconosce anche una sorta di dignità morale, nel senso più filosofico del termine, che non tutti gli scrittori sono disposti a “concedere” ai loro stessi lettori -, Qualcuno con cui correre è un’opera a tratti cruda, dolorosa e realistica, nel descrivere la quotidianità della vita di strada ma anche le miserie, la cattiveria e soprattutto l’indifferenza degli esseri umani adulti. L’adolescenza, invece, pur con tutte le sue infinite ed inevitabili contraddizioni, è il tempo dell’amicizia e della solidarietà, della ricerca, dell’immedesimazione, del confronto e del bisogno di identificazione, in qualcuno o in qualcosa. In un ideale assoluto.
È talmente assoluto questo ideale, talmente puro e necessario allo scrittore nel restituire l’immagine la quale, trasfigurata dall’intima esperienza, vuol donare di sé e del suo mondo interiore al lettore, che Grossman ha voluto ritornarci nel momento sicuramente più difficile della sua vita. Nell’orazione funebre che lo scrittore israeliano pronunciò per il figlio ventenne, deceduto nel conflitto tra Libano e Israele nell’agosto del 2006, ritroviamo questo emblematico e toccante passaggio: “Eri per me figlio e amico. Ed era lo stesso per la mamma. La nostra anima è legata alla tua. Vivevi in pace con te stesso, eri una persona con cui è bello stare. Non sono nemmeno capace di dire ad alta voce quanto tu fossi per me qualcuno con cui correre. Ogni qualvolta arrivavi in licenza dicevi: vieni papà, parliamo. Di solito andavamo a un ristorante, a sedere e a parlare. Mi raccontavi così tanto, Uri, ed ero orgoglioso di avere l’onore di essere il tuo confidente, che uno come te avesse scelto me”.
Qualcuno con cui correre, per l’appunto. Qualcuno che scegliamo senza indugi, che ci ritroviamo magicamente accanto, nella vita, come un dono inestimabile. Consapevoli che la scelta di chi veramente conta, per ognuno di noi, è logica e consequenziale, del tutto spontanea e naturale. Che finché si corre c’è vita, e che la vita è una lunga corsa, a volte irta di ostacoli ma mai estranea ai sentimenti profondi, accanto a tutti coloro che abbiamo – o abbiamo avuto – la fortuna e il privilegio di amare.
“Tornarono alla grotta. Shay dormiva. Di tanto in tanto emetteva un grido e il suo corpo si contorceva come se qualcuno lo avesse colpito. Tamar e Assaf avevano programmato di dormire a turno ma nessuno dei due riuscì a prendere sonno. Durante il turno di Assaf, Tamar rimase coricata sul materasso, coperta da un lenzuolo. Teneva gli occhi aperti e lo guardava. Non gli parlava ma sentiva il bisogno di vederlo. Sempre. Come se la sua figura, i suoi gesti ampi e goffi, i sorrisi timidi che le lanciava di tanto in tanto, fossero una sorta di rara medicina che doveva prendere per cominciare finalmente a guarire.” p.347
Federico Magi, marzo 2017.
Edizione esaminata e brevi note
David Grossman è nato a Gerusalemme nel 1954. Ha cominciato la sua carriera molto giovane come giornalista in una radio israeliana e si è fatto conoscere in tutto il mondo con il romanzo “Vedi alla voce amore” (1988). E’ autore di opere famose, tutte pubblicate con Mondadori: “Il libro della grammatica interiore” (1992); “Ci sono bambini a zig zag” (1999); “Il sorriso dell’agnello (1994); “Che tu sia per me il coltello” (1999); “Qualcuno con cui correre” (2001); “Col corpo capisco” (2003); “A un cerbiatto somiglia il mio amore” (2008). E’ anche apprezzato scrittore per l’infanzia: ricordiamo, a questo proposito, la serie dedicata a Itamar; “Il duello”; “Buonanotte giraffa”, nonché “La lingua speciale di Uri” e “Ruti vuole dormire”.
David Grossman, Qualcuno con cui correre, Mondadori, 2001. Titolo originale dell’opera: “Misheu Laruz Ito”. Traduzione di Alessandra Shomroni.
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