Cocchi Michele

La cosa giusta

Pubblicato il: 30 Marzo 2017

La cosa giusta, primo romanzo di Michele Cocchi, è, in sintesi, la storia di alcune persone che cercano di fare “la cosa giusta”. O meglio, che cercano di fare ciò che loro pensano sia “la cosa giusta”.

“- Non credo sia la cosa giusta.
– Forse dovresti far decidere agli altri cosa è giusto e cosa non lo è.” (pag. 105)
“- Questo non è giusto – disse Gabriele avvicinandosi.
– Cos’è che non è giusto?
– Quello che stai facendo.
La ragazza lo guardò. – Cosa ne sai tu di cosa è giusto e cosa no?” (pag. 211)

Il paesaggio: l’Appennino toscano. I personaggi: un uomo, suo figlio Gabriele, una piccola comunità che vive in un casolare, composta da Cristiano e Elena, Irene e Giuseppe col piccolo Mattia, Carla e la figlia adolescente Lucia, poi un parroco e vari altri. La narrazione, che a capitoli alterni segue le vicende del padre e del figlio, prende il via con l’uomo che si risveglia in una rimessa, ferito a una gamba, e che cerca di curarsi come può. Fa un giro della sua proprietà: i cani che alleva sono stati uccisi, in casa tutto è rivoltato con violenza. Deve trovare il ragazzo, e decide di prendere con sé il fucile. Si passa quindi a Gabriele, che troviamo in fuga nei boschi. È un adolescente che si muove a suo agio sulla montagna e che sa come far perdere le proprie tracce. Incontra Cristiano lungo un torrente e finisce col seguirlo e stare in quel vecchio casolare per un po’. Lì la vita scorre, tra allevamenti e coltivazioni, con ritmi naturali, ma questo non vuol dire senza preoccupazioni e problemi.

La carne al fuoco è molta, anche perché col procedere delle pagine si scoprirà come tutte le persone coinvolte stiano fuggendo dal proprio passato, ognuna appigliandosi come può e come sa alla realtà intorno, scontrandocisi. I nomi, anche se non tutti e non in maniera così diretta, racchiudono nel loro etimo o nella loro storia qualche indicazione per chi legge: il ragazzo porta il nome dell’angelo annunciatore, Gabriele (e le annunciazioni scompigliano le vite), Cristiano penso sia abbastanza “parlante”, Elena, che vuol dire fiaccola, splendente, fa tornare in mente la greca Elena dell’Iliade, Irene significa pace, Giuseppe viene dall’ebraico e ha come significato “accresciuto dal signore”, e sembra dunque non essere un caso che proprio Irene e Giuseppe siano i genitori di Mattia, il cui nome vuol dire “dono di Dio”; ci sono poi Carla, “donna libera”, che è la madre di Lucia, in cui è evidente il legame con la luce. L’unico innominato rimane il padre di Gabriele, anche se questi una volta sembra far intendere che abbiano lo stesso nome (ma il ragazzo quando parla della propria famiglia appare sempre in modalità difensiva e non è ben chiaro fin dove sia sincero).

Il romanzo vive dei due movimenti del padre e del figlio: il primo che va verso il secondo, e il secondo che si dirige altrove. Inizialmente la vicenda sembra prefigurarsi come una vera e propria caccia, e se per l’uomo-cacciatore si può dire che tale rimarrà, per Gabriele la fuga si trasformerà in altro nel momento dell’incontro con quel gruppo di persone. Non è infatti in un luogo così lontano dalla casa che ha abbandonato e dal padre da poter essere del tutto al sicuro, ma nonostante questo accetta di fermarsi (in qualche modo decide di interrompere la sua fuga) e vivere con Cristiano e gli altri, le altre, instaurare rapporti, cercare in questa comunità una sorta di famiglia. Diventa una caccia insolita, in cui il cacciatore assomiglia più a una mosca intrappolata sotto un bicchiere, con la trappola dell’uomo rappresentata dal suo alcolismo e dal suo continuo rimuginio sul passato, mentre la preda vive una sorta di periodo di sospensione, non del tutto tranquillo, ma certo meno inquieto rispetto a quello paterno.

Altro aspetto interessante è come per Gabriele il passato rappresenti qualcosa su cui non tornare: cerca di non parlarne mai, evitando di rispondere o rispondendo alle domande in maniera stringata, senza andare oltre pochi cenni. Cocchi delega il ricordo, duro e violento, di quella famiglia, ai capitoli dedicati al padre. È l’uomo a ricordare le violenze inflitte, il ritorno all’alcolismo, così come i momenti felici. Gabriele è proiettato in un futuro altro, mentre il suo passato è tutto nelle sue azioni, nella sua conoscenza della flora e della fauna, nella sua capacità di fare amicizia e di cominciare a educare Laika, la cana del casolare.

Nonostante i personaggi a cui viene dato maggiore spazio siano uomini, sono le donne a muovere la storia, le donne e gli animali. La madre di Gabriele, con la sua assenza e la mancanza che ne deriva per marito e figlio, aleggia su ogni pagina; Irene che potrebbe assomigliare a una sorta di madre per il ragazzo; Lucia, diffidente e chiusa come un animale impaurito all’inizio e che poi si apre del tutto, si mostra a Gabriele come nessun altro fa e è protagonista del finale; Laika, che dona fiducia al ragazzo e accetta la sua compagnia. L’evoluzione del rapporto tra i due adolescenti è scritta con attenzione e delicatezza, e sorprende come nelle ultime pagine (scrivo così per non svelare troppo) sembri slegata da ciò che precede.

L’autore pistoiese, che aveva esordito con una raccolta di racconti, Tutto sarebbe tornato a posto, pubblicata nel 2010 da elliot, mostra in questo suo primo romanzo una scrittura matura, descrittiva, precisa, minuziosa, nominalista. Non c’è gesto che non sia indagato, né elemento che non sia nominato esattamente, dall’arbusto al fiore all’attrezzo all’animale all’insetto. Stupisce quasi che non venga mai specificata quale sia la gamba ferita, che farà zoppicare il padre per tutta la vicenda.

La cosa giusta è figlio dell’esperienza dei racconti, ne riprende temi, luoghi, voci, e li espande. Al tempo stesso, rimane una prima prova sulla lunga distanza, così la narrazione è più incisiva nelle sezioni dedicate al ragazzo e alla vita nei boschi e nella piccola comunità, che in quelle paterne.

Il finale, poi, perde forza, con un atto di Gabriele che, pur comprensibile, appare, almeno ai miei occhi, “strano”, e che guida la scena con cui si chiude il libro. Scena in cui, come già anticipato, Lucia ricopre un ruolo fondamentale, e a cui Gabriele sembra non rispondere (ci sono azioni ambigue, da parte del ragazzo, e parole che, almeno io, non so interpretare in maniera univoca).

Detto ciò, e dispiacendosi per qualche refuso e i problemi distributivi che ne hanno accompagnato l’uscita, La cosa giusta è un libro con una scrittura solida, capace di immergerti in un mondo, capace di crearlo, un mondo, nominandolo.

La direzione che Michele Cocchi ha intrapreso con la sua scrittura, prima coi racconti (tra cui T.I.N., che apre la sua raccolta è, per me, una meraviglia) e poi con questo romanzo, è quella della precisione, dell’indagine degli esseri umani attraverso le loro azioni, della parola esatta. Una strada ardua, ma per cui sembra essere ben attrezzato.

“Una a una munse tutte le vacche così come Cristiano gli aveva insegnato. Chiuse la porta, riattraversò i campi e portò il secchio a Irene; poi tornò nella stalla per mungere le capre. Nella penombra spense tutte le lanterne, oramai inutili, e si fermò a osservare il canale di scolo dove scorrevano i liquami. Fasci di luce penetravano dalle finestrelle superiori illuminando il pulviscolo di polvere e pula. I deretani delle grosse bestie e i loro occhi rotondi che si torcevano verso di lui.

Ripulì il pavimento dallo strame, salì la scaletta a pioli e dal sottotetto gettò forcate di foraggio sul lastricato di mattoni e le sistemò nelle greppie; dopodiché aprì i cancelli dei recinti per far uscire gli animali.

Di ritorno dalla stalla vide Giuseppe uscire da casa e raggiungere la jeep parcheggiata nell’aia. Dietro di lui si trascinava Lucia ancora intorpidita per il sonno: la testa china, addosso una larga felpa con il cappuccio tirato su e sulle spalle uno zaino con le cinghie allentate che le sobbalzava sulla schiena.” (pag. 102)

Edizione esaminata e brevi note

Michele Cocchi, psicoterapeuta dell’infanzia e dell’adolescenza a orientamento psicoanalitico. Suoi racconti sono comparsi su varie riviste, nel 2008 ha vinto il premio Ceppo Giovani (Pistoia) con il racconto La bambina dagli occhi di vetro e nel 2010 ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti, Tutto sarebbe tornato a posto (Elliot Edizioni).

Michele Cocchi, La cosa giusta, Effigi, 2017. euro 14

In rete, l’autore ne parla su Ho un libro in testa.

Suoi racconti si trovano, per esempio, su Nazione Indiana e Pastrengo.