È stato lo stesso Paolo Grugni, in un’intervista di qualche anno fa, a definire “politico” il suo romanzo “L’odore acido di quei giorni”. È vero che il racconto si sviluppa come un thriller, ma l’ambientazione, il 1977, i personaggi, il torbido legame, subito evidenziato, tra un presente di corruzione e un passato di violenza e repressione, ci confermano che non si può prescindere dal termine “politico”. Grugni, per sua stessa ammissione, ha inteso ricordare alle nuove generazioni cosa è stato il ’77 bolognese, ma, a distanza di tanti anni, piuttosto che l’aggressività ideologica, pur presente nei discorsi dei militanti, si coglie soprattutto un grande disincanto.
Protagonista di quei giorni acidi – viene subito da pensare ai lacrimogeni e agli scontri tra fazioni di estremisti – è Alessandro Bellezza, un medico caduto in disgrazia: il suo nuovo mestiere di recuperare, tra le strade di Persiceto e di San Giacomo del Martignone, i cadaveri degli animali morti è un ripiego, dopo essere stato coinvolto, suo malgrado, dalle Brigate Rosse nelle cure ad un loro affiliato. Bellezza non era un brigatista, sicuramente un convinto militante dell’estrema sinistra, e quel ricatto subito dalla formazione terroristica, oltre che sporcargli la fedina penale, gli ha fatto perdere moglie e figli. Una vita che scorre monotona tra assemblee di Democrazia Proletaria e perlustrazioni sulle strade, fino al giorno in cui trova quello che inizialmente pare il cadavere di una donna. In realtà la ragazza è viva, soltanto molto mal ridotta dopo una feroce aggressione. Quello che seguirà, ovvero la scoperta di una diversa identità della donna, la ricerca dell’aggressore, probabilmente colpevole di altri crimini e serial killer in qualche modo legato a Ordine Nuovo, porteranno il protagonista ad ulteriori e sconcertanti scoperte, svelando così le tante ambiguità e i doppi giochi presenti in una cittadina di provincia come Persiceto.
Il romanzo procede in prima persona, con le parole di Bellezza e con l’efficace presenza dei comunicati di Radio Alice, privilegiando i dialoghi alle descrizioni e così guadagnando in immediatezza: approccio adeguato per un thriller e nel contempo per un racconto che fa emergere le pesanti contraddizioni del tempo. Probabile che l’intento di Grugni sia stato innanzitutto quello di testimoniare un’idea dell’Italia che poteva essere e che non è stata a causa di poteri occulti e antidemocratici – ombra presente fin dal prologo datato 10 maggio 1994, giorno in cui un amatissimo esponente della P2 è stato incaricato di formare il governo – ma è un dato di fatto che le turpi vicende descritte nel racconto, e le stesse parole di Alessandro Bellezza, mostrano un paese dove le verità si confondono con delle sconcertanti incoerenze, dove pullulano infiltrati in ogni dove. Lo stesso protagonista, militante del Movimento, che collabora, suo malgrado, con una poliziotta e con un onesto maresciallo dei carabinieri, non sembra certo il prototipo dell’antagonista violento e senza scrupoli.
Forse proprio queste evidenti contraddizioni rappresentano la parte storica più vera, in qualche modo più tipica del nostro paese, in cui si potranno riconoscere anche coloro che hanno un’idea tutt’altro che positiva dei “movimenti”. I fatti sanguinosi che vengono evocati da Grugni, in realtà, partono ancora da più lontano, dal secondo dopoguerra, per poi giungere, con tutto il loro carico di odio nell’atmosfera violenta e ribellistica del ’77. Un periodo che – altra apparente contraddizione – vede indubbiamente contestazioni radicali e illegali nei confronti dei partiti al potere, Pci compreso, un perenne corpo a corpo tra estremisti di destra e sinistra, ma con l’idea che alla base ci fossero soprattutto delle istanze libertarie e non certo una corsa sfrenata verso quel leninismo che invece pervadeva le menti dei vecchi militanti comunisti, ora sodali del governo di solidarietà nazionale. Così Bellezza riguardo la sua attività politica: “Andavo agli incontri più per opportunismo che per solidarietà alla causa e questo pur sentendomi un uomo di sinistra […] Eppure di LC mi piaceva lo spontaneismo, il suo essere aperto a ogni espressione di ribellione sociale, il fatto che fosse il gruppo meno controllato dai vertici della politica e che fosse il meno marxista-leninista. Il mix di studenti, operai, cattolici, femministe, sottoproletari e intellettuali che dava vita a LC era già rivoluzionario di per se stesso” (pp.52). Ed anche sulle prospettive dell’Italia: “Io avvertivo e condividevo il bisogno di un cambiamento radicale della politica italiana, anche se non mi illudevo potesse partire dalla classe operaia, troppo attratta da quei valori che dichiarava di voler combattere” (pp.34).
La stessa violenza, praticata con entusiasmo nelle manifestazioni, diventa l’antitesi dell’agognata rivoluzione: “Avevamo vinto, eravamo contusi e doloranti, ma euforici e felici, l’adrenalina scorreva a mille. Eppure bastava uno sguardo appena prolungato negli occhi del compagno accanto per capire che quello che avevamo fatto non avrebbe segnato l’inizio del mondo sognato, ma la sua fine” (pp.180). Da questo punto di vista molto chiara e apprezzabile la sintesi di Roberto Pedretti nella postfazione “Di stragi, movimenti e complotti”: “[ndr: il protagonista maschile del romanzo] nella finzione narrativa parla e pensa come tanti attori di quella stagione indipendentemente dal fatto che i punti di vista politici o le riflessioni da lui espressi siano o meno condivisibili” (pp.301).
La storia in cui si ritrova invischiato Bellezza, secondo i canoni del noir, troverà un suo epilogo tutt’altro che felice, nonostante parte del mistero sia forse risolto. Ma in un’Italia di quel genere, in mano a poteri occulti, assicurare alla giustizia un colpevole o mandarlo all’altro mondo non voleva certo dire mettere la parola fine ad ulteriori trame, magari di ben altro livello.
Se la fine del romanzo coincide con il ricordo della strage del 2 agosto 1980, a causa della quale scompariranno importanti documenti scovati durante l’inchiesta, è pur sempre l’inizio del racconto, che fa pensare ad un invecchiato e disilluso Alessandro Bellezza, a suggellare tutto lo sconforto per un’Italia che non cambia mai.
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Grugni, è nato a Milano nel 1962. Ha pubblicato numerosi romanzi, tra i quali “Let it be”, “Mondoserpente” (Alacran, 2006; Giallo Mondadori, 2010), “Aiutami” (Barbera, 2008), e “L’odore acido di quei giorni” (Laurana 2011). Il suo racconto “12/9” è apparso nella raccolta “Anime nere reloaded” (Mondadori, 2008).
Paolo Grugni, “L’odore acido di quei giorni”, Laurana Editore (collana “Rimmel”), Milano 2017, pp. 310.
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2017
Follow Us