Secondo Jacopo De Michelis, un editor che di letteratura poliziesca se ne intende, il “noir” si caratterizza per “l’attitudine a sondare le pulsioni più oscure che si agitano nelle mente umana”: un genere che tende ad “elaborare una concezione morale di fondo molto più complessa e problematica di quella su cui si regge il giallo: i confini tra bene e male diventano labili e sfuggenti, si confondono a tal punto che nel noir diventa difficile distinguere i buoni dai cattivi (i personaggi dei romanzi neri sono spesso figure lacerate, contraddittorie, moralmente ambigue). Un’altra peculiarità del noir è la sua vocazione al realismo, all’indagine e alla critica sociale. Incentrato sulle lacerazione e le fratture dell’ordine costituito, il noir è naturalmente portato a frugare nelle zone d’ombra della società mettendone a nudo la corruzione e il degrado, le contraddizioni e i conflitti”.[1]
Tutte definizioni che, secondo noi, possono essere utilizzate anche per inquadrare l’ultimo romanzo di Eliselle. Se però il noir viene per lo più individuato come una sorta di sottogenere del poliziesco, nel “Colore della nebbia” di indagini ne troviamo davvero poche. Potremmo pensare forse al poliziotto Nicola, che tra l’altro non è neanche incaricato di investigare sull’omicidio che ha turbato la piccola comunità di provincia. Vittima è una bambina di otto anni, coetanea di sua figlia, e difatti Nicola nella circostanza ci appare nelle vesti di padre piuttosto che di rappresentante delle forze dell’ordine. Un omicidio i cui contorni si delineano e si offuscano proprio in virtù di diverse voci narranti che interpretano alla loro maniera la tragica fine della bambina, vuoi con sgomento, vuoi con estremo cinismo. E’ la cosiddetta gente comune, condizionata dalla morbosità dei media, che diventa protagonista del romanzo: le paure scaturite da un omicidio senza colpevoli si trasformano in miccia che svela ben altri malesseri e sempre sorprendenti relazioni tra conoscenti, amanti, coniugi, colleghi.
Da questo punto di vista la “nebbia” del titolo diventa metafora di innumerevoli e reciproche incomprensioni: qualcosa di indefinibile che impedisce di cogliere le proprie aspirazioni e l’autentica personalità di chi vive vicino alle voci narranti. Non è un caso infatti che la narrazione della “gente comune” – l’imprenditore individualista e anaffettivo, mariti e mogli e le loro relazioni extraconiugali, la badante precaria alle prese con una pesante depressione, l’amante insoddisfatta, la contadina uscita di senno – alterni la terza persona a ossessivi monologhi interiori.
Una scelta stilistica che, secondo noi, funziona soprattutto nel raccontare le giovani generazioni, in particolare l’insospettabile Valentina, tredicenne affetta da un pericoloso disturbo narcisistico della personalità, che ha ereditato, e portato alle estreme conseguenze, il cinismo del padre. Parole che, in questo caso, rivelano comportamenti tipici dei serial killer in erba: “si era subito ritratto sospettoso [ndr: un coniglietto]. Così gli avevo afferrato la testa con la sinistra, spingendo forte con l’altra sul suo naso, tenendogli chiusa la bocca” (pp.163). I flussi di coscienza si traducono in una paratassi che, avendo memoria di molti romanzi di genere contemporanei, non appare affatto inedita. Narrazione che quindi non intende gratificarci con quello che viene comunemente definito un bello stile, ma che – ripetiamolo – funziona proprio nel raffigurare una piccola comunità fatta di personaggi incapaci di relazioni sincere e positive. In questo senso l’accostamento di frasi brevissime e di parole isolate, non subordinate tra loro, significative soprattutto nel contesto di monologhi deliranti, fa pensare ad una sorta di autismo sociale. Tutto acquista un significato più compiuto se pensiamo che la sindrome identificata da Leo Kanner “è un disturbo del neurosviluppo caratterizzato dalla compromissione dell’interazione sociale e da deficit della comunicazione verbale e non verbale che provoca ristrettezza d’interessi e comportamenti ripetitivi” (fonte wikpedia). Coerentemente “Il colore della nebbia” ci svela il volto nascosto dei tanti personaggi senza ricorrere a particolari descrizioni ma facendo emergere i più inconfessabili segreti grazie ai dialoghi e al rimuginamento dei singoli, vittime di un diffuso bullismo, ingabbiati in situazioni dalle quali non riescono o non vogliono uscire, spesso avvinti da un incontenibile rancore. L’omicidio della bambina forse rimarrà irrisolto ma – non vogliamo svelare troppi altarini – probabilmente un nuovo feroce omicidio, maturato da tempo nella mente distorta di una giovanissima, complice l’ennesimo e inevitabile can can mediatico, metterà in relazione l’autore del precedente delitto con l’autrice di quello più recente: la morbosità dei media diventa strumento per consolidare le relazioni più perverse, anche se non sempre riconoscibili. Complice, ancora una volta, l’inganno che scaturisce dal “colore della nebbia”.
[1] “Dizionoir”(a cura di Mauro Smocovich), Delos Books, Milano 2006, pp. 182.
Edizione esaminata e brevi note
Eliselle, pseudonimo di Elisa Guidelli, Eliselle è nata nel 1978 a Modena. Laureata in Storia Medievale, lavora come libraia. Ha al suo attivo diversi romanzi: “Laureande sull’orlo di una crisi di nervi” (Effedue, 2005 e poi riproposto da Filios nel 2007), “Nel paese delle ragazze suicide” (Coniglio Editore, 2006), “Ecstasy Love” (Eumeswil edizioni, 2006), “Fidanzato in affitto” (Newton Compton, 2008), “Le avventure di una Kitty addicted” (LeggerEditore, 2010), “La fame” (Miraviglia, 2011), “Amori a tempo determinato” (Sperling & Kupfer, 2013) e l’e-book “Fiabe dall’Inferno”. Nel 2010 ha inoltre pubblicato la guida “Centouno modi per diventare bella milionaria e stronza”, per Newton Compton. È presente in numerosissime antologie e progetti letterari. I suoi siti personali sono www.eliselle.com e il portale di attualità www.delirio.net
Eliselle, “Il colore della nebbia”, Damster (collana #comma21), Modena 2017, pp. 420.
Luca Menichetti. Lankenauta, maggio 2017
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