Ricapito Francesco

Reportage dalla Tunisia – Le Isole Kerkennah – Parte 3

Pubblicato il: 30 Gennaio 2015

Mappa Tunisia

Sfax, 7 luglio 2014      Ore 23:54

La mattina sono il primo a svegliarsi. Il russo e il turco dormono ancora pacificamente nei letti di fianco al mio, il turco russa leggermente. Mi viene in mente una battuta fantastica sul fatto che nonostante il turco russi, il russo non turchi, ma non ho nessuno nei paraggi a cui dirla per cui non mi resta che ridermela da solo. Esco fuori dal bungalow, mi siedo sulla sedia di plastica davanti all’entrata e faccio colazione con i biscotti del giorno prima, ammirando la tranquillità e la serenità della piccola baia davanti all’hotel. Finita la colazione decido di fare una passeggiata sul lungomare. Mi metto il costume da bagno e mi porto solo la macchina fotografica. Cammino verso il molo dal quale ieri abbiamo fatto il nostro bagno notturno. La spiaggia è abbastanza stretta, un paio di case e quello che sembra un ristorante sono costruiti incredibilmente vicino all’acqua. Ieri, appena arrivati, la mia attenzione era stata subito attirata da una piccola casa costruita su una chiatta ormeggiata a circa trenta metri dalla riva.

Facendo molta attenzione alla macchina fotografica entro in acqua e cammino fino alla casa, per fortuna l’acqua non mi arriva nemmeno all’ombelico. Si tratta di una e vera propria casetta con tanto di cucina, camera da letto, salotto e bagno, non manca nulla e sembra abbastanza ben tenuta. Davanti alla porta d’entrata c’è pure un piccolo spiazzo con un tavolo e alcuni divanetti. Lo specchio d’acqua davanti all’entrata è chiuso da una rete con galleggianti e sembra quasi che il proprietario abbia voluto crearsi un suo giardino. Con un salto salgo sulla chiatta che funge da galleggiante e sbircio dentro. Faccio qualche foto e poi me ne vado in fretta per paura che arrivi il padrone. Mi dirigo verso una piccola barca ormeggiata là vicino. Si tratta di un’imbarcazione tradizionale, bianca con un paio di strisce colorate orizzontali, una blu chiaro. Sarà lunga al massimo sei metri, al centro ha un albero la cui vela è ora ammainata, ai suoi piedi giacciono un paio di lunghi remi. A bordo ci sono delle reti, qualche galleggiante e altro materiale per la pesca, nel complesso sembra di osservare un quadro del diciannovesimo secolo, tutto è consumato dall’uso ma ancora in grado di funzionare, è un’imbarcazione solida e che ispira fiducia nel vederla. Torno a riva e continuo a camminare verso il molo, quando lo supero vedo che dall’altra parte sono ormeggiate altre barche da pesca, tutte incredibilmente fotogeniche. Cerco di immortalarle al meglio delle mie possibilità, ma rimpiango di non aver mai preso serie lezioni di fotografia. Cammino fino alla fine del molo con calma e nel frattempo noto il rottame di un motorino che riposa sotto il filo dell’acqua alla mia sinistra.

Sempre passeggiando torno verso l’hotel, per strada vedo relitti di barche di fianco alla spiaggia che non avevo notato in precedenza. Ogni vecchia imbarcazione per quanto malandata possiede un intrinseco fascino, chissà quante storie potrebbero raccontare questi resti se potessero parlare. Con questi pensieri per la testa arrivo davanti ai bungalow e trovo alcuni dei miei compagni d’avventura distesi al sole. Accaldato dalla passeggiata mi butto in acqua e faccio una lunga nuotata, di nuovo fino al molo. L’acqua resta bassa per tutto il percorso e il fondale si abbassa bruscamente solo a pochi metri dal molo stesso, probabilmente hanno scavato per permettere l’attracco delle barche. Una volta ritornato passo una pacifica mezz’ora disteso al sole cercando di procurarmi un’abbronzatura decente, poi però sento il padrone dell’hotel che mi chiama a gran voce. Mezzo addormentato mi alzo di colpo e gli vado incontro. Lui mi spiega che c’è un suo amico pescatore che sta per uscire con la barca e, se vogliamo, quattro di noi possono andare con lui. Meravigliato da quest’inaspettata offerta lo ringrazio calorosamente e vado a sentire chi è interessato. Accettiamo proprio in quattro: io, i miei due compagni di bungalow ed un’altra ragazza italiana. Il padrone dell’hotel ci dice di aspettare sulla spiaggia e dopo dieci minuti ricompare con il suo amico. La figura del pescatore in sé stessa è sempre stata considerata poetica, evocativa e fonte d’ispirazione per molti scrittori, un primo pensiero va ovviamente al Vangelo, ma come non pensare al tragico personaggio de “Il vecchio e il mare” di Hemingway”, o al diabolico Capitano Achab di “Moby Dick”? In perfetta sintonia con queste reminiscenze letterarie si presenta ai nostri occhi un personaggio piuttosto singolare: non riusciamo a dargli un’età precisa, può avere tra i sessanta e settant’anni, è vestito solo con un paio di bermuda, una polo e un cappello da baseball, è scalzo, in una mano porta un secchio e nell’altra alcune corde.

Per essere un tunisino è alto, gambe e braccia sono robuste e sembrano quelle di un ventenne, la pelle è abbronzata dal sole di chissà quante giornate passate in barca, l’espressione è seria, la faccia è segnata da rughe che, insieme ai baffi grigi e agli occhi scuri e penetranti, donano all’uomo un alone di grande dignità e rispetto. Si chiama Ibrahim e purtroppo non parla, o non vuole parlare, francese. Peccato perché avrei voluto fargli molte domande. Ci fa capire di aspettare sulla spiaggia mentre lui finisce di preparare la barca, si allontana di nuovo e torna trasportando un motore a elica come se fosse un normale sacchetto della spesa. Montato il motore ci fa segno di seguirlo, mentre saliamo lui ci guarda senza una particolare espressione di giudizio, ma noi cerchiamo tutti di apparire il meno impacciati possibile. La barca è una tipica piccola imbarcazione tradizionale simile a quelle che abbiamo già visto. Quando Ibrahim cerca di far partire il motore questo non collabora, dopo diversi tentativi e un paio di improperi in arabo, finalmente si avvia e ci dirigiamo verso le reti a meno di mezzo chilometro dalla costa. Il sistema di pesca locale assomiglia a quello che si può trovare in certe zone dell’Italia: i pescatori costruiscono con pali e reti dei corridoi, lunghi anche qualche decina di metri, in cui i pesci entrano e alla fine dei quali si trova una nassa. I pescatori devono solo tirarla su e raccogliere il pesce. Quando arriviamo alla prima, Ibrahim ferma la barca e con un remo manovra delicatamente per avvicinarsi, appena ci affianchiamo ci fa segno di spostarci e va verso l’altro lato della barca. Con i movimenti esperti di chi ha fatto questo lavoro per tutta la vita, scioglie i nodi che tengono ferma la nassa e la tira su. Ha la forma di un imbuto lungo circa un metro e mezzo ed è chiaramente fatta a mano. Dentro ci sono dei piccoli pesci e qualche granchio: non molto a dire il vero. Senza cambiare espressione e senza dire una parola Ibrahim svuota la nassa nel suo secchio e poi la riposiziona. L’operazione dovrà essere ripetuta per una decina di volte, tante sono le nasse disposte da Ibrahim. Nell’insieme il pescato non è certo abbondante. Una nassa si è rotta e ha fatto scappare tutti i pesci.

Mentre Ibrahim rimette a posto l’ultima, ci raggiuge un’altra imbarcazione con a bordo il resto del nostro gruppo. A quanto pare il padrone dell’hotel ha un altro amico che si è offerto di avere passeggeri, costui però non potrebbe essere più diverso da Ibrahim: un uomo di mezza età, fisico palestrato, costume da bagno con motivi hawaiani, è calvo e indossa una bandana e occhiali da sole sportivi. Parla pure inglese e scopriamo che è il padrone della casa galleggiante che ho visitato stamattina. Ci salutiamo sorpresi di ritrovarci là e poi i nostri due capitani ci portano in una zona libera dalle alghe e dove possiamo fare un bagno ristoratore, vista la calura. Pure il tizio dell’altra barca si tuffa con noi, all’improvviso s’immerge e ricompare con in mano una grossa conchiglia- una ventina di centimetri – dalla forma allungata. Con un coltellino la apre, butta via tutte le interiora con l’eccezione di un piccolo quadratino bianco, che ci dice essere il muscolo principale della conchiglia e, come se ne niente fosse, se lo mangia soddisfatto. Siamo tutti piuttosto impressionati da questo gesto, ma lui ci dice che è molto buono e non fa male. Inizia allora una battuta di caccia alla conchiglia. Questi molluschi vivono di solito tra i cespugli di alghe in posizione verticale, la loro estremità più stretta è conficcata nel terreno e tirarle fuori non è facile, bisogna mettere entrambe le mani alla base e poi tirare forte, con il rischio di tagliarsi le dita, visto che la parte esterna delle conchiglie può essere molto tagliente. Il mio primo tentativo è un fallimento, ho trovato una vittima ma questa sembra essere particolarmente solida, al terzo tentativo riesco e tirarla fuori. Soddisfatto la rompo, con un certo disgusto butto via il viscido interno e trovo così il piccolo muscolo bianco. Il tizio me lo stacca dalla conchiglia con il coltellino, dopo un attimo di esitazione me lo metto in bocca e mastico. Effettivamente è molto buono, non ha una consistenza viscida come il resto delle interiora e il sapore è proprio di mare, fresco e leggero. La battuta di caccia va avanti finché tutti non hanno assaggiato almeno un mollusco, nel frattempo io riesco a fare un paio di belle foto a Ibrahim sulla sua barca.

Giunge il momento di ritornare, con un altro paio di improperi in arabo Ibrahim riesce a far ripartire il recalcitrante motore. Arrivati a riva, senza dire una parola Ibrahim ci fa un cenno di saluto e sparisce prima che riusciamo a dargli qualche dinaro per il disturbo. Ormai è quasi ora di ritornare verso il traghetto, facciamo un ultimo bagno, prepariamo gli zaini e usciamo dall’hotel, dove Mansour ci aspetta con i taxi. Ripercorriamo la strada principale dell’isola e arriviamo all’imbarcadero. Entriamo nella biglietteria, che ha un aspetto decadente e ben poco pulito e poi usciamo di nuovo sulla banchina. Qui vediamo un gruppo di bambini e ragazzi locali, sui dodici anni, che stanno facendo il bagno di fianco al traghetto. A turno escono dall’acqua, entrano nel traghetto e si arrampicano sulla passerella fino al parapetto della zona passeggeri. Si tratta di un salto di almeno sei o sette metri, ma loro si tuffano spensierati facendo acrobazie degne dei giochi olimpici. Uno di loro in particolare si esibisce prima in un tuffo ad angelo e poi in un salto mortale che ci fa applaudire con sincera ammirazione. Una scena come questa sarebbe impossibile da vedere in Europa, le sempre più diffuse fobie materne e i crescenti divieti e controlli hanno un po’ sradicato questo spirito naturale e più libero. Scene come questa forse sarebbe potuto possibile vederle anche da noi, ma almeno quarant’anni fa. Il viaggio di ritorno è abbastanza tranquillo, io vorrei dormire ma vengo approcciato da un tizio sulla trentina che ha voglia di fare due chiacchere. Mi racconta che lui viene da Kerkennah, ma che abita a Sfax per lavoro e vorrebbe tornare un giorno a vivere sull’isola. Mi racconta che tra una settimana si sposa, gli faccio le mie congratulazioni e continuiamo a chiacchierare fino all’arrivo. Alla fine ci salutiamo e si conclude così questa breve esperienza in un luogo poco conosciuto, ma non per questo povero di sorprese.

Per approfondire:

http://it.wikipedia.org/wiki/Isole_Kerkenna

http://it.wikipedia.org/wiki/Sfax

Francesco Ricapito, gennaio 2015