Non avevamo ancora terminato di leggere “Voglio vivere senza di te” che abbiamo saputo della morte di Toni Bertorelli, l’autore del libro, nonché noto attore teatrale e cinematografico: una scomparsa che ci ha amareggiato ancor di più proprio alla luce delle pagine pubblicate dalla Iacobelli editore. Bertorelli ha avuto una vita ricca di soddisfazioni professionali che però nascondevano una realtà drammatica: l’alcolismo. “Voglio vivere senza di te” rappresenta appunto una confessione schietta, lucida, impietosa di una vita in gran parte sprecata. In gran parte ma non del tutto. Gli ultimi anni hanno significato per Bertorelli una sorta di rinascita fisica e spirituale sia grazie ad un inatteso riavvicinamento alla fede cristiana, sia grazie all’aiuto degli Alcolisti Anonimi. I risultati sono stati sorprendenti: sappiamo che l’alcolismo è per sempre ma, avendo condiviso i suoi problemi con altre persone, Bertorelli non era più schiavo della bottiglia e si era accettato per quello che era, ovvero un uomo in cui convivevano enormi fragilità e un’inaspettata tenacia. Una tenacia che fa il paio con resistenza fisica. Leggendo il libro ci si stupisce che il protagonista di una vita così condizionata da eccessi non ci abbia abbandonato ben prima del maggio 2017. Evidentemente, come scrive lo stesso Bertorelli, “aveva una particolarità, un dono quasi, quello di reggere l’alcol in maniera stupefacente” (pp.23). Come possiamo notare “Voglio vivere senza di te” è scritto tutto in terza persona, come per marcare un distacco da quella che sarebbe subito diventata una confessione impietosa.
Bertorelli infatti fin da giovanissimo mostra una sensibilità artistica fuori dal comune “che lo rende però anche molto fragile, segretamente insicuro e vulnerabile”. Vulnerabilità amplificate dalla presenza di genitori a loro volta fragili e caratterialmente complicati. L’alcol, per il futuro attore, diventa così una sorta di medicina, di cui però non erano stati contemplati i tremendi effetti collaterali. Di sicuro gli anni sessanta e settanta non erano i tempi ideali per pensare alla propria salute: abbandonata la famiglia, il giovane Bertorelli si dedicò alla recitazione in compagnie d’avanguardia, vivendo sostanzialmente alla giornata. Lo accompagnava la prima moglie, una giovane sbandata con la quale ha condiviso l’uso di droghe e un’esistenza fatta di litigate furibonde, tradimenti, separazioni. Se è vero che poi arrivarono i primi successi in campo artistico, la separazione definitiva dalla moglie, l’abbandono delle sostanze psicoattive – tutte circostanze che avrebbero dovuto arrecargli un po’ di serenità – di una cosa il nostro attore-scrittore non riuscì a fare a meno: della bottiglia. Al fondo c’erano molte situazioni irrisolte che Bertorelli non ha remore a rivelare: “riaffiorava il risentimento verso gli altri e il mondo intero che sempre l’aveva caratterizzato: un rancore sordo, una disperazione petulante, ‘me misero, me tapino’, un’autocommiserazione infantile che lo faceva sentire sempre il più sfortunato, il più bastonato dalla vita, dagli eventi, come una povera Cenerentola bistrattata e relegata in cucina. E allora, ancora una volta, unica consolazione, unica fuga, unico porto sicuro era la bottiglia, l’amica di sempre” (pp.53).
Un’amica che sembrava fedele ma che in realtà – inutile ricordarlo – lo stava conducendo dritto dritto alla tomba. Magari molta paura dopo i consulti medici, ma liberarsi da quella dipendenza sembrava davvero impossibile. Poi l’incontro con Barbara, che diventerà sua moglie e che “continuò a chiedergli di andare alla sede degli Alcolisti Anonimi più vicina” (pp.62). Inizialmente Bertorelli mostrò molto scetticismo, il distacco dall’alcol non fu immediato, ma i progressi, scanditi dal cosiddetto “programma dei dodici passi”, arrivarono; malgrado gli ormai conclamati problemi fisici (in quel periodo fu sottoposto ad un trapianto di fegato).
La seconda parte del libro è infatti dedicata tutta alla storia e ai programmi degli Alcolisti Anonimi, con tanto di testimonianze di “quattro pionieri”, dall’onorevole all’operaio. Pagine che ci confermano quello che l’autore di “Voglio vivere senza di te” ha scritto al termine del suo racconto: fondamentale è il Decimo passo, il Passo dell’autocontrollo”, perché “i difetti, l’egoismo, la disonestà verso gli altri e verso noi stessi, il risentimento, la paura sono sempre presenti e minacciano costantemente i progressi raggiunti e la meta agognata: la sobrietà” (pp.72).
Bertorelli, nonostante la difficoltà di confessare di fronte ad un vasto pubblico tante meschinità e debolezze, ha voluto quindi scrivere questo libro proprio per rivelare cosa sia davvero l’uso dissennato dell’alcol, “per raccontare la storia triste di un alcolista e indicare a chi […] si è trovato nell’inferno della dipendenza la via per liberarsi, per vincere il male, per vivere!” (pp.10).
Edizione esaminata e brevi note
Toni Bertorelli, (Barge, 18 marzo 1948 – Roma, 26 maggio 2017)) è stato un attore, regista e scrittore italiano. Dopo studi classici si dedica alla recitazione teatrale. Ha lavorato con Aroldo Tieri, Valeria Moriconi, Umberto Orsini, Luca De Filippo con la regia di Luca Ronconi, Peppino Patroni Griffi, Carlo Cecchi e Mario Martone. Nel cinema lo abbiamo visto con Marco Tullio Giordana (Pasolini un delitto italiano), Marco Bellocchio (Il principe di Homburg, L’ora di religione e Sangue del mio sangue), Nanni Moretti (La stanza del figlio e Il Caimano), Mel Gibson (Passion), Paolo Sorrentino (The Young Pope). Ha vinto il premio Flaiano, il premio Ubu e il premio Sacher d’oro. Per iacobellieditore ha già pubblicato nel 2013 “L’effetto del jazz”.
Toni Bertorelli, “Voglio vivere senza di te”, Iacobelli (collana “Frammenti di memoria”), Pavona di Albano Laziale 2017, pp. 142.
Luca Menichetti. Lankenauta, giugno 2017
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