Ad un primo impatto, la penisola di Absheron, sulla quale sorge Baku, appare solo come una regione spoglia, sterile ed incredibilmente deturpata da più di un secolo di sfruttamento indiscriminato delle sue risorse sotterranee. Tuttavia se si va oltre questa corteccia superficiale di degrado industriale, si scopre che si tratta di un luogo ricolmo di storia e di tradizioni. Le località più famose e che ho già descritto in precedenti articoli sono Yanar Dag e Ateshgah, rispettivamente la montagna di fuoco e il tempio del fuoco, posti che uniscono curiosi fenomeni naturali con l’intrecciarsi di differenti culture, che qui si sono alternate nel corso dei secoli. Altri luoghi di interesse turistico sono un paio di antiche torri di osservazione molto pittoresche, un parco naturale e numerose interessanti vedute sui campi petroliferi. La vera testimonianza della storia, della cultura e delle tradizioni locali è rappresentata da una serie di siti che sono tuttora considerati sacri e che fanno parte della superstizione locale. Settant’anni di dominio sovietico avranno anche ridotto al minimo il numero di edifici storici e in qualche modo omogeneizzato le diverse anime della cultura originaria, ma certe credenze sono rimaste e alcune di queste sono veramente particolari. Il più importante luogo di pellegrinaggio della Penisola è senza dubbio il Mir Movsum Aganin, nel piccolo villaggio di Shuvalan. In questo paesino vicino alla costa settentrionale della penisola si trova la tomba di Aga Seyid Ali Mirmovsumzadeh, soprannominato anche “Ataga” (“colui che è senza ossa” o letteralmente” il signore della carne”). Questo uomo, nato a Baku nel 1883 e morto sempre a Baku nel 1950, era affetto da una malattia delle ossa che lo tenne relegato su una sedia a rotelle per tutta la vita. Questa patologia venne interpretata come una benedizione dai suoi concittadini e inoltre molti di coloro che lo incontravano erano soggetti ad incredibili colpi di fortuna o ad improvvise guarigioni. La sua fama si diffuse sempre più e i miti e le leggende che lo riguardano sono molteplici: molti per esempio sostengono che fosse un diretto discendente di Maometto e questo spiegherebbe i suoi poteri. Si dice inoltre che all’epoca le autorità sovietiche, non vedendo di buon occhio questa sorta di culto della persona, cercarono di deportarlo lontano da Baku, ma non riuscirono nel loro intento perché ad ogni tentativo il veicolo mandato a prelevare l’uomo era soggetto ad improvvisi guasti. Si racconta pure che durante la seconda guerra mondiale riuscirono a trasportare Ataga nella regione del Daghestan, dove venne usato come una sorta di amuleto per scongiurare una possibile invasione tedesca del Caucaso, invasione che infatti non avvenne. Per tutta la vita Ataga venne accudito dalla sorella nella sua casa nella città vecchia di Baku, quando anch’essa morì venne sepolta vicino all’attuale tomba del fratello, il quale appunto riposa nel cimitero del villaggio di Suvalan. Qui da subito cominciarono ad arrivare pellegrini, che venivano a visitare la tomba di Ataga per chiedere aiuto per i loro problemi e le loro malattie. Oggi per raggiungere la tomba basta prendere un autobus extraurbano dal centro di Baku, in circa mezz’ora si arriva davanti all’entrata del cimitero. Il luogo è stato chiaramente attrezzato per ospitare un cospicuo numero di pellegrini, un edificio sotto cui passa la strada segna l’entrata del parcheggio dove ci sono pure autobus e pulmini. Una piccola bancarella di legno fornisce scialli per le donne, le quali non possono entrare nella tomba a capo scoperto; una lunga fila di lavabi viene usata dai pellegrini per le abluzioni rituali e davanti a questi numerose panchine sono state posizionate sotto una serie di tettoie. La tomba si trova dentro un edificio a due piani e dalla forma quadrata.
Una scalinata porta all’entrata superiore, entrambi gli ingressi presentano arcate in stile orientale tutte decorate con eleganti motivi geometrici e floreali che vanno dal blu all’azzurro. L’entrata al piano terra è per le donne, mentre quella al primo piano è per gli uomini. Al primo piano, prima di entrare nell’anticamera, c’è uno spiazzo dotato di tappeto, qualche sedia e numerosi calzascarpe: qui i pellegrini possono comodamente levarsi le scarpe o rimettersele quando se ne vanno. Appena si entra in questa stanza, a destra si va verso una sala di preghiera, mentre a sinistra si trova un lungo bancone dove si possono lasciare le scarpe: basta consegnarle all’addetto che vi darà un numero con cui poi potrete poi riprenderle prima di andarvene. Come in ogni moschea, nell’anticamera aleggia un leggero odore di piedi.
Andando dritti dopo l’entrata si entra nella sala dove si trova la tomba vera e propria. Ad essere precisi la tomba si trova all’interno di un cilindro cavo di circa tre metri di diametro che dal piano terra arriva fino al primo piano, la grata metallica elegantemente decorata che forma il perimetro del cilindro permette di vedere il piccolo parallelepipedo di marmo nero che segnala il luogo di sepoltura e che si trova al piano terra. Come altre moschee della zona, i muri sono decorati con piccole tessere di vetro brillante che riflettono la luce e che danno un’atmosfera particolare all’ambiente. Seduto ad un tavolo vicino al muro un uomo legge brani del Corano, i pellegrini entrano e compiono tre giri intorno alla tomba sfiorando con una mano le pareti del cilindro, una volta terminati i tre giri molti si avviano verso l’uscita, senza mai dare le spalle alla tomba, oppure si fermano qualche minuto a pregare. Dopo essersi ripresi le scarpe è usanza fermarsi un attimo al bancone vicino all’entrata e prendere una zolletta di zucchero o una caramella che sono qui date in omaggio per i fedeli. Si crede infatti che il fatto di prendere qualcosa dalla tomba di un sant’uomo sia di buon auspicio e molti prendono più di una zolletta da portare ad amici e parenti. Per coloro le cui preghiere vengono esaudite è buona norma ritornare per ringraziare Ataga e il modo migliore per farlo è portare con sé qualcosa da regalare a qualche sconosciuto che s’incontra sul posto. Ho ricevuto testimonianze di persone che mentre visitavano la tomba sono state avvicinate da sconosciuti che gli hanno regalato una borsa piena di dolci o addirittura un sacchetto di plastica gocciolante con all’interno una non trascurabile quantità di carne di pecora. Specialmente il sabato e la domenica qui il flusso di persone è piuttosto numeroso e non solo anziani claudicanti e malandati, ma intere famiglie, giovani coppie e gruppi di amici, tutti vengono qui per chiedere il favore di Ataga o per ringraziarlo per aver esaudito le loro suppliche. Non si tratta di un luogo che troverete tra i siti di promozione turistica e non ci sono indicazioni stradali per arrivarci in quanto tutti nella zona sanno dove si trova, visitarlo è una grande opportunità per entrare completamente in una cultura diversa e che ancora oggi si mantiene autentica e originale. Un secondo luogo interessante dal punto di vista religioso è il piccolo villaggio di Buzovna, situato a poca distanza da Shuvalan, praticamente a ridosso della costa settentrionale della Penisola. Qui i fedeli vengono per porgere omaggio ad un’impronta dell’Imam Alì, quarto Califfo dell’Islam, cugino e allo stesso tempo genero di Maometto. L’impronta venne scoperta circa duecentocinquanta anni fa ed è sorprendentemente grande. Se non riuscirete a nascondere il vostro sbigottimento è probabile che il custode vi dirà come in effetti Alì fosse un uomo di grande statura. L’impronta è protetta da una teca di vetro che si trova dentro una specie di piccolo mausoleo che per le forme, le decorazioni e i colori brillanti delle pareti ha lo stesso stile del Mir Movsum Aganin. Poco fuori dal mausoleo si trova un’altra teca di vetro, la quale protegge un’altra impronta, quella del cavallo di Alì, Dül dül. Di fianco si trova pure una moschea costruita poco dopo l’indipendenza dell’Azerbaijan. L’impronta di Alì non è l’unico luogo curioso di Buzovna: a circa venti minuti di cammino, se si prosegue lungo la strada principale e poi si gira a destra per altri cento metri si arriva in un luogo chiamato Tarsane: praticamente si tratta dei resti malandati di una cupola medievale che fungeva da chiesa o da mausoleo.
Solo una delle arcate si regge ancora a malapena in piedi e al centro dello spiazzo spicca un pezzo di quella che una volta doveva essere la cupola. Gli abitanti di Buzovna vengono qui prima di intraprendere un viaggio e per assicurarsi che tutto vada bene appendono degli stracci o dei pezzi di tessuto ai chiodi che sporgono dai resti, oppure in alternativa rompono una bottiglia di vetro. Quest’usanza ha fatto in modo che oggi queste due mura malandate e poco attraenti siano circondate da un tappeto di cocci di vetro. Il pezzo di cupola al centro invece è quasi interamente coperto da stracci e brandelli di tessuto colorati. Nel complesso si tratta di un luogo curioso e sorprendente. La rottura di bottiglie di vetro non è un’usanza esclusiva solo di Buzovna, esiste infatti un altro luogo poco distante da Buzovna dove questo gesto è alla base di un’altra credenza popolare. Si tratta di Pir Hassan, chiamato così perché qui si trova la tomba di Pir Hassan appunto, figlia del settimo Imam Museyi Kazym. Qui i fedeli vengono per calmare i nervi e rilassare lo spirito e per farlo si fanno rompere una bottiglia in testa, o almeno così facevano in passato. Oggi la bottiglia viene rotta su un’apposita lamiera che fa scivolare i cocci in un bidone. I fedeli si posizionano in piedi con le spalle verso la lamiera e chinano la testa, un’anziana ma energica signora preleva una bottiglia di vetro da un cesto e con forza la scaglia contro la lamiera. Il rumore si sente anche da lontano e, nonostante la lamiera, il terreno vicino al bidone è cosparso di vetri per molti metri. Dopo aver rotto la bottiglia la signora sfiora con la mano la schiena, il collo e la testa del fedele mormorando qualche frase di benedizione. La persona dopo aver lasciato un manat nella cassetta delle offerte, si allontana alleggerita nello spirito e con i nervi più rilassati. Oltre a questo curioso rituale è anche possibile porre omaggio alla tomba di Pir Hassan, un piccolo edificio rettangolare con solo una sala al cui centro c’è appunto il sarcofago.
Si trova di fianco a dove vengono rotte le bottiglie, i fedeli entrano e compiono lentamente tre giri intorno alla tomba, nel frattempo un’altra anziana signora pronuncia qualche preghiera in arabo, al primo giro non fa nulla, ma al secondo giro, usando una grande mano di Fatima di metallo, sfiora la testa dei fedeli e al terzo ne sfiora la schiena. Dopo tutte queste benedizioni di solito i fedeli vanno nel vicino bar per rilassarsi con un tè e qualche dolce. Un ultimo luogo di pellegrinaggio che vale la pena visitare nella penisola di Absheron è certamente la grande moschea di Rehime Khanim, dove si trova la tomba di un’altra delle figlie del settimo Imam, Rehime Khanim appunto. La moschea si trova nel piccolo paese di Nardaran, non molto distante dalle altre mete di pellegrinaggio già nominate. Nardaran e il confinante villaggio di Mashtaga sono considerati i centri urbani più religiosi dell’intero Azerbaijan e questo appare abbastanza evidente quando si arriva in prossimità della moschea: i muri delle case che ci sono di fianco alla strada sono infatti cosparsi di murales pro-islam e che invitano alla moralità e alla rettitudine. Il più significativo di questi è quello che si può leggere sulla bancarella che si trova di fianco allo spiazzo nel quale si fermano gli autobus e che si trova a pochi metri dalla moschea. La bancarella distribuisce scialli alle donne che vengono qui in visita e che devono coprirsi spalle e capo. Lo slogan è scritto in azero e recita letteralmente “hijab è bello” (l’hijab è praticamente la stessa cosa del chador). Di fianco alla scritta è disegnata una figura di donna con il velo. La moschea venne costruita tra il 1997 e 1999 sulle rovine di un vecchio palazzo estivo del Khan ed è probabilmente la più impressionante costruzione religiosa del paese.
La pianta è quadrata e la costruzione è coronata da un’elegante cupola e da quattro alti minareti posti ai quattro angoli dell’edificio. In generale sembra di vedere una versione ridotta e semplificata della basilica di Santa Sofia ad Istanbul. Tutt’intorno sono posizionate delle bandiere nere con scritte in arabo. Purtroppo in questi tempi caratterizzati da una diffusa ignoranza e paura nei confronti della cultura islamica queste bandiere e questi messaggi pro-islam hanno un effetto leggermente intimidatorio su un povero visitatore occidentale. Vedere di persona delle bandiere nere sventolare vicino ad una moschea dopo averne appena viste in televisione di fianco a pazzi fanatici che sgozzano persone come se nulla fosse provoca un leggero senso d’inquietudine e anche di vergogna, perché basta parlare con un qualsiasi fedele in pellegrinaggio qui e vi dirà che il vero Islam non è certo quello dell’ISIS. Il motivo principale per cui le persone vengono qui è per visitare la tomba di Rehime Khanim, si dice infatti che un pellegrinaggio qui, unito ad una piccola offerta, aiuti le donne a combattere l’infertilità. La tomba si trova sotto la moschea e ci si accede tramite un’entrata laterale. Dopo aver lasciato le scarpe al bancone che si trova nell’anticamera si entra in uno stretto corridoio coperto da un’arcata a botte. Il soffitto è coperto dalle stesse tessere di vetro che si possono trovare in tutte le moschee della zona che sono state costruite dopo l’indipendenza dell’Azerbaijan. Il corridoio porta a una sala, collegata a sua volta ad un’altra sala. In mezzo a queste due stanze si trova la tomba. Grazie a due piccole finestrelle, i fedeli possono vedere il sarcofago sotto cui riposa Rehime Khanim. Nelle due sale, una per gli uomini ed una per le donne, le persone si fermano qualche minuto a pregare e prima di uscire, come si fa anche al Mir Movsum Aganin, prelevano una caramella o una zolletta di zucchero da un apposito contenitore che si trova all’entrata. Anche qui è possibile vedere una certa varietà di fedeli, giovani e meno giovani, donne e uomini, molti vengono qui ogni giorno per porre omaggio alla tomba della santa. In generale, i luoghi qui descritti non sono memorabili da un punto di vista architettonico, storico o artistico, si tratta spesso di edifici relativamente semplici e recenti, il valore di questi luoghi è dato dalle persone che ogni giorno li visitano, perché questo fa parte della loro cultura, della loro tradizione. Si tratta di usanze originali e particolari, ma soprattutto si tratta di tradizioni vive, che sono sopravvissute al tempo e che ancora oggi vengono portate avanti con orgoglio. Viviamo in un mondo sempre più omogeneo, che festeggia le stesse cose e che tende ad appiattire le specificità locali, luoghi come questi diventano sempre più preziosi e danno un tocco di colore ad un mondo che altrimenti rischierebbe di diventare grigio e monotono.
Per approfondire:
http://en.wikipedia.org/wiki/Buzovna
http://en.wikipedia.org/wiki/Nardaran
Francesco Ricapito, Febbraio 2015
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