Giuliano Ferrara all’indomani dell’arresto del Cecato aveva dato subito la sua interpretazione di Mafia Capitale: “Dove sono i morti? Se c’è la mafia, voglio i morti sul selciato. Sennò che mafia è?”. Concetto ribadito poche settimane dopo proprio durante una trasmissione radiofonica dedicata al nuovo libro inchiesta di Marco Lillo e Lirio Abbate: “Non ho voglia di partecipare a una trasmissione stercoraria. Ciò che ha detto adesso Marco Lillo è rovistare nella merda, le destinazioni d’uso, il piccolo appalto. Non mi piacciono queste cose qui. La mafia a Roma non esiste e questo lo hanno capito tutti, compreso il procuratore generale della Cassazione. Siamo in presenza di un giornalismo di quart’ordine. Arrivederci”. A parte che si trattava del procuratore generale della Corte dei Conti, quello che chiaramente il magistrato voleva dire è che la mafia romana, quella del Cecato appunto, appare qualcosa di assolutamente peculiare, caratterizzata da una prassi di permanente intimidazione e poco propensa ad uccidere, proprio per non incorrere nel rischio di faide tra clan e di diventare oggetto di indagine penale: sempre un’organizzazione di tipo mafioso ma non assimilabile tout court a Cosa Nostra o alla Camorra. Lo spiega perché e con dovizia di particolari “I Re di Roma”, e il fatto che Ferrara ne sia rimasto schifato – non dalla mafia o come la volete chiamare, ma innanzitutto dalle inchieste che mettono allo scoperto il malaffare piccolo o grande che sia – risulta in fondo coerente col suo percorso di pasdaran craxiano, poi berlusconiano ed infine renziano di fede berlusconiana. Quindi giusto che i lettori siano informati: non sia mai detto che si schifino pure loro. Contrariamente al garantista – riformista Ferrara a noi però non ha schifato affatto l’inchiesta di Abbate e Lillo. Ci ha schifato altro, ma chiaramente coloro che considerano le mazzette un prezzo inevitabile ed in fondo accettabile per lo sviluppo del paese – così è stato detto – non potranno mai capire. Del resto la tesi di Giuliano Ferrara che a Roma non ci siano stati morti ammazzati legati alle vicende di mafia capitale è smentita dai fatti (e dai cadaveri), puntualmente riportati dal libro di Abbate e Lillo.
In tal senso possiamo citare per intero l’ottima quarta di copertina dei “Re di Roma”, immagine grottesca di un sodalizio criminale che non è mafia classica ma nemmeno espressione di piccola delinquenza, come sembrano invece volerci dire i nostri stranissimi garantisti: “Un ex terrorista finito in carcere più volte, legato alla Banda della Magliana e addestratosi in Libano durante la guerra civile. Da anni gira per Roma tranquillo con una benda sull’occhio perso durante una sparatoria. Lo chiamano Il Cecato. È lui che governa politici di destra e di sinistra. Per i magistrati è Il Capo, Massimo Carminati. […] Un omicida. Ha inferto 34 coltellate alla sua vittima ma in cella è diventato detenuto “modello”. I suoi convegni in nome della legalità raccolgono il plauso di grandi nomi come Stefano Rodotà e Miriam Mafai. In realtà ha fregato tutti. Fuori dal carcere è diventato il businessman dell’organizzazione criminale. I magistrati lo chiamano l’organizzatore, Salvatore Buzzi. […] Un funzionario pubblico, già braccio destro di Veltroni sindaco e poi uomo chiave del coordinamento nazionale sull’accoglienza per i richiedenti asilo del ministero dell’Interno, che nasconde almeno tre false identità, le usa per coprire vari reati ma nessuno se ne accorge. E’ l’uomo di collegamento tra boss e politica, Luca Odevaine. E ancora neofascisti, ultras, soubrette, calciatori, attori”. Uno degli aspetti più inquietanti della vicenda, che la dice lunga sulla volontà della politica e della cosiddetta società civile di contrastare l’illegalità, è che Lirio Abbate aveva anticipato lo scandalo di Mafia Capitale con l’articolo “I quattro re di Roma”, pubblicato sull’Espresso del 12 dicembre 2012. Ben due anni prima che fosse sollevato ufficialmente il coperchio della fogna romana. Inchiesta giornalistica basata su soffiate di pericolosi figuri, che prefigurava l’inchiesta giudiziaria e che già delineava la cosiddetta Terra di Mezzo, una sorta di “ limbo dove si mettono in comunicazione i morti e i vivi”, ovvero l’anello di congiunzione tra le istituzioni, i cosiddetti vip, l’alta borghesia romana e la più trucida criminalità di strada: un disegno affaristico che vede la politica ridotta a strumento in mano a ex terroristi neri come Carminati e a ex brigatisti rossi come Emanuela Bugitti, “sotto la guida manageriale di un ex detenuto come Salvatore Buzzi” (pag. 138). Tutti uniti per uno scopo che “non è la presa del Campidoglio, ma gli appalti dei centri immigrazione e dei campi nomadi; l’ingresso nella partita dei servizi per i pasti e i ristoranti; il business dell’emergenza abitativa e quello della raccolta differenziata nei ristoranti, bar e mense” (pag. 139): la politica ridotta ad un taxi.
L’organizzazione criminale di Carminati e Buzzi, il Nero e il Rosso, si sarebbe nutrita quindi grazie al ventre molle della politica, che le tanto contestate intercettazioni svelano nelle sue performances più grottesche e fameliche. Giustamente Abbate e Lillo notano come “ad ascoltare quelle telefonate, la violenta Palermo dei tempi di Ciancimino o la Chigago anni Venti di Al Capone appaiono circoli del tè di epoca vittoriana” (pag. 47). Un esempio lampante di questo fare british sono le minacce del consigliere Pdl Patrizio Bianconi, in cerca di finanziamenti, al suo capogruppo Luca Gramazio: “no, non hai capito, la telefonata è serissima…qua sono state date tangenti a destra e manca…l’unico pulito sono io….mi sono rotto il cazzo […] A me pel culo non me ce prendi, pezzo de merda, a me la campagna elettorale non me la fai salta’ perché sennò io t’ammazzo […] ma cosa devo fare io, ammazzarti la donna? Non mi far arrivare a situazioni di questo tipo” (pag. 54-59).
Senza dimenticare i burattinai di mafia capitale, sempre molto espliciti e coloriti. Ad esempio il Cecato, nostalgico dei bei tempi andati: “Ci andavo a scuola…con la pistola…col vespone..erano altri tempi, adesso te carcerano subito. Da paura. La polizia sulle rapine dovevi vede’ come arrivavano: se non c’erano tre o quattro volanti insieme…” (pag. 24). Oppure nostalgico dei bravi ragazzi della Magliana: “Il Negro [Giuseppucci, nda] era l’unico vero capo che c’è mai stato…che era una mia caro amico, abitava di fronte a casa mia …Io lo conoscevo da una vita…lui ci rompeva il cazzo, ce pijiavamo per culo tutto il giorno…insomma c’era un grande rapporto di amicizia [….] loro vendono la droga, io la droga non l’ho mai venduta, non mi ha mai interessato, hai capito? Io schioppavo dieci banche al mese, poi con il fatto della politica, erano proprio alti tempi, un altro mondo” (pag. 29). Meno nostalgico il “Rosso” Buzzi, molto stimato per i suoi convegni sulla legalità, che mostrava sempre un fare divertito e rivolto al futuro: “Tu c’hai idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di droga rende meno” (pag. 110).
Altrettanto eloquente l’sms dell’ex terrorista rossa Bugitti al suo sodale Buzzi: “Ti candidiamo Nobel , sezione ‘se po’ fa’, sottosezione ’29 ladroni’, premio “sola allo Stato’. Premiati: Buzzi, Bugitti, Peretti…” (pag. 118).
Questi solo dei piccoli assaggi da una rete inestricabile di vip, sottosegretari e picchiatori, costruttori ed ex brigatisti: nel libro sono raccontate vicende romane di mazzette, appalti, favori, strani traffici, strategie politiche nazionali e locali, dove sono citati tanto i Casamonica, la ‘ndràngheta, la camorra, l’eversione nera, quanto notissimi calciatori, attori e attrici con amicizie parecchio discutibili, il sottosegretario Ncd Castiglione, Alemanno e la sua banda, la cooperative rosse e bianche, comunione e liberazione, alcuni monsignori molto disinvolti e terreni, Luca Odevaine (o Odovaine) , l’uomo dalla doppia, tripla, quadrupla identità, lo Spezzapollici ed altri personaggi non propriamente in odore di santità. Abbate e Lillo, sempre supportati dalle indispensabili ed eloquenti intercettazioni, hanno raccontato con grande abilità un sistema affaristico criminale che, anche grazie alle pagine dei “Re di Roma”, mostra un volto a dir poco devastante. La recente relazione di Fabrizio Barca sui circoli romani del Pd (“Si vanno delineando i tratti di un partito non solo cattivo ma pericoloso e dannoso“, dove “non c’è trasparenza” e “che lavora per gli eletti anziché per i cittadini”) fa pensare che il lavoro di stercorari dei due giornalisti (per usare le parole cortesi di Giuliano Ferrara) non abbia prodotto alcuna esagerazione, ma soltanto la fotografia realistica di un’Italia che, con buona pace dei chiacchieroni, non ha alcuna intenzione di “cambiare verso”.
Edizione esaminata e brevi note
Lirio Abbate,(Castelbuono, 1971) giornalista investigativo, inviato de “l’Espresso”, è autore di inchieste sulle mafie e sulle collusioni dei politici con i boss. Negli ultimi vent’anni si è occupato dei principali scandali italiani su criminalità organizzata, tangenti e corruzione. Nel 2014 Reporters Without Borders lo ha inserito fra i “100 eroi dell’informazione” e nel 2015 Index on Censorship lo ha annoverato tra le 17 personalità che nel mondo lottano per la libertà di espressione. Ha scritto “I complici” (con Peter Gomez, Fazi 2007). Il suo libro più recente è “Fimmine ribelli” (Rizzoli 2013).
Marco Lillo,(Roma, 1969) giornalista investigativo, caporedattore inchieste de “il Fatto Quotidiano”, ha pubblicato, tra l’altro, i documenti segreti che hanno svelato le congiure in Vaticano e i trucchi nel bilancio del Monte dei Paschi di Siena ai tempi di Giuseppe Mussari. Ha condotto inchieste sull’ex presidente del Senato Renato Schifani, sull’ex sottosegretario Carlo Malinconico e sull’ex ministro Nunzia De Girolamo. Ha svelato la storia della pensione di Matteo Renzi, assunto nell’azienda di famiglia pochi mesi prima dell’elezione in Provincia. È autore dei libri “Bavaglio” (2008) e “Papi” (2009) con Peter Gomez e Marco Travaglio.
Lirio Abbate, Marco Lillo, “I Re di Roma. Destra e sinistra agli ordini di mafia capitale”, Chiarelettere (collana Principioattivo), Milano 2015, pag. 272
Luca Menichetti. Recensione già pubblicata il 31 marzo 2015 su ciao.it e, modificata, su Lankelot il 31 marzo 2017
Follow Us