Al termine di “Non prima che siano impiccati”, secondo volume della trilogia “La prima legge”, avevamo lasciato Jezal, Bayaz, Ferro, e gli altri esploratori alla ricerca del “seme”, ormai di ritorno dai confini del mondo circolare. Ugualmente interlocutoria la situazione degli altri personaggi, reduci da vicende altrettanto se non più sanguinose. Adesso, come in ogni trilogia che si rispetti, Abercrombie, nel suo “L’ultima ragione dei re”, riprende il filo interrotto e ci ripropone, senza operare troppe premesse, i suoi cinici e tormentati eroi alle prese con situazioni ancor più sorprendenti, che in qualche modo rappresentano il contrappasso dei ricatti e dei crimini raccontati nel precedente volume. Se Jezal dan Luthar, Bayaz, Ferro tornati in quel di Adua trovano una situazione politica molto complicata, il re morente, con una lotta di successione già in atto e col Superiore Glokta alle prese con ricatti, corruzione e torture, fuori dai confini dell’Angland la situazione non è affatto migliorata: mentre le faide tra i nobili si moltiplicano, vicino la capitale i contadini sono in rivolta, al nord il re Bethod, tutt’altro che sconfitto, è ben intenzionato a riprendersi la rivincita, mentre ancora una volta gira la voce di un’invasione Gurkish da sud. Jezal, da sempre vanesio e superficiale, sembra aver imparato molto dal viaggio ai confini del mondo e pare ben intenzionato a cambiare vita. Ma sarà proprio quest’ultimo a ricevere un’inaspettata promozione militare e poi, diventando oggetto delle trame di Bayaz, a giungere a ben altri vertici, fino ad allora inimmaginabili. Come sempre è proprio Bayaz a mostrarsi apparentemente come l’unica persona in grado di salvare l’Unione da tutti i pericoli che la stanno accerchiando. Ma quella del Primo Mago è una saggezza molto particolare e Abercrombie, avendo disseminato, nei primi due volumi della serie, tutta una serie di indizi ed enigmi irrisolti, ha avuto gioco facile nel fare di “L’ultima ragione dei re” un romanzo ricchissimo di colpi di scena e che vedrà proprio Bayaz scoprirsi come un’inquietante deus ex machina. Peraltro questi cosiddetti “colpi di scena” appaiono tutt’altro che forzati e illogici, ma semmai, tenendo sempre conto della logica propria di un mondo fantastico che convive con forze oscure e demoniache, esito possibile di personalità ambigue, disturbate e profondamente ciniche.
È chiaro che in presenza di un romanzo del genere, che fin dalle prime pagine fa intravedere sviluppi inaspettati, diventa inopportuno proseguire col racconto della trama. Ed è altrettanto chiaro che le caratteristiche, stilistiche e non, presenti nei primi due volumi della trilogia “La prima legge” le abbiamo ritrovate tutte nel terzo ed ultimo. Possiamo semmai rilevare toni ancor più cinici e cupi, seppur sempre accompagnati da un umorismo nero e da divertite provocazioni che da un lato non stonano con l’atmosfera drammatica e ai limiti dell’horror, e dall’altro rappresentano ulteriori elementi che marcano la distanza dal fantasy classico tolkeniano: “Mentre lui si accasciava gemente sul tappeto, colto da quella particolare, dilagante agonia che solo un calcio nelle palle può provocare, non riuscì a trovare consolazione nel fatto che aveva avuto ragione” (pag. 347). Abercrombie con questa trilogia ci ha proposto quello che molti chiamano “epic-fantasy” ed altri “grimdark fantasy” proprio in virtù di descrizioni realistiche, crude ai limiti dello splatter, popolato da personaggi amorali e totalmente privi di scrupoli. A questo punto diventa piuttosto scontato che un commento su “L’ultima ragione dei re”, possa riproporre osservazioni già note, avendo già preso atto della maggiore presenza dell’elemento magico e soprannaturale a partire dal secondo volume della serie.
È anche vero che Abercrombie, tirando le fila di vicende solo apparentemente indipendenti tra loro, con l’ultimo romanzo della “Prima legge” ha forse ancor più amplificato il carattere cinico dei suoi personaggi e la sua particolare interpretazione del genere fantastico: non semplicemente la rappresentazione della lotta del bene contro il male in un mondo alternativo dove il magico è al servizio anche di eroi positivi, ma soprattutto la descrizione, spesso divertita, della contrapposizione tra un male e un male forse ancora peggiore; e dove l’elemento magico, seppur esistente, è innanzitutto strumento di perversioni e della brama di potere. Inoltre, grazie ad un racconto in terza persona tale da consentire la presenza di frequenti monologhi interiori, si coglie molto bene il divertimento di Abercrombie nel rappresentare la distorta psicologia dei suoi personaggi, colti soprattutto nelle loro debolezze e fallimenti, oltre che nella loro disinvolta predisposizione ad uccidere. Avevamo già sottolineato inoltre come, in questo fantasy per adulti e di nuova generazione, il ruolo della magia potesse apparire meno importante rispetto ad una realtà cruda e sanguinosa, malgrado la “Prima legge” della trilogia voglia dire il divieto entrare in contatto col mondo dei demoni; e malgrado la “Seconda legge” stabilisca il divieto di mangiare la carne dei propri simili. Difatti la violazione di questi due comandamenti, con la comparsa dei “mutaforma” e dei “mangiatori”, stirpe di voraci cannibali, diventa pretesto per far prevalere l’elemento horror rispetto i motivi del fantasy più classico. E tutto alla fine ci conduce ad un potere regio puramente di facciata ma in realtà sotto tutela di quelle forze occulte e crudeli che si scopriranno gli autentici burattinai di quanto accaduto nel cosiddetto “mondo circolare”: “Ogni governo è una tirannia. Solo che si traveste con colori allegri, nel migliore dei casi” (pag. 757).
Edizione esaminata e brevi note
Joe Abercrombie, è nato a Lancaster nel 1974. È il 2002 quando, allora studente di Psicologia all’Università di Manchester, pensa di scrivere una trilogia fantasy e inizia la stesura del primo episodio. Trasferitosi a Londra, lavora come montatore freelance e produttore di format televisivi di vario tipo e termina di scrivere quello che diventerà The Blade Itself. Gollancz ha acquistato i diritti, vincolando Abercrombie a pubblicare l’intera serie. A The Blade Itself (2007) sono seguiti They Are Hanged e Last Argument of Kings (2008). La trilogia The First Law si è rivelata un grande successo tra i lettori anglosassoni.
Joe Abercrombie, “L’ultima ragione dei re. Ultima ratio regum”, Gargoyle (collana Extra), Roma 2014, pag. 811. Traduzione di Benedetta Tavani
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2014
Follow Us