La dedica esplicita di Fabio Strinati, ovvero “Poemetto ispirato interamente e totalmente a ‘Miracolo a Piombino’ di Gordiano Lupi” (pp.5), non deve trarre in inganno: leggendo“Dal proprio nido alla vita” ci si rende conto che ispirazione non ha voluto dire affatto parafrasi o mera trasposizione da prosa a poesia. Trasposizione che peraltro avrebbe avuto poco senso, non fosse altro che, da un lato, il romanzo di Lupi ha molto a che fare con la poesia (le tematiche di Baudelaire sono del tutto evidenti e il linguaggio cerca esplicitamente di oltrepassare i confini della prosa); e dall’altro, pur in presenza di anafore ed altre figure retoriche, nell’opera di Strinati i versi, per lo più liberi, si fanno leggere come una sorta di prosa poetica. Inoltre è evidente che i diversi nidi di “Miracolo a Piombino” e di “Dal proprio nido alla vita”, uno di un gabbiano, l’altro di una rondine, non rappresentano certo le differenze sostanziali tra le due opere. Mentre la Piombino di Lupi è scenario di un’autentica storia di disagio, di difficoltà ad abbandonare le paure dell’adolescenza, nel poemetto di Strinati troviamo ben poco di quell’età né carne né pesce e di esplicite citazioni piombinesi. E’ vero che “Dal proprio nido alla vita” è scritto proprio per essere letto d’un fiato, che si regge su un equilibrio di sensazioni difficilmente riassumibili e razionalizzabili, e quindi ci potrà essere sfuggito qualcosa di importante, ma la netta impressione è che Strinati del romanzo di Lupi abbia voluto cogliere e reinterpretare gli stupori nei confronti del creato, un evidente senso del limite, timidezze che appunto non hanno età. In fondo è lo stesso autore a confessarlo nella brevissima premessa: “Sfogliando Miracolo a Piombino, pagina dopo pagina, mi rendevo sempre più conto che quello era il libro che avevo sempre desiderato di scrivere. Un romanzo perfetto, un connubio di odori, sapori, stati d’animo e sensazioni, che mi hanno permesso nel mese di settembre, di intraprendere questo viaggio personale, di scoprirmi dentro, non tanto come poeta e scrittore, ma come ragazzo prima, e come uomo dopo” (pp.9).
Limiti e difficoltà che, secondo noi, emergono anche grazie ad un procedere che un musicista come Strinati forse definirebbe alla stregua di un’alternanza di tempo forte e tempo debole. In ogni caso, proprio il debito riconosciuto nei confronti dell’opera di Lupi, fa capire che l’intento dell’autore è stato comunque quello di evidenziare una condizione che, almeno nella testa delle persone più sensibili, non si fa condizionare dal dato anagrafico: lo spaesamento di fronte ad una natura aspra, spesso matrigna e sconosciuta, il disagio di assistere alle umane contraddizioni e di sopravvivere ai propri limiti. Sempre con l’idea che la maturità, non necessariamente intesa come superamento dell’adolescenza, è una conquista tutt’altro che indolore e che non viene dal nulla. Leggiamo: “Prima di muoverci nel cielo infinito, dobbiamo capire che rondini siamo./ Prima di imparare a volare, dobbiamo saper usare bene le nostre ali…/ prima di diventare vecchi, dobbiamo conoscere bene la nostra giovinezza; è da lì che noi tutti veniamo!/…e quando si lascia un posto scrutato, rovistato,/ vissuto anche se per breve tempo, in quel posto ci lasciamo/ un pezzo della nostra anima.” (pp.49).
Tutto raccontato con l’ambizione di mostrare al lettore uno stile comunque equilibrato – pur in presenza di numerose figure retoriche – e quindi col proposito di saper dosare sensazioni altrimenti difficilmente esprimibili con una prosa pura e semplice. Da questo punto di vista la rondine, a rigore metafora facile facile, assume un chiaro significato in relazione alla scelta poetica: “E invidiavo gli uccelli; che dall’alto dei loro pensieri,/ partorivano eleganti voli, magiche traiettorie…/ come fili intrecciati e trame di armonie,/ che solamente la poesia, che si esprime/ nel suo canto ribelle e liberatorio,/ è in grado di disegnare, la realtà delle anime/ vagabonde sulla terra!” (pp.25).
Se poi nel romanzo di Lupi le citazioni letterarie e poetiche funzionano come una sorta di leit motiv e sono del tutto evidenti – “Avevo vent’anni. Non permetterò a nessuno di dire che quella è la più bella età della vita” (P. Nizan) – Strinati è stato meno esplicito, forse proprio in virtù della brevità di un’opera definibile, con qualche incertezza, come poemetto. Di sicuro non ci saremmo stupiti di trovare qualche citazione tratta da Walt Whitman, che immaginiamo sia stato molto ben assimilato dal nostro autore.
Edizione esaminata e brevi note
Fabio Strinati, (poeta, scrittore, pianista e compositore), nasce a San Severino Marche nel 1983 e vive a Esanatoglia. Allievo del maestro Fabrizio Ottaviucci, si esibisce come solista e compositore di musica contemporanea. Nel 2014 pubblica il suo primo libro di poesie “Poesie nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo” per Il Foglio Letterario. Nel 2015 esce “Un’allodola ai bordi del pozzo” ancora per i tipi del Foglio Letterario.
Fabio Strinati,“ Dal proprio nido alla vita”, Edizioni Il Foglio (collana “I Tascabili”), Piombino 2016, pp. 60.
Luca Menichetti. Lankenauta, luglio 2017
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