“Allora, Wyatt, se Katherine Cummings chiama ancora, cosa devo dirle? Che i cinquecento dollari che ti ha pagato per far ragionare suo figlio ribelle e allontanarlo dal giro degli speakeasy ti sono serviti per metterti in affari con lui? Che speri di espanderti dal traffico di alcolici al gioco d’azzardo?” (pag. 197). E poi ancora: “Wyatt era celebre per truccare le partite come un babbeo, quindi sapeva maledettamente bene che lei lo stava provocando” (pag. 95). Questi brevi passaggi tratti da “Black Hats” ci servono per chiarire da subito che il Wyatt Earp di Max Allan Collins, uno dei protagonisti del romanzo, è raccontato secondo le più equilibrate e più moderne ricerche storiche: nessuna autentica agiografia ma piuttosto la presa d’atto che lo sceriffo di Tombstone, coinvolto nella sfida all’Ok Corral, era tutto all’infuori che un santo e persona di moralità specchiata. Soltanto che questa disinvoltura di baro ed affarista nel contesto di “Black Hats” passa in qualche modo in secondo piano di fronte ad un antagonista che fa esclamare all’amico Bat Masterson: “Questa città è piena fino all’orlo di bastardi con il borsalino che aspettano solo di prenderne il controllo e ucciderti per il gusto di farlo. Wyatt, è una nuova Tombstone – solo che questi tipi di Brooklyn fanno sembrare i Clanton dei bambini dell’asilo” (pag. 103).
E qui legittimo domandarsi: appunto ma cosa c’entra Brooklyn, in quel di New York, con lo sceriffo Wyatt Earp, quello che in Arizona nel 1881 insieme ai fratelli e a Doc Holliday ebbe la meglio sulla banda dei Clanton? Max Allan Collins ha avuto l’idea brillante, anche se non del tutto inedita (pensiamo al film “Intrigo a Hollywood” con James Garner) di raccontarci di un Wyatt Earp ormai anziano, quando esercitava come detective a Los Angeles. Da qui prende le mosse l’avventura raccontata in “Black Hats”: l’ex sceriffo ormai settantaduenne viene assoldato da Kate “La Nasona”, vedova del suo vecchio amico Doc Holliday, per tirare fuori dai guai suo figlio Johnny alle prese con la pericolosa criminalità newyorkese. Per l’attempato detective scenari inediti: dalle lande assolate del West e di una Los Angeles ancora a misura d’uomo ad una metropoli in piena espansione e caravanserraglio ideale per i nuovi arrampicatori sociali e per i finanziatori di corruzione. Earp, arrivato a Manhattan, ritrova l’amico ed ex vicesceriffo Bat Masterson, adesso diventato noto giornalista sportivo, e poi raggiunge Johnny, gestore di uno speak-easy e per di più in possesso di un enorme deposito di liquori vinto a poker. Siamo proprio nel 1920, all’epoca del nascente proibizionismo e quindi delle bande di gangster che approfittarono della situazione per monopolizzare il commercio clandestino di alcolici. In “Black Hats” tra tutti questi criminali gli antagonisti del trio Earp – Masterson – Holliday sono nomi noti: su tutti gli italiani Johnny Torrio, Francesco Ioele, meglio conosciuto come Frankie Yale, e soprattutto l’emergente Alphonse “Al” Capone.
L’idea di contrapporre Wyatt Earp ed Al Capone, oltre ad arricchire il romanzo di altri personaggi realmente esistiti (Jack Dempsey, Damon Runyon, Texas Guinan), come in una sorta di continuità tra l’epopea del west e l’era gangsteristica scaturita dal proibizionismo, risulta piuttosto suggestiva. In questo senso Allan Collins dimostra uno spiccato senso dello spettacolo, ancor prima che talento letterario. E difatti, come se il romanzo fosse stato scritto in previsione di una sua trasposizione cinematografica, già sappiamo che ad impersonare sul grande schermo l’ex sceriffo di Tombstone sarà Harrison Ford. Attore che, guarda caso, nel 2014 compirà precisamente quei settantadue anni che aveva Wyatt Earp nel 1920. Mentre sul physique du rôle richiesto dal personaggio probabilmente non ci siamo proprio: “quel signore smilzo dai baffi bianchi e vestito di nero come un becchino verosimilmente poteva essere (o almeno poteva essere stato, un tempo) Wyatt Earp” (pag. 155). “Black Hats” non sarà un capolavoro, oltretutto anche sfavorito da qualche refuso presente nell’edizione italiana; ed è probabile davvero che i frequenti flash back agli anni del selvaggio west, con i racconti delle sparatorie tra gli Earp e i “Cowboys” piuttosto scontati e convenzionali, non rappresentino la parte migliore del romanzo. Molto più interessante ed efficace semmai la contrapposizione tra gli anziani, ma pur sempre energici, cowboys con la colt e lo Stetson e i più giovani gangster con mitra e borsalino: “cappelli neri” a confronto. Rimane una lettura che, grazie alla fantasia di Allan Collins, non è facile abbandonare prima di un epilogo che ricorda la Stangata; come a sottolineare ancora una volta lo stretto rapporto esistente in “Black Hats” tra letteratura e cinema.
Ma anche nel prendere atto di un romanzo scritto innanzitutto per il grande pubblico ed in previsione di consegnare ad Harrison Ford il ruolo di Wyatt Earp, va detto che Allan Collins si è dato da fare e – lo dimostra l’appendice di sei pagine – quanto a dettagli e precisione storica non possiamo contestare alcunché. Se è vero che la figura di Johnny Holliday appare del tutto fittizia, come del resto fittizie sono altre figure secondarie, i personaggi realmente esistiti, al netto di vicende del tutto inventate, sono descritti in maniera plausibile e, facile capirlo, frutto di accurate ricerche. Quindi se tanto mi dà tanto, se lo spirito degli sceneggiatori rimarrà fedele al romanzo, il film “Black Hats” prometterà bene.
Edizione esaminata e brevi note
Max Allan Collins (1948), vero nome di Patrick Culhane, è uno scrittore statunitense. Più volte candidato all’Edgar (Allan Poe) Award della Mystery Writers of America, ha vinto un Anthony Award per la saggistica e ha collezionato quattordici candidature al Shamus Award della Private Eye Writers of America, ottenendo due volte il premio per il miglior romanzo. Era mio padre (Sperling & Kupfer, 2002) è la grafic novel su cui è basato il film diretto da Sam Mendes con Tom Hanks e Paul Newman, nominato a sei Oscar e al Golden Globe. Collins ha collaborato a fumetti quali Dick Tracy e Batman. Ha curato la trasformazione in romanzi della serie televisiva CSI, Scena del crimine, pubblicata da Usa Today, e di Salvate il soldato Ryan, uscita per il New York Times. Regista indipendente, ha scritto e diretto film per la televisione che sono stati trasmessi da HBO e Lifetime.
Max Allan Collins, “Black Hats”, Gargoyle, Roma 2013, pag. 292, euro 18,00. Traduzione di Ilaria Bartolini e Alessandro Gebbia.
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2013
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