Probabile che il nome di Antonia Arslan sia conosciuto al grande pubblico per “La masseria delle allodole” e “La strada per Smirne”, ovvero come autrice di importanti romanzi. Sicuramente meno nota l’Antonia Arslan professoressa universitaria, titolare della cattedra di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova, che in queste vesti ha scritto “Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900”, nuovamente edito dalla Guerini e Associati dopo la prima edizione del 1998: una raccolta di brevi saggi scritti per lo più tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, che, in virtù dell’argomento “laterale”non hanno certo perso validità scientifica. Anzi, l’attenzione per autori – in questo caso autrici – appunto “laterali”, proponendo conseguenti spunti di lettura, dovrebbe più che mai suscitare l’interesse di coloro che sono votati a “tutelare la memoria di artisti rimossi e per restituire opere ingiustamente dimenticate, politicamente ostracizzate, mal o mai o irregolarmente distribuite”. Così, tanto per fare un nome, gli intenti dell’Associazione Culturale Lankelot.
Antonia Arslan col suo “Dame, galline e regine” rilegge alcune autrici italiane di fine Ottocento e inizio Novecento, molto più numerose di quanto si possa pensare, con il chiaro intento di sottolinearne il loro valore, spesso misconosciuto. Analisi peraltro condotta con una precisione e un approfondimento che ne denota l’origine e la destinazione accademica. Ed ecco i saggi brevi dedicati, tra le altre, alle opere e alle vite di Neera e della Marchesa Colombi, della “scandalosa” Contessa Lara al secolo Evelina Cattermole, di Vittoria Aganoor, di Jolanda e delle più celebri Matilde Serao e Ada Negri: pagine che generalmente colgono soltanto alcuni aspetti della loro attività letteraria e sociale; e quindi una sorta di approfondimento nell’approfondimento. Oltretutto ad alcune di queste poetesse e letterate l’aggettivo di “misconosciute” si attaglia perfettamente e di conseguenza le pagine di Antonia Arslan rappresentano un’autentica riscoperta, non fosse altro che nelle enciclopedie della letteratura, in commercio e non, a molte di queste scrittrici sono dedicate poche righe o addirittura nulla come nel caso di Giovanna Zangrandi, al secolo Alma Bevilacqua.
Antonia Arslan non si è limitata ai brevi ritratti di scrittrici, ovvero monografie o studi come quello sull’epistolario di Matilde Serao con le sue colleghe del nord Italia, ma si è dedicata ad argomenti come “Il rosa italiano”, dove l’autrice è andata ad analizzare, di autrice in autrice (senza dimenticare autori maschi come Scerbanenco), da Bruno Sperani alias Beatrice Speraz a Brunella Gasperini, il passaggio dal cosiddetto romanzo sentimentale ad appunto il romanzo “rosa”; e poi ancora “Ideologia e autorappresentazione. Donne intellettuali tra Ottocento e Novecento”, “Scrittrici e giornaliste lombarde tra Otto e Novecento”, “Stanze ritrovate: scrittrici venete”, “Vivere in rosa per vivere in casa. La letteratura femminile italiana tra impegno ed evasione”.
Proprio quest’ultimo titolo ci mostra come Antonia Arslan sia andata oltre ad un’analisi strettamente letteraria dei testi e, per meglio capire i motivi, la funzione di certa letteratura di genere, in questo caso di livello piuttosto modesto, che raccontava le “vergini nate per l’amore e vibranti di passione”, si sia aperta ad approfondimenti storici e sociali, soprattutto nel cogliere dinamiche, tematiche e stereotipi presenti nel cosiddetto Ventennio: “All’effimero libertinaggio consentito ad alcune esponenti della borghesia cosmopolita (cui corrispondono i ‘romanzi cosmopoliti’ degli anni Venti tra i quali basta ricordare Pitigrilli e il gruppo che si raccoglie intorno a ‘Le Grandi Firme’) si contrappone – specie all’inizio degli anni Trenta – una martellante insistenza su quella che si potrebbe definire ‘la tematica della matrona’, e per rendere accettabile l’idea della madre prolifica le si creano ascendenze romane. Il sesso viene perciò rappresentato come cosa in sé sporca da nobilitare o mediante la sua finalizzazione esclusiva alla procreazione di cittadini per il risorto impero romano o mediante la sublimazione in purezza incontaminata […] La scissione fra sesso e amore (e qui rispunta il tema dell’amore platonico) porta a curiose conseguenze: la popolana si deve realizzare nella maternità; la ‘donna superiore’ (si registra anche una ripresa del tabù della verginità) può accedere ai più alti destini purché si rassegni ad essere una specie di Giovanna d’Arco, a sublimare ogni impulso fisico in controllatissime ‘affezioni fraterne’ “(pag. 24). Un libro, questo di Antonia Arslan, che, come scrive in premessa Siobhan Nash-Marshall, “si propone di restituire alla storia italiana letteraria la sua metà oscura, se si vuole, o di dare una chiave per interpretare non solo il passato italiano, ma anche il suo presente”.
Edizione esaminata e brevi note
Antonia Arslan, (Padova, 1938) è una scrittrice e saggista italiana di origine armena. Laureata in archeologia, è stata professore di Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università di Padova. Attraverso l’opera del grande poeta armeno Daniel Varujan — del quale ha tradotto le raccolte “II canto del pane e Mari di grano” — ha dato voce alla sua identità armena. Ha curato un libretto divulgativo sul genocidio armeno (Metz Yeghèrn, Il genocidio degli Armeni di Claude Mutafian) e una raccolta di testimonianze di sopravvissuti rifugiatisi in Italia (Hushèr. La memoria. Voci italiane di sopravvissuti armeni). Nel 2004 ha scritto il suo primo romanzo, “La masseria delle allodole”, che ha vinto il Premio Stresa di narrativa ed è stato finalista del Premio Campiello e che tre anni dopo è stato portato sul grande schermo dai fratelli Taviani. Tra le sue opere di narrativa “La strada di Smirne” (2009) e il più recente “Il libro di Mush” (2012).
Antonia Arslan, “Dame, galline e regine. La scrittura femminile italiana fra ‘800 e ‘900” (Collana Classica. I contemporanei), a cura di Marina Pasqui. Premessa di Siobhan Nash-Marshall, Guerini e Associati, Milano 2013, pag. 205
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2013
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