Autori Vari

Conflitto, ordine pubblico, giurisdizione: il caso TAV

Pubblicato il: 29 Marzo 2016

Leggiamo dall’Ansa del 14 novembre 2014: “Un atto di guerra contro lo Stato. Così la procura di Torino definisce l’attacco portato dai No Tav la notte fra il 13 e il 14 maggio 2013 al cantiere di Chiomonte, in Valle di Susa. Parole che oggi, al processo in corso nell’aula bunker delle Vallette, hanno accompagnato la richiesta di condannare quattro anarchici a nove anni e mezzo di carcere per terrorismo. ‘Noi giudichiamo la condotta e non le idee’, avevano esordito i pm Antonio Rinaudo e Andrea Padalino. ‘Sul Tav ognuno ha le sue opinioni, è un’opera che può piacere o non piacere. Ma quella non fu una manifestazione di dissenso e nemmeno un’iniziativa estemporanea di pochi ribelli. Si trattò di violenza armata. Il cui obiettivo era costringere lo Stato ad abbandonare una scelta politica ed economica, a retrocedere. E questa, in base al codice, è una finalità terroristica”. Parole molto chiare e tra l’altro del tutto in sintonia con quanto sentito e letto sui media e da parte di noti politici di maggioranza e opposizione (ammesso che ormai ci sia una differenza).

Queste certezze però non sono proprie di tutti i giuristi. Ce ne possiamo rendere conto leggendo “Conflitto, ordine pubblico, giurisdizione: il caso TAV”, un libro, edito dalla Giappichelli, che riprende i temi del convegno organizzato dall’Associazione Giuristi democratici e tenutosi nel dicembre 2013 presso la Galleria d’Arte Moderna di Torino. Detto per inciso, come viene ricordato polemicamente alla fine del volume, la richiesta dell’Associazione di organizzare presso il Palazzo di giustizia un convegno di studio, prevalentemente rivolto agli avvocati, e dedicato a “Conflitto sociale, ordine pubblico, giurisdizione: il caso Tav e il concorso di persone nel reato”, a quanto pare è stata rifiutata motivando che vi poteva essere un conflitto con dei procedimenti in corso davanti all’autorità giudiziaria torinese. La replica di Anna Chiusano (“non sono temi scomodi, ma giuridici. Il tribunale è il luogo in cui discuterne”) e la presentazione di vari documenti di protesta a quanto pare non ha sortito alcun effetto. Preso atto di queste diffidenze e polemiche è evidente che le argomentazioni dei magistrati, avvocati, professori di diritto presenti nel libro della Giappichelli non coincidono con quanto dichiarato dai pm Rinaudo e Padalino.

Qualche passaggio dall’introduzione di Ennio Lenti (Presidente dell’Associazione Giuristi Democratici di Torino) potrà chiarire anche a chi fosse digiuno di diritto: “Non si tratta di stabilire il se, ma il come. Autorevoli esperti, in occasione di interviste e dibattiti su reti televisive nazionali, hanno affrontato il problema della repressione dei reati commessi in occasione delle lotte contro la costruzione di grandi opere pubbliche o di manifestazioni per la tutela dell’ambiente, in termini che a noi sono parsi semplicistici e strumentali: può lo Stato abdicare al suo obbligo di accertamento e punizione dei reati, al suo potere repressivo, allorché molta parte della popolazione interessata agli effetti di una grande opera vi si oppone giudicandola inopportuna o dannosa? Posta in questi termini la risposta, ovviamente, non può che essere negativa. Non è sufficiente che un gruppo, anche molto consistente e maggioritario, di cittadini interessati all’opera, ritenga di doversi opporre a quello che giudica uno scempio ambientale o un costo eccessivo, per giustificare tutte le forme di lotta, anche quelle che travalicano i limiti della legalità. Tuttavia nella capziosità della domanda sta l’equivoco della risposta, poiché, come dicevamo all’inizio, non si tratta di stabilire il se, ma il come. Non è ammissibile invocare l’esenzione dalla responsabilità penale per coloro che commettono reati nel corso di manifestazioni o al di fuori di esse, ed è chiaro a tutti che gli eccessi devono essere puniti. Accade però spesso, in occasione di forti conflitti sociali, che vi sia il dichiarato (o, peggio ancora, non dichiarato) tentativo di rispondere ad essi con leggi eccezionali o anche con interpretazioni eccezionali o forzate delle norme esistenti” (pag. IX). Su questa linea, decisamente critica su certe prassi giudiziarie (ed anche sui metodi di reclutamento delle forze dell’ordine), gli interventi degli avvocati Roberto Lamacchia, Claudio Novaro, Giampaolo Zancan ed Anna Chiusano, i professori Davide Petrini, Marco Pelissero e Paolo Ferrua, Enrico Zucca, Sostituto Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Genova, Giovanni Palombarini, già Procuratore Generale Aggiunto presso la Corte di Cassazione, e Luigi Notari, membro della Segreteria Nazionale del sindacato di polizia SIULP.

Un linguaggio non privo di tecnicismi, ma una volta tanto comprensibile, per problemi che hanno coinvolto centinaia se non migliaia di manifestanti: sulla scorta del principio che il diritto penale è e deve rimanere diritto delle condotte individuali e non dei fenomeni collettivi, possiamo leggere riflessioni e riferimenti giurisprudenziali sul concorso di persone nel reato, sui casi nei quali è (o sarebbe) consentita l’applicazione di misure cautelali oppure di misure di prevenzione. E poi: “Fino a qual punto, secondo i dettami ed i limiti tracciati dalle attuali norme, colui che partecipa ad una manifestazione, o comunque ad attività connesse o preparatorie, è penalmente responsabile per i fatti connessi da altri in occasione del corteo o ai margini di esso?”.

Inoltre, con riferimento ai fatti del G8 di Genova (viene ricordato il giudizio di Amnesty International come “la più grave violazione dei diritti fondamentali avvenuta dal dopoguerra in una paese occidentale”), i giuristi del convegno hanno affrontato la questione del terrorismo.

Così il procuratore Enrico Zucca: “Lo Stato si sente sotto attacco, anche se non sono commessi reati contro la propria personalità. Sembra perdersi l’ovvia distinzione tra le azioni del terrorismo, che ha come obiettivo finale l’opposizione violenta allo Stato nella sua essenza di istituzione democratica nei sui gangli vitali e lo Stato inteso come governo, le maggioranze politiche contingenti, che subiscono un diverso e più diffuso contrasto dalle varie forme di protesta anche violenta. La protesta contro i governi è tuttavia il carattere essenziale della democrazia, senza che la degenerazione violenta che talora si manifesta possa mettere in discussione alcuna istituzione in sé, né tantomeno abbia come obiettivo la distruzione o l’abbattimento di essa” (pag. 52). Claudio Novaro, per quanto riguarda i procedimenti penali scaturiti delle proteste contro l’Alta Velocità in Val di Susa, vede un “apparato scenico militarizzato” che contrasta con la necessità di incombenti processuali svolti in contesto di “riservatezza, tranquillità, non influenzato da sollecitazione esterne”, e che “sembra funzionale a incrementare la sensazione di allarme sociale che accompagna i processi, anche quelli per vicende modeste” (pag.71). Ed ancora, con linguaggio che ci ricorda come Novaro sia un avvocato, e che ci risulta in sintonia con l’opinione di Zucca: “Sembra evidente, alla luce degli sviluppi ermeneutica indicati, che vi sia una distanza siderale tra le vicende valsusine e le fattispecie esaminate [ndr:“condotte con finalità di terrorismo”], che richiedono per un verso, il dolo specifico di sovvertire l’assetto democratico e pluralistico dello Stato, di distruggere o di intimidire la popolazione civile, per l’altro, l’idoneità di arrecare grave danno al Paese” (pag. 91).

Coerenti con lo spirito critico del saggio Giappichelli anche le osservazioni di Luigi Notari, membro del SIULP: “L’assunzione nel ruolo esecutivo dei nuovi poliziotti, carabinieri, finanzieri, pompieri, forestali avviene ormai esclusivamente tramite concorsi riservati ad appartenenti alle Forze armate, in servizio o congedati […] Si profila così, nelle forze di polizia, un’impostazione assai distante da quella che ha come obiettivo quella di dirimere pacificamente il conflitto sociale, in particolare in occasione dell’intervento nelle manifestazioni di piazza […] In questo modo si smarrisce l’orientamento della riforma del 1981, che faceva della smilitarizzazione uno dei capisaldi del nuovo progetto di polizia e che vedeva nella struttura militare un modello organizzativo con esso anacronistico. L’assetto militare mal si concilia con la complessità della società moderna” (pag. 113). Comunque la si voglia pensare è chiaro che la frase dei pm di Torino “Noi giudichiamo la condotta e non le idee” non fa una piega. Semmai rimane aperta la questione del “come”, proprio come ha scritto Ennio Lenti. Ed è anche vero che qualcuno potrebbe pure rimanere perplesso e a rischio “benaltrismo” nel vedere uno Stato che si mostra tanto rigoroso da chiedere nove anni e mezzo di reclusione per aver bruciato un compressore, ma poi magari in altra sede si fanno riforme costituzionali con condannati e si garantisce l’impunità a chi ha rubato milioni di euro. Sono fattispecie diverse – è evidente – ed oltretutto non abbiamo mai mostrato indulgenza nei confronti dei  teppisti e dei violenti di qualsiasi congrega politica, fossero ideologicamente rossi, neri, bianchi o a strisce; ma non era nemmeno necessario che Ennio Lenti ci ricordasse la differenza tra il “se” e il “come” per capire che c’è qualcosa che non torna.

Edizione esaminata e brevi note

Autori Vari, “Conflitto, ordine pubblico, giurisdizione: il caso TAV”, G.Giappichelli Editore, Torino 2014, pp. XVI-128

Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2014