“Io non ci sto, sono pronto a morire per Berlusconi e per questo ho firmato le mie dimissioni, come sono già morto una volta per Craxi”: così l’On. Sergio Pizzolante al momento di transitare nel “nuovo” centrodestra di Alfano (Fonte: Corriere della sera del 29 settembre 2013). Facile intuire che un “Dossier Craxi” al morituro in questione possa risultare indigesto, magari non da farlo morire per una terza volta ma di sicuro tale da fargli girare parecchio i coglioni. Difatti il dossier dedicato a Benedetto Craxi, detto Bettino, rispecchia in pieno le scelte editoriali della Kaos, già rilevate con la lettura delle monografie su Berlusconi e Don Verzè, come a voler completare il quadro di un ben affiatato gruppo di affaristi.
Anche in questo caso gli interventi redazionali sono ridotti al minimo e, rappresentando una sorta di biografia (malavitosa) costruita grazie a documenti, tra i quali le prolusioni ai congressi e in Parlamento, le richieste di rinvio a giudizio ed estratti di sentenze, le parti del libro leggibili, e quindi definibili come saggistica, si limitano all’intelligente prefazione di Giorgio Galli e agli estratti da articoli dell’Espresso e di altri periodici. Così il politologo milanese: “Soprattutto per responsabilità di Craxi, il Psi ha finito per essere identificato come il partito delle tangenti, delle corruttele, della ricchezza ostentata e dell’arroganza del potere. Le stesse tesi difensive di Craxi imputato (tutto il sistema dei partiti si alimentava con fondi neri, la pratica delle tangenti era generalizzata, la magistratura che finalmente applica la legge lo fa per un complotto politico, ecc), culminate nella latitanza a Hammamet, hanno consolidato l’immagine di un leader socialista campione dell’illegalità” (pag. 11). Ed è sulla base di questa realtà di bandito travestito da statista riformista che è costruito il Dossier (ricordiamo come la parola “riformista” sia stata sempre stuprata e mistificata al fine di giustificare l’ingiustificabile). I passaggi salienti della carriera di Bettino Craxi, col quale la politica e la conseguente la corruzione diventano concreta prassi quotidiana ed hanno ben poco di simbolico, raccontati in virtù una documentazione molto variegata, sono ormai noti e ben evidenziati nei paragrafi del libro: L’elezione alla segreteria del Psi (luglio 1976); Il governo della “non sfiducia” col Pci; Il “Progetto socialista” del 41° congresso; L’allarme di Berlinguer (estratto dall’intervista a Eugenio Scalfari del 28 luglio 1981: “la questione morale è il centro del problema italiano”); “Il Vangelo socialista”; “Compagno Craxi, siamo ancora socialisti?”; La Grande riforma; Lo scandalo Eni-Petromin; Il ritorno al centro-sinistra; Lo scandalo P2: Belzebù e Belfagor; Socialisti dissidenti; I due governi Craxi; Il decreto Craxi-Berlusconi; Il nuovo Concordato col Vaticano; La vicenda “Achille Lauro” e la crisi di Sigonella; Nel governo Andreotti VI; Tangenti a Milano; Le dimissioni dalla segreteria (febbraio 1993); I discorsi parlamentari contro i magistrati di “Mani pulite”; La maxitangente Enimont e le tangenti sulla Cooperazione; Il processo per il “Conto protezione”; Miliardi da Berlusconi in Svizzera; “Il tesoro del Psi è alle Bahamas e a Hong Hong” (da un intervista ad Antonio di Pietro del 15 gennaio 2001).
Che fine abbia fatto il decantato riformismo craxiano, con tanto di condanne passate in giudicato, lo possiamo cogliere bene grazie alla nota redazionale di pag. 421, in calce ad un estratto di sentenza: “Il 26 ottobre 199 la Corte d’Appello di Milano conferma che una società estera del gruppo Berlusconi (“All Iberian”) ha versato, all’inizio degli anni Novanta, 10 miliardi di lire a Craxi su conti esteri intestati a prestanome. L’ingente somma – sentenziano i giudici – è stata utilizzata dal segretario socialista in un’occasione per il partito (stipendi pagati ai redattori dell’Avanti), ma soprattutto per scopi personali: acquisto di un appartamento a New York, finanziamenti alla tv dell’amante Anja Pieroni, acquisto di due immobili intestati alla stessa Pieroni, affitto di una abitazione di Costa Azzurra, e bonifici ordinati da Craxi in favore di banche svizzere. La sentenza (che dichiara la prescrizione del reato) precisa inoltre che Craxi quando nel 1993 lasciò la segreteria del Psi non consegnò ai suoi successori i fondi contenuti nei conti esteri”. Se poi andiamo a leggere gli estratti dagli articoli, tra l’altro molto circostanziati, di Barbacetto, Gilioli, Rosanna Santoro, Riccardo Bocca e Adriano Botta sulla già citata Anja Pieroni, sulla cosiddetta “Portofino Connection”, sul sodalizio Berlusconi-Craxi, viene più di un sospetto sul fatto che l’ex segretario socialista, Cinghialone per i detrattori, non si limitasse al finanziamento illecito al partito. La sensazione (fisime di malfidati?) che qualcosa scivolasse nelle sue ed altrui tasche c’è eccome. Recupero significativo riguardo le carriere politiche dei nostri riformisti, risulta anche l’intervista dell’allora deputato socialista Fabrizio Cicchitto, rilasciata il 19 novembre 1993 ad un suo futuro compagno di partito, un Augusto Minzolini imberbe e non ancora in carriera da maggiordomo: dopo aver ricordato il “peso” della sua iscrizione alla P2, il nostro ha dichiarato “in pratica che Craxi e Martelli, attraverso i milioni di dollari piduisti affluiti sul Conto protezione, si comprarono il Psi. E racconta il partito craxiano di quegli anni come una consorteria politica dedita alle lotte di potere, lotte comprensive di corruttele” (pag. 321). Poi con Cicchitto, già membro della corrente di sinistra dei lombardiani, sappiamo com’è andata a finire: dopo il tracollo del Psi craxiano, fondatore del “partito socialista riformista” (mentre Boselli fondava lo Sdi), abbandona il centro sinistra e approda nel 1999 in Forza Italia, poi nel Pdl ed infine nel Ncd di Alfano.
Con buona pace dei tanti nuovi craxiani ad honorem tipo Fassino (“Non ci sono dubbi. Craxi è stato un politico della sinistra, nel solco della storia del socialismo riformista. Ha rivitalizzato il Psi [..] è stato un capro espiatorio”) che hanno riabilitato il loro antico avversario (forse una ritrovata sintonia di metodi e fini?) nel minimizzare il settimo comandamento e sentenze passate in giudicato (5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo ENI-SAI; 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito; salvo altri processi estinti per decesso dell’imputato), non c’è da scandalizzarsi se molti di noi, al di là di aver letto il libro della Kaos, a volte incappano in un refuso e parlano di Bottino Craxi. E’ un semplice lapsus freudiano.
Edizione esaminata e brevi note
“Dossier Craxi”, Kaos edizioni, Milano 2010, pag. 448. Prefazione di Giorgio Galli
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2013
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