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Dossier don Verzé

Pubblicato il: 29 Marzo 2016

I funerali rappresentano spesso l’occasione per magnificare oppure per edulcorare quanto combinato in vita dal defunto; e a quanto pare anche nel caso di Don Verzé la prassi è stata rispettata. Così si è espresso, il 2 gennaio 2012, il vescovo di Verona, mons. Zenti, in occasione del funerale del discusso prete: “In lui un eccesso di amore per i malati”. Vittorio Sgarbi, in vena di difendere i sacerdoti alla sua maniera e che poco prima si era lasciato andare ad una sua performance (“Erano i ragazzini a farsi toccare da Don Gelmini”), su Don Verzé ha aggiunto: “ha sempre fatto del bene e chi gli attribuisce volontà di frode è un coglione”.

E’ vero che il prete-affarista, in vita e poi da morto, malgrado il tracollo del San Raffaele, il suicidio di Mario Cal e i tanti procedimenti giudiziari, ha ricevuto insospettabili attestati di stima, anche da sinistra; ma è proprio vero, come dice Sgarbi, che criticare Don Verzé, già sospeso a divinis, sia esercizio di coglionaggine? Leggendo le cronache giudiziarie non sembra proprio esatto. A parte le facili battute, molti di noi conoscevano questo prete-manager per aver letto sui quotidiani di gesta a dir poco sconcertanti. Ma sempre tutto in maniera poco organica.  “Dossier Don Verzé”, giustamente lodato da Marco Travaglio come “prezioso”, pur non rappresentando una biografia, ha il merito di presentarci oltre quattrocento pagine fitte di documentazione ordinata per argomento, dedicata tutta al prete-affarista e che spiega bene cosa si muoveva intorno al presunto miracolo del San Raffaele e degli affari mondani del prete. Edito dalle edizioni Kaos, altrimenti note per alcuni libri discutibili, “Dossier Don Verzé” non raccoglie testimonianze e tesi semplicemente di parte. E’ semmai una raccolta, a cura di Lorenzo Ruggiero, di inchieste, cronache giornalistiche ed atti giudiziari, ovvero qualcosa che difficilmente può essere archiviato come malignità e scientifico esercizio di diffamazione.

In “Primi anni: miracoli e scandali” troviamo da subito una serie di pagine dedicate alla sorprendente nascita della clinica privata San Raffaele all’inizio degli anni settanta (contro il parere della Regione), “propiziata da un triplo miracolo di genere politico-affaristico: un finanziamento statale di ben seicento milioni di lire, l’attribuzione ministeriale della prestigiosa qualifica di Istituto di ricovero e cura a carattere scientifico, e una vantaggiosa convenzione con l’Università statale di Milano”. Forse pochi lo ricorderanno ma, in questo contesto che odorava mazzette e sotto l’occhio vigile della magistratura e di tanti cittadini indignati, si è inserita la faccenda relativa ai mutamenti di rotta degli aerei civili in quel di Milano. In merito leggiamo anche un’inchiesta di un giovane Leo Siegel pubblicata nel 1973 dal “Candido”, scritta con piglio particolarmente aggressivo, quando il futuro direttore di Radio Padania  militava ancora in una destra caratterizzata da scarsa alfabetizzazione democratica ma pur sempre piena di spirito legalitario: “mutamenti che costituiscono un gravissimo pericolo per i viaggiatori, ma che sono imposti dai ras politici dietro i quali si nascondono gigantesche speculazioni edilizie dei quartieri residenziali Milano 2 e Milano San Felice […] In poche parole: gli speculatori edili di Milano 2 (Edilnord) per valorizzare e vendere più facilmente gli appartamenti nel loro quartiere giardino, hanno ottenuto dal ministero dei Trasporti di togliersi dalla testa gli aerei in partenza dal vicinissimo aeroporto e dirottarli, col loro insopportabile frastuono, sulle case dei cittadini di Segrate e delle sue frazioni” (pag. 28-35).

Sorvoliamo pure sul paradosso di un’inchiesta da parte di un giornalista di destra per un settimanale di destra che ha visto tra i bersagli un imprenditore che poi negli anni novanta diventerà riferimento politico per la destra, ma già da questo articolo possiamo cogliere come il rapporto tra Don Verzè e Silvio Berlusconi, consolidato proprio con questa gestione disinvolta di pratiche edilizie, nacque in tempi lontani; e che da subito ha fatto sospettare gli inquirenti e i cittadini di buon senso. Del resto che Don Verzé fosse un prete molto particolare l’avevano capito anche i suoi colleghi di tonaca, non soltanto in occasione della sospensione a divinis. Da un’intervista di Panorama del 1996, a cura di Luigi Offeddu, leggiamo: “Trentacinque anni fa, l’allora cardinale Montini le disse seccamente: Lei vuole fare i soldi. Che cosa risponderebbe oggi, a quell’accusa? Forse il cardinale Montini non direbbe più quelle parole. Comunque risponderei che noi del San Raffaele, i soldi non li abbiamo fatti. Li abbiamo adoperati, il che è un’altra cosa” (pag. 125). Stesso concetto nell’intervista rilasciata all’Avvenire nel 1997 e intitolata “I soldi, stupenda invenzione di Dio”: “Viaggia in Mercedes top class, ha uno studio arredato come quello di un vip, gira assegni per miliardi e miliardi. Ed è un prete […] Lei quanti soldi ha? Nulla. Non ho neanche il conto in banca. Non è stipendio né assicurazione sociale. Mi sento molto somigliante a San Francesco” (pag. 128).

Su san Francesco effettivamente ci sarebbe molto da discutere, non fosse altro che della vita privata di questo prete si è saputo poco, cosa combinava nella sua villa, come passava il tuo tempo quando si rifugiava in Brasile. E se quanto è venuto fuori non lo faceva molto francescano, più noti sono i suoi guai giudiziari ed il fatto che, condannato, l’abbia fatta franca grazie alle prescrizioni abbreviate dalle leggi ad personam. Quindi ecco un altro aspetto molto poco spirituale che ha legato Don Verzè all’amato premier Silvio Berlusconi, già gratificato di lodi sperticate: “Silvio Berlusconi? Un dono di Dio” […] “Grazie a te caro Silvio, che porti la croce di questi tempi nel nostro caro Paese” (pag. 389).

Peraltro c’è una parola, in particolare una via, molto presente tra le righe del Dossier, che avvicina il prete e il Signore (di Arcore)). E’ via dell’Olgettina, sede legale del San Raffaele ed anche luogo dove le ospiti delle feste eleganti hanno i loro appartamenti: praticamente porcate finanziarie e porcate con le porche. Il “Dossier” enumera poi tutta una serie di vicende che fanno comprendere come il vero miracolo di Don Verzé non sia stato il San Raffaele, ma non essere finito in galera.

In “Il metrò privato pagato dal pubblico” Ruggiero ha raccolto degli articoli che mostrano questo prete nella sua “dimensione di imprenditore privato a spese del pubblico”. Parimenti con il “Business della morte” dove si rileva come, al di fuori da ogni regola, l’ospedale San Raffaele abbia stipulato una convenzione con l’Impresa Pompe funebri Generali srl, accordo che “in sostanza attribuisce a quella ditta una specie di monopolio. Si dà il caso che il socio della Generali srl sia Redentina Befana, moglie di Mario Cal, il vicepresidente del San Raffaele” (pag. 177). In “Ricettazione di quadri rubati” si ricorda come Don Verzé a metà degli anni novanta sia finito sotto processo per ricettazione di due quadri rubati di notevole valore e poi condannato nel 1997 a un anno e quattro mesi di reclusione. Vicende estremamente complicate che hanno voluto dire ulteriori inchieste legate agli affari immobiliari con Silvio Berlusconi, le condanne per tangenti e abusi edilizi (in gran parte venute meno per prescrizione), le amicizie politiche come quella con Craxi, i rimborsi al San Raffaele: “L’ipotesi base dei pm Prete e Raimondi – convalidata dal gip Tranfa – è che nei più prestigiosi centri di cura milanesi abbia operato per anni, fino al 1997, lo stesso sistema di rimborsi gonfiati che aveva arricchito il professor Poggi Longostrevi, il re dei laboratori, che ha confessato una truffa sanitaria da 60 miliardi” (Paolo Biondani, Corriere della sera, 19 febbraio 1999).

In mezzo anche i servizi segreti deviati: “I raffaelliani, gli uomini di Don Luigi Verzè che hanno scalato le istituzioni. Personaggi come l’ex funzionario del Sismi Pio Pompa, che dopo aver servito per anni la causa del prete-manager ha continuato a lavorare per il sacerdote amico di Berlusconi anche dagli uffici del servizio segreto militare diretto allora da Niccolò Pollari…” (Marco Lillo, Il Fatto quotidiano, 12 gennaio 2010). L’epilogo è noto e Lorenzo Ruggiero in “Un suicidio e il fallimento” lo sintetizza efficacemente come introduzione all’ultima serie di articoli: “Il 18 luglio 2011 il vice di Don Verzé, Mario Cal, si suicida con un colpo di pistola alla testa. E’ il primo, drammatico effetto di un dissesto finanziario la cui entità, coperta di segretezza, è un voragine debitoria valutata dapprima in un miliardo di euro, poi in un miliardo e mezzo. La crisi del San Raffaele occupa le cronache dell’estate 2011. Il Vaticano, attraverso lo IOR, si candida a rilevare l’ospedale dei miracoli impegnandosi a pagare, attraverso il concordato, una parte dei debiti. La procura della repubblica di Milano indaga sul suicidio di Cal e chiede il fallimento del San Raffaele. Intanto i giornali (in particolare il Corriere della Sera, con i suoi giornalisti Mario Gerevini e Simona Ravizza), cominciano a raccontare le scorribande affaristiche di Don Verzè, in Italia e all’estero, tra sperperi e megalomania, sospetti di false fatture, voci su fondi neri e tangenti ai politici” (pag. 438).

Edizione esaminata e brevi note

“Dossier don Verzé. Opere, miracoli, maneggi e scandali di un prete manager col dio denaro” (a cura di Lorenzo Ruggiero), Kaos edizioni, Milano 2011, pag. 468

 Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2012