Ricordate le recenti promesse di “liste pulite”? Non è dato sapere a quali criteri di pulizia abbiano fatto riferimento i partiti in corsa per le elezioni, anche perché se vedi sparire un cosiddetto impresentabile ne scopri altri dieci che quanto a guai con la giustizia o col casellario giudiziario non sono messi affatto bene. Alcuni nomi su tutti: Luigi Cesaro, Raffaele Fitto, Denis Verdini, Roberto Formigoni, Giulio Camber ed altri che non sembrano proprio gigli di campo, ma messi in lista perché comunque considerati vittime di pubblici ministeri politicizzati, comunisti. Insomma, uno schema difensivo noto ormai da venti anni, ma sempre efficace per rassicurare ed aizzare almeno una parte di elettorato.
Ma in queste elezioni 2013, a fronte della solita pattuglia di condannati e indagati per reati gravissimi, qualcuno si è ritrovato a terra. Se è stata un’operazione di maquillage quanto meno sommaria, dove i cosiddetti impresentabili esclusi si contano sulle dita di una sola mano, però bisogna capirli: non sono abituati e la cosa provoca molta sofferenza. Sofferenza anche nel caso dell’on. Nicola Cosentino che, dopo giorni di psicodramma, non è stato inserito nelle liste Pdl e, come ha dichiarato Berlusconi, a causa un clima giudiziario persecutorio: “Abbiamo dovuto chiedere ai nostri amici e colleghi di rinunciare ad essere presenti nelle liste elettorali perché dei pm politicizzati li avevano attaccati e questo poteva diminuire il consenso”. E poi ancora: “Non ho rinunciato alla battaglia garantista, ma nel caso di Cosentino e di altri amici abbiamo ritenuto opportuno chiedere loro di fare un passo indietro perché aggrediti dalla magistratura con false accuse”. E’ vero che nel nostro sistema soltanto dopo una condanna definitiva si sconta la pena, ammesso e non concesso che i processi giungano a termine, ma è altrettanto vero che molti di noi non pensano benissimo quando ci sono richieste di custodia cautelare per reati gravissimi, accuse di pentiti, magari condanne in primo e secondo grado. Mentre da quelle parti l’idea di “saltare un giro”, affrontare i processi e poi valutare se si è colpevoli o meno dei reati attribuiti, pare non sia molto popolare. Possiamo immaginare che non lo sia stato neppure dalle parti dell’on. Nicola Cosentino, protagonista assoluto del “Casalese”. O per essere più precisi: “Il Casalese. Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro” (Terra di Lavoro” era una regione dell’Italia Meridionale legata alla Campania e, oggi, suddivisa tra le regioni amministrative di Lazio, Campania e Molise).
Il libro, scritto da un gruppo di giornalisti campani (Massimiliano Amato, Arnaldo Capezzuto, Corrado Castiglione, Giuseppe Crimaldi, Antonio Di Costanzo, Luisa Maradei, Peppe Papa, Ciro Pellegrino, Vincenzo Senatore), ricordo essere stato oggetto di tali contestazioni da parte dell’entourage di Cosentino che si temeva venisse fatto sparire. A fronte di alcune correzioni poi effettuate nella seconda edizione del libro però non si capisce su quali basi si potesse pensare a un sequestro o ad una qualche inibizione: gli autori, nel raccontare la storia politica ed affaristica di Cosentino e della sua famiglia, e parimenti tutte le vicende, le alleanze imbastite dalla destra campana e casertana, mi sembra si siano mossi con attenzione, citando fonti, intercettazioni, documenti della magistratura. Quanto basta per mettersi al riparo da accuse di diffamazione. Quella del “Casalese” non è una storia semplice, ma semmai tante storie tutte molto complicate, dove l’intreccio di politica, imprenditoria, affari, crimine risulta costante, sempre in simbiosi. E comunque la si voglia pensare, c’è di mezzo una famiglia complicata. Basta aprire wikipedia e balza agli occhi che Cosentino “è parente acquisito di diversi camorristi: suo fratello Mario è infatti sposato con Mirella Russo, sorella del boss dei casalesi Giuseppe Russo (detto Peppe O’ Padrino), che sta scontando un ergastolo per omicidio e associazione mafiosa; un altro fratello è sposato con la figlia del boss Costantino Diana, poi deceduto”.
Questa solo come premessa. La biografia del “Casalese”, di fatto una raccolta di approfondite inchieste giornalistiche, è ben scritta, ma, in considerazione dei ben nove autori, costruita forse in maniera poco organica (ad ogni autore un capitolo): affronta tutti gli aspetti più controversi della carriera politica e affaristica di quello che è stato il potentissimo coordinatore campano del Pdl e sottosegretario all’Economia con delega al CIPE; fino ai guai giudiziari che hanno voluto dire richieste di arresto negate dalle Camere, coinvolgimento nell’ambito del riciclaggio abusivo di rifiuti tossici attraverso la società per lo smaltimento dei rifiuti Eco4 (si leggano le rivelazione di dell’imprenditore Gaetano Vassallo), l’eolico di Sardegna e la nuova P2, i presunti rapporti col clan dei casalesi sulla base delle dichiarazioni di diversi pentiti, le indagini (con tanto di intercettazioni) sui dossier imbastititi per fermare l’ascesa del rivale Caldoro alla presidenza della regione. Nel 2011, come ci ricorda Ciro Pellegrino, è stata la stessa Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso presentato dal parlamentare contro l’ordinanza di custodia in carcere, emessa dal gip del Tribunale di Napoli e confermata dal riesame il 28 settembre 2010, a bollarlo come “socialmente pericoloso” (pag. 207); e prima era stata la Procura di Napoli a definire Nicola Cosentino il “Referente politico nazionale del clan dei casalesi”. Così il giudice Nicola Quadrano nell’ambito dell’inchiesta sulla costruzione del centro commerciale “Il Principe”: “Ciò che viene contestato sono i suoi interventi in due momenti cruciali dell’iter di avvio del progetto menzionato, quello delle autorizzazioni amministrative e quello del finanziamento bancario […]. Un progetto nel quale sono stati impiegati capitali mafiosi e che avrebbe dovuto consentire il riciclaggio di ulteriori capitali mafiosi” (pag. 197).
“Il Casalese” è quindi una biografia che non dimentica le controverse origini e le fortune patrimoniali della famiglia, e che rappresenta anche il quadro di amicizie imprenditoriali e politiche che hanno permesso l’ascesa al parlamento di Nick o’ mericano. Pensiamo a Luigi Cesaro “Giggino ‘a purpetta”, sodale di Cosentino fino poche settimane fa, che viene raccontato per i suoi antichi rapporti con esponenti della Nuova Camorra Organizzata, senza dimenticare il collaboratore di giustizia Gaetano Vassallo che lo ha indicato come “fiduciario del clan Bidognetti”. Oppure pensiamo a Carlo Sarro “il più fidato e ascoltato tra i consiglieri di Nicola ed anche di Giovanni Cosentino, la mente delle iniziative imprenditoriali della famiglia casalese” (pag. 66), senatore, docente universitario, vicepresidente dell’Ato 2 e soprattutto (udite udite) “garante della legalità del partito del Popolo della Libertà”.
A proposito di come il concetto di legalità possa risultare elastico e diversamente interpretabile, balza agli occhi la vicenda dell’Aversana Petroli S.r.l. (l’azienda dei Cosentino), alla quale nel 1997, causa le parentele compromettenti, la Prefettura di Caserta negò il certificato antimafia. Poi nel marzo 2006 il prefetto Maria Elena Stasi capovolse “completamente l’orientamento del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica e dei suoi predecessori. Rilasciando il certificato antimafia all’Aversana Petroli Srl […] Maria Elena Stasi è oggi deputata Pdl” (pag. 130). Massimiliano Amato ha ritenuto di sintetizzare così il metodo di potere dei Cosentino, quanto meno in rapporto a chi l’ha preceduto: “Gava e Bassolino sono politici a tutto tondo, che nella fase di costruzione dei rispettivi sistemi di potere stabiliscono interlocuzioni privilegiate con il mondo economico e delle imprese, sulla base di uno scambio riassumibile nello schema tradizionale consenso – favori – consenso. Nel caso di Cosentino, studiando la storia della famiglia, emerge chiaramente come la carriera politica dell’ex sottosegretario sia stata scientificamente pianificata […] come se nel caso del coordinatore campano del Pdl fossero evaporati del tutto i confini (sempre presenti nella storia della Campania, come dimostrano tutte le altre inchieste sui rapporti tra politica, mondo degli affari e clan) fra i tre ambiti [ndr: politica, impresa e camorra]” (pag. 122). “Il Casalese” non dimentica altre vicende controverse che hanno a che fare con imprese, personaggi e politici tutt’altro che ignoti al clan Cosentino: dal “treno maledetto” della strage di Viareggio, a Carboni e la P3, alle amicizie alquanto discutibili delle papi girl.
Chiude il volume un breve saggio del prof. Gianni Cerchia, dal tono decisamente accademico e del quale conviene leggere qualche passo: “Il provincia di Caserta il fenomeno [ndr: mafioso] cambia relativamente pelle, perdendo il suo connotato urbano e plebeo, assumendo caratteristiche che la portavano – quasi naturalmente – ad assomigliare all’esperienza siciliana della mafia: una maggiore articolazione delle attività illegale, una presenza meno ostentata e visibile (tipica invece della guapperia), un’organizzazione più stringente e piramidale” (pag. 232). La seconda edizione del “Casalese” risale al gennaio dell’anno scorso e già molte cose sono cambiate, come appunto il “tradimento” di Cesaro, candidato nonostante i guai giudiziari, quando invece l’ex sodale Nicola Cosentino dovrà vedersela con i magistrati senza lo scudo dell’immunità parlamentale. A quel punto si spera potremo capire meglio dove finiscono le amicizie pericolose e dove invece iniziano i reati accertati con sentenze passate in giudicato.
Edizione esaminata e brevi note
Autori Vari, “Il Casalese. Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di lavoro” (collana Fatti & misfatti), Edizioni CentoAutori, Villaricca 2012, pag. 256
Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2013
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