Autori Vari

No Tav d’Italia.Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio

Pubblicato il: 29 Marzo 2016

Il “No Tav” del titolo potrebbe creare forse qualche equivoco e quindi è giusto chiarire da subito che il libro a cura di Anna Pizzo e Pierluigi Sullo è qualcosa di diverso rispetto opere che già hanno trattato l’argomento Alta Velocità e Val di Susa. Qualcosa di diverso ma anche qualcosa di più. Se Ivan Cicconi ha spiegato in particolare i meccanismi truffaldini che stanno alla base del sistema Tav ufficializzato con la cosiddetta “legge obiettivo”, se Calafati ha analizzato il ruolo della televisione e dei giornali che non informano ma disinformano, se altri autori hanno preso in esame la condizione precaria dei lavoratori impiegati a cementificare l’Italia oppure hanno proposto una summa di tutti questi temi, il libro “No Tav d’Italia”, corredato da numerose foto, pur dando grande spazio alle ragioni dei cittadini della Val di Susa e quindi degli italiani più accorti e ben consapevoli della propaganda che spaccia lo spreco di risorse pubbliche e ambientali per sviluppo, fa il punto della situazione su vicende, spesso oscurate dai media, che vedono cittadini e movimenti impegnati a contrastare lo scempio del loro territorio. Leggiamo quindi, con un intervento di Roberto Cuda, dei “No Tem”, impegnati contro la nuova Tangenziale est di Milano, progetto sostanzialmente inutile ma che, grazie ad un’ulteriore cementificazione nella regione più cementificata d’Italia, rappresenta una sicurezza per saccheggiare altro denaro pubblico. Poi i Cat, Comitati ambiente e territorio del Brenta (Mattia Donadel) che, in un’area del Veneto già in sofferenza, si oppongono al Piano Territoriale Regionale di Coordinamento; il Comitato No grandi navi a Venezia (articolo di Tommaso Cacciari); i tanti cittadini che, nelle Marche, si sono organizzati contro il consumo del suolo (Olimpia Gobbi); il comitato che da anni, spesso circondato dall’indifferenza di amministratori e abitanti, si spende per impedire lo scempio del tunnel Tav sotto Firenze (i contributi sono di Maurizio De Zordo, Tiziano Cardosi e Roberto Budini Gattai ). Ed inoltre possiamo leggere di tutti quei movimenti che, al di là delle cosiddette Grandi Opere, si sono mobilitati contro la discarica del Castagnaro a Pozzuoli (Andrea Policastro), o per la difesa di Cinecittà a Roma (Sandro Medici).

Di sicuro interesse anche l’articolo di Luca Mercalli, “Il sovrasfruttamento dell’unico pianeta che abbiamo”, dove il titolo dice tutto e smentisce l’idea che sia poi tanto razionale consumare territorio per sviluppare non si sa cosa se non dei “colossi dai piedi d’argilla” e un gigantismo infrastrutturale che ha oltretutto un difetto di fondo: “è estremamente rigido. Nel senso che quel progetto serve ad una sola cosa e, se fallisce, non possiamo usarlo per fare qualcos’altro, neanche mettere il cibo in fresco, perché fa troppo caldo nel tunnel”(pag. 35). In tema più propriamente di Tav e Val di Susa gli articoli sono “Il più grande affare del secolo”, di Ezio Bertok, “Fermo immagine” di Claudio Giorno e Chiara Sasso, oltre alle “14 risposte, lettura critica del documento Tav Torino-Lione” che, già presente da tempo in rete, ha letteralmente sbriciolato tutte le stitiche affermazioni presentate dal governo “tecnico” per propagandare l’indispensabilità dell’opera.

Malgrado il libro a cura di Anna Pizzo e Pierluigi Sullo concentri l’attenzione soprattutto alla varietà dei movimenti e quindi ad una cittadinanza ben distante dalla certe caricature “nimby”, in particolare nell’articolo di Mattia Donadel, c’è un passaggio che, ben sintetizzando quello che altrimenti Cicconi ed altri hanno spiegato con dovizia di particolari, spiega l’accanimento che tanti hanno nell’imbastire opere di questo genere. Conviene riportarlo per intero: “Il meccanismo è fin troppo chiaro: dapprima sono i colossi delle costruzioni o le società concessionarie delle autostrade a farsi avanti, proponendo alla ragione e allo Stato nuove grandi infrastrutture con il sistema del Project Financing; la contropartita sono concessioni d’uso quarantennali a rischio zero e guadagni miliardari assicurati. A questo punto l’ente pubblico competente dichiara la pubblica utilità dell’opera, blinda l’approvazione del progetto attraverso strumenti come Legge Obiettivo e Commissari Straordinari, e indice gare di appalto che finiscono nelle mani delle solite cordate, amiche alternativamente del centro-destra o del centro-sinistra. Intanto, società immobiliari a scatola cinese, di cui spesso fanno parte anche le ditte appaltatrici, acquistano per tempo i terreni agricoli intorno agli svincoli delle nuove arterie e questi terreni, con la complicità dei comuni, subiscono da lì a poco il cambio di destinazione d’uso in zone produttive o commerciali. Il loro valore si moltiplica per dieci o venti volte e il gioco è fatto […] e in ogni caso le colate di cemento sono sempre un’ottima occasione per il riciclaggio di denaro sporco! (pag. 153).

I contributi presenti nel libro sono tanti, come tanti sono gli scempi in atto, e quindi risulta quasi impossibile dare conto di tutto nei limiti di una recensione. Rimane semmai l’impressione che all’apparente irrazionalità di certi progetti si aggiungano non pochi equivoci da parte di coloro che giustamente si impegnano per una diversa idea di sviluppo e progresso. Nel nostro paese esiste un sistema che, grazie alla cementificazione e all’approvazione di mega-progetti, trascurando deliberatamente tutte le necessarie manutenzioni al territorio italiano e regalando risorse finanziarie a cooperative e grandi gruppi legati ai partiti, di fatto crea debito pubblico. Come giustamente ha scritto Cicconi, è una specie di sistema keynesiano al contrario, perverso, dove comunque finisce che è lo Stato a cacciare i soldi. Il paradosso, non so se soltanto italiano, è che una politica di spreco viene sostenuta a spada tratta da personaggi e partiti che si spacciano per liberali-liberisti, quindi teoricamente con una particolare attenzione all’equilibrio dei conti pubblici. Mentre la sinistra cosiddetta antagonista spesso si trova a supportare questi movimenti, usando le parole d’ordine non soltanto dell’anticapitalismo ma anche della tenuta di quei conti pubblici che dovrebbe invece essere priorità della cosiddetta destra.

Non è un azzardo dire che la confusione di idee regna sovrana. Le conseguenti considerazioni sull’assurdità di politicizzare progetti tecnici e quello che dovrebbe essere mero esercizio di buon senso (“è contrario al Tav quindi è comunista”) ve le risparmio. Come superflue sono le considerazioni sui tanti conflitti d’interesse, presenti anche nel governo Monti, che spingono per le cosiddette grandi infrastrutture inutili. La morale della favola è chiara: in Italia grande opera significa grande fregatura.

Edizione esaminata e brevi note

Autori vari, No Tav d’Italia.Facce e ragioni dei cittadini che difendono il territorio, a cura di Anna Pizzo e Pierluigi Sullo, Intra Moenia, Napoli 2012, pp.249

Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2012