“Guardava il ritratto appeso in classe e prometteva solennemente che non avrebbe più fatto disegni cretini. Imparava poesie a memoria e le ripeteva tra sé e sé, perché sapeva che Lenin le sentiva, gli era apparso anche in sogno” (pp.46): così Saša Vakulovskij, una ragazzino di nove anni che vive in un piccolo villaggio nel Sud dell’Unione Sovietica. Un’età non proprio spensierata, alle prese con l’intransigente maestra Nadežda Petrovna, una scuola distante dal suo ambiente contadino, emarginato in una società formalmente di uguali. Lo spaesamento di Saša, che spera di diventare presto “pionere” ma continua ad accumulare brutti voti e si consola trafficando nel bosco vicino casa e in compagnia dei suoi porcelli, non è da intendersi come un vero e proprio distacco dalla comunità scolastica: come tutti i suoi compagni, condivide l’indottrinamento della micidiale pedagogia comunista; al punto da prendere alla lettera gli slogan e le mirabilie raccontate dai precettori di partito. L’autentico egualitarismo del regime è quello delle illusioni, dispensate a dosi massicce e senza alcun timore del ridicolo. Lenin è l’eroe assoluto, il martire della fede anticapitalista, l’uomo buono che “lavorava gomito a gomito con gli operai” (pp.29). Il mondo capitalista, agli occhi dell’aspirante pioniere e nelle parole dei maestri di vita leninista, è invece qualcosa di terribile: “I bambini americani non lo vedono mai lo zucchero. Lavorano per un borghese tutto il santo giorno e, invece di essere remunerati, vengono picchiati con la frusta e tenuti in un seminterrato. Per questo, bambini, dobbiamo essere felici di vivere nell’Unione Sovietica, e di poter studiare tranquilli e mangiare pane e burro…” (pp.30). Un argomento didattico, a quanto pare, ricorrente: “Vediamo ancora…i bambini capitalisti hanno da mangiare la mattina? – Nooo. E non vanno neppure a scuola, perché i loro genitori sono molto poveri e li tengono negli scantinati […] Ma i capitalisti rispettano la natura? – Loro non rispettano la natura […] Secondo te, Stela, Lenin ha mai spezzato il ramo di un albero? – Lenin non ha mai spezzato nessun ramo” (pp.165). Quanto basta per correggere parzialmente la più consueta definizione di “romanzo di formazione” in “romanzo di disinformazione”. La propaganda più asfissiante e assurda, le adunate più ridicole, si trasformano in virtù dello sguardo innocente del bambino Saša; perché, in fondo, quando leggiamo di un romanzo “sospeso tra realtà e sogno”, potremmo ancora precisare “tra realtà e fiabe sovietiche”. Anche i momenti più grotteschi, quelli svelano una realtà ben poco paradisiaca, se visti con gli occhi del bimbo ingenuo, possono trasformarsi in qualcosa di delicato ed esilarante. Ad esempio quando gli scolari sono sottoposti a visita sanitaria con l’aiuto delle compagne più grandi: “Saša percepì una piacevole languidezza e avrebbe voluto appoggiare il viso al ventre della ragazza e stringerla tra le sue braccia. Sentì la bocca di lei farsi più vicina al suo orecchio, le dita spostargli dolcemente il capo, sentì il suo calore e le sue labbra muoversi: ‘Hai i pidocchi, dì a tua madre di controllarti quando torni a casa’ gli disse a bassa voce e nessuno la udì […] Saša avrebbe voluto che anche lei avesse i pidocchi, e lui non avrebbe detto niente a nessuno. L’avrebbero saputo soltanto loro due, senza dirlo a nessuno….” (pp.37).
Il racconto di Savatie Baștovoi, viste le premesse, si sviluppa grazie alla presenza di due o più registri che spesso s’intersecano senza soluzione di continuità: la terza persona, i monologhi di Saša che riproducono il mondo fantastico del leninismo applicato alla vita quotidiana; le vicissitudini degli abitanti del villaggio, che pure sono coinvolti in questo contesto favolistico (Nikolaj Arsenievič, intento a costruire un’immensa scala e a progettare un allevamento di conigli nella foresta); alcuni brevi momenti, quelli stilisticamente più poetici ed allucinati, che sembrano invece provenire da una mente matura e soprattutto disillusa; le apparizioni, forse in sogno, di un certo Vladimir Il’ič, probabilmente quell’eroico personaggio che, col suo pseudonimo, da lì a poco sarebbe stato celebrato dalla chiesa sovietica. Dedicandosi a questo pregevole libro, in cui l’ironia è pervasiva, la comicità non è mai disgiunta dall’intento di criticare ferocemente la vuota retorica del regime comunista, Savatie Baștovoi evidentemente non ha voluto dimenticare i suoi trascorsi di poeta, disseminando qua e là figure retoriche e sinestesie: “Il sole conservava ancora i rumori della sfilata quando s’incamminò verso il bosco con la vanga in spalla” (pp.201). Proprio questa presenza ricorrente dell’elemento naturale, del bosco, luogo dove Saša va a raccogliere le erbe per i maiali ma anche dove si concretizzano gran parte delle sue fantasie, ci ricorda che Savatie Baștovoi, intellettuale e scrittore, è innanzitutto un “monaco sacro”. Una riflessione da approfondire, forse non del tutto stravagante visto che la spiritualità ortodossa non contempla una vera e propria discontinuità tra livello naturale e livello soprannaturale; e così la sostanziale continuità tra la vita della chiesa e la vita quotidiana. Ricordiamo inoltre Anita Natascia Bernacchia che ha ottimamente tradotto dal rumeno “Iepuri nu mor”.
Edizione esaminata e brevi note
Savatie Baștovoi (nome laico Ștefan) è nato a Chișinău nel 1976. Suo padre, docente di filosofia, è stato un propagandista dell’ateismo scientifico, al quale egli stesso aderì in gioventù. L’ultimo anno di liceo viene ricoverato in un ospedale psichiatrico, dove scrive Un diazepam per Dio, che lo fa conoscere come poeta. Studia filosofia a Timișoara, facoltà che abbandona dopo due anni. Dal 1993 pubblica poesie, romanzi, racconti, saggi e articoli nelle principali riviste letterarie romene e moldave. Nel 1999 riceve la tonsura come monaco cambiando il nome in Savatie. Nel 2000 viene ordinato ierodiacono, e nel 2002 ieromonaco. Oggi vive nel monastero “Noul Neamț” di Chițcani, villaggio situato tra Tiraspol e Bender, nella regione separatista della Transnistria. “I conigli non muoiono mai” (“Iepuri nu mor”) è il suo primo romanzo tradotto in italiano.
Savatie Baștovoi, “I conigli non muoiono mai”, Keller (collana Passi), Rovereto 2015, pag. 256. Traduzione di Anita Natascia Bernacchia.
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2015
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