Bellezza Simone Attilio

Ucraina. Insorgere per la democrazia

Pubblicato il: 22 Settembre 2014

Non devono meravigliare le reazioni furiose all’articolo di Roberta Zunini, “L’internazionale fascio-comunista di Putin”, pubblicato sul Fattoquotidiano del 2 settembre 2014. Leggiamo qualche passaggio: “A Yalta, il fine settimana scorso, è avvenuto un piccolo ma intenso capovolgimento della storia, passato inosservato a molti media occidentali. Proprio per il suo valore simbolico, il Cremlino, anche se non direttamente, bensì ‘attraverso strutture parastatali’ – come ha spiegato il leader di Forza Nuova Roberto Fiore, unico italiano invitato – ha organizzato qui una due giorni intitolata ‘Russia, Ucraina, Nuova Russia: problemi e sfide globali’. Nonostante i numerosi ammiratori di sinistra, Vladimir Vladimorovic Putin all’incontro ha voluto solo gli esponenti dei separatisti filo-russi, i leader dei partiti nazional bolscevichi russi (che uniscono istanze comuniste a quelle naziste) e i leader di partiti e movimenti di estrema destra e ultra-nazionalisti europei, che sono dall’inizio della crisi ucraina al suo fianco [….] Fiore, così come i rappresentanti dei movimenti ultranazionalisti europei presenti concorda anche sul fatto che i separatisti hanno tutte le ragioni per combattere contro Kiev, che la vulgata rossa e rosso nera accusa dall’inizio di Maidan di fascismo”.

Il fatto che la giornalista sia stata tacciata di nazismo o di essersi venduta alla Troika, e chissà di che altro, denota magari un po’di confusione ideologica. Estremisti di sinistra che danno del fascista a chi critica Putin, quando poi si ritrovano ad usare le stesse parole di quei radicali di destra che vedono nello “zar” del Cremino – ex Kgb – un esempio di buona politica, potrebbe forse risultare singolare. Non in Italia. Il fronte pro-Putin, l’abbiamo ricordato più volte, dalle nostre parti è variegato e probabilmente maggioritario. Pensiamo appunto ai nostalgici di falce e martello, pacifinti rotti ad ogni esperienza; ai citati radicali di destra che considerano l’uomo forte e la democratura russa, al netto della mafia di Stato, un valido modello alternativo alle esangui democrazie occidentali; a quei pentastellati che si fanno sempre riconoscere per fedeltà assoluta alle teorie cospirative e alle sparate del loro capocomico; ai forzisti, renzusconiani conclamati e non, che non possono certo smentire gli affari del loro capo, già omaggiato di lettone (e forse di un bel po’ di ciccia fresca messa lì sopra); ai democratici berlusconizzati che certo non hanno dimenticato il “ma anche” veltroniano, chiave di volta per tutte le future ammucchiate; ai riflessi pavloviani dei leghisti, perennemente eccitabili quando qualcuno parla di secessione e contro l’odiata Europa. Facile intuire come anche la complessa vicenda dell’Ucraina del dopo Janukovyč, proprio in virtù di questo pregiudizio positivo nei confronti di Putin, sia stata spesso trattata come la contrapposizione tra un regime ferocemente nazionalista, nato da una rivoluzione pilotata dall’estero, e una Russia caritatevole e costretta ad intervenire in difesa di connazionali oppressi dalla violenza fascista di filoeuropei venduti alla troika. Discorso ben diverso per il libro di Simone Attilio Bellezza, socio dell’Associazione italiana di studi ucraini e ricercatore presso il dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento.

Il nostro autore è partito da lontano, ha raccontato le vicende legate al movimento nazionale ucraino dall’800 in poi, il lungo periodo della repressione sovietica e della russificazione e della collettivizzazione forzata, le tappe dell’incerta democratizzazione nel primo decennio dell’indipendenza dopo il crollo dell’Urss (la nomenklatura sovietica riciclatasi sotto la guida spregiudicata di Leonid Kučma e le trame degli oligarchi), le origini della cosiddetta “rivoluzione arancione” e le ragioni del suo sostanziale fallimento, lo scontento popolare nell’Ucraina di Viktor Janukovyč e la nascita del conflitto in Crimea. Magari gli esperti di storia dei paesi dell’est potranno lamentare l’eccessiva sintesi del libro di Bellezza, ma quello che ci è sembrato più rilevante è la considerazione del nazionalismo ucraino, ben diversa dall’attuale vulgata presente sui media: “la prima cosa che mi premeva sottolineare è che certe divisioni grossolane su base linguistica o religiosa per individuare una nazione non sono possibili nel caso ucraino. La nazione è, come ci ha insegnato Benedict Anderson, una comunità immaginata (nota bene: non immaginaria), ovvero l’elemento dirimente è il senso di appartenenza che i membri sentono nei confronti della comunità, più che una conseguenza del possesso di certi caratteri (come parlare una certa lingua) considerati tipici di una certa nazione. Ci aiuterà a pensare all’Ucraina come alla Svizzera: una nazione alla quale sentono di appartenere persone che parlano lingue differenti” (pag.6).

Questo aspetto lo ritroviamo, sempre secondo Bellezza, nel movimento che si oppose a Kučma: “sorse l’idea del diritto – dovere dei cittadini ucraini di protestare e di agire attivamente per migliorare il proprio paese: v’era un forte senso patriottico in questo movimento, ma di una patriottismo civile, non legato ad una concezione etnica della nazione, ma a quella di cittadinanza” (pag. 38). Anche le vicende più recenti vengono raccontate secondo una prospettiva tutt’altro che filorussa. Innanzitutto si rileva come la Russia di Putin in questi anni abbia aumentato il proprio impegno nello sviluppo dei cosiddetti soft powers, “ovvero quelle iniziative che puntavano ad una colonizzazione culturale e sociale dei vicini” (pag. 64). In merito poi alle proteste del Majdan: “la reazione violenta delle forze dell’ordine ha trasformato la protesta in favore di un accordo commerciale con l’UE in una protesta politica contro il regime. Il nome Euromajdan che viene dall’origine della proteste non deve trarre in inganno: come hanno dichiarato i manifestanti non si trattava più di accordi commerciali, ma di evitare che il paese si trasformasse in una dittatura” (pag. 66). Si è voluto sottolineare come, a torto o a ragione, i manifestanti in quel momento abbiano pensato di essere ad un bivio: decidere se il destino dell’Ucraina era diventare una democratura sullo stile putiniano oppure evolvere in una democrazia compiuta e lasciare ai ricordi la repressione poliziesca di Janukovyč. In altri termini una rivolta nata innanzitutto contro gli oligarchi, dove le formazioni di estrema destra hanno avuto un ruolo del tutto marginale e dove soprattutto il conflitto reale non è tra ucrainofoni e russofoni.

Putin, figura positiva per tanti nostri connazionali, se non autentico campione dell’antieuropeismo, lo ritroviamo nel capitolo finale, dedicato all’invasione della Crimea: “I mezzi di informazione internazionali russi hanno cominciato a trasmettere false notizie di discriminazione della popolazione russofona e persino episodi inventati di caccia al russo. Tale propaganda è funzionale alla creazione di un clima di instabilità nel quale la Russia possa operare militarmente […] il referendum si è svolto comunque in un clima di terrore […] i veri risultati del referendum sono stati pubblicati sul sito del Consiglio per i diritti umani del Presidente della Federazione Russa: al voto si è recato di fatto solo il 30% degli aventi diritto e fra questi solo la metà (quindi il 15% della popolazione della penisola) ha votato a favore dell’unione a Mosca” (pag. 82). Insomma una versione del conflitto Ucraina – Russia ben diversa da quanto raccontato in questi mesi dai Fabio Marcelli della situazione. Senza dimenticare Albano (il cantante) che, forte del suo successo in quel di Russia, non ha esitato a paragonare i separatisti russi con l’Istria italiana. Questi sono gli esperti di geopolitica che ci meritiamo.

Ma, fermo restando che è difficile pensare che nei paesi ex comunisti, fucina di autocrati di ogni genere, ci possa essere una manichea divisione tra “buoni e cattivi”, e soprattutto al di là delle scontate, nonchè necessarie, polemiche nei confronti dei filorussi autentici, va sottollineato che Attilio Bellezza sposa in pieno la versione occidentale, senza porsi particolari interrogativi sui motivi dei cittadini comuni che non si sono schierati contro le ingerenze russe; e tanto meno non sembra preoccuparsi dell’esistenza di una classe di autocrati ucraini. Come dire: col tempo vedremo se davvero i fatti gli daranno totalmente ragione.

 

Edizione esaminata e brevi note

Simone Attilio Bellezza, vive tra Torino e Kiev, è un esperto di storia dell’Europa orientale. Svolge attività di ricerca presso il dipartimento di Lettere e Filosofia dell’Università di Trento ed è tra i soci della Associazione italiana di studi ucraini. Ha pubblicato: Il tridente e la svastica. L’occupazione nazista nell’Ucraina centro-orientale (Franco Angeli, 2010).

Simone Attilio Bellezza, “Ucraina. Insorgere per la democrazia”, Editrice La Scuola (collana Orso Blu), Brescia 2014, pag. 98.

Luca Menichetti. Lankelot, settembre 2014