Così l’enciclopedia Treccani definisce l’urbanistica: “L’insieme delle misure tecniche, amministrative, economiche finalizzate al controllo e all’organizzazione dell’habitat urbano”. Praticamente una disciplina che si occupa (o dovrebbe occuparsi) degli aspetti gestionali, di tutela, programmativi e normativi dell’assetto territoriale, delle infrastrutture e dell’edilizia. Il condizionale però a questo punto è d’obbligo, e difatti il libro di Paolo Berdini, che si avvale dell’illuminante prefazione di Paolo Maddalena, altro non è che il racconto puntuale di decenni di mostruosità giuridiche, soprattutto a partire dal famigerato 1994, di truffe ai danni dei cittadini, per lo più disinformati o peggio convertiti ad una cinica superficialità: di fatto il massacro dello stesso concetto di urbanistica, una disciplina ormai ridotta al lumicino. E’ di ieri la notizia degli emendamenti del Pd renziano al piano paesaggistico della Toscana, ovvero F.I. 2.0 che fa proprie le proposte della F.I. originaria: una palese inversione di rotta rispetto l’impegno dell’assessore Anna Marson, che per anni ha tentato di porre qualche freno agli appetiti dei cementificatori, e la conferma di una prassi politica che in pochi anni ha cambiato il volto del nostro paese, rendendolo più brutto, più povero, più corrotto. Insomma, una nuova edizione di “Le città fallite” potrà pure essere aggiornata alle ultime porcherie imbastite dai nostri “riformisti”, ma la sostanza non cambierebbe affatto. Nessun passo in avanti se non quello verso il baratro. Il racconto di Berdini è preciso, impietoso e ripercorre le cause che hanno portato al fallimento delle città italiane: “Roma ha accumulato 22 miliardi di euro di deficit ed è una città praticamente fallita. Alessandria è stata dichiarata in default per un debito di 200 milioni. Parma ha un buco di bilancio di 850 milioni. Napoli è in stato di pre-dissesto. L’Aquila è ancora un cumulo di macerie, perché la ricostruzione non ha finanziamenti adeguati. Sono 180 i comuni italiani commissariati per fallimento economico”.
Per meglio comprendere il significato di un’opera come “Le città fallite” conviene leggere qualche passo dalla prefazione di Paolo Maddalena: “Un grave colpo all’urbanistica è dato da Bassanini, il quale non inserisce nel codice degli appalti del 2001 un emendamento per mantenere emendamento per mantenere il vincolo, posto dalla legge Bucalossi n. 10 del 1977, di destinazione degli oneri urbanistici per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria: da allora essi possono essere utilizzati anche per le spese correnti. In tal modo speculatori e amministratori comunali si trovano sullo stesso piano di interessi. Entrambi convergono sulla convenienza di distruggere il territorio per ottenere denaro […] E, come se tutto questo non bastasse, c’è lo Sblocca Italia di Renzi, che fa prevalere l’interesse alla costruzione delle ‘grandi opere’ sulla tutela del paesaggio, dei beni artistici e storici, della salute e dell’incolumità pubblica” (pag. XI-XIII). Una storia che parte da lontano, ben prima del ventennio berlusconiano (che ora prosegue sotto altro nome), e che Berdini ci ricorda senza fare sconti a nessuno. Del resto non potrebbe essere altrimenti: la responsabilità dello scempio è ripartita tra i governi di centrodestra, di quelli di centrosinistra e dell’attuale di centro-sinistra-destra. Inevitabile che siano ricordati gli slogan chiacchieroni dell’era renziana, con un esecutivo che si è ben guardato dal rottamare la legge obiettivo di Lunardi ed anzi, tra intemerate ed atteggiamenti sprezzanti, si è fatto vanto di aver emanato lo “Sblocca Italia”, forse la legge più orrida di questi ultimi anni, promulgata in palese spregio della Costituzione e dei “comitatini” (cit. Matteo Renzi).
Difatti l’analisi di Paolo Berdini, pur partendo dalla distruzione sistematica del welfare urbano, ha dovuto toccare altri temi che stanno necessariamente in relazione agli opachi maneggi dei nostri amministratori e alla loro logica di rapina: “non ci sono soldi, ci dicono, anche se molte grandi opere inutili costano alla collettività somme assai più grandi di quelle necessarie a migliorare le città” (pag. 6). A fronte di quello che stanno combinando in città come Roma, Parma, Napoli, Milano, L’Aquila, “La Costituzione rappresenta il baluardo anche contro gli attuali quattro fronti di offensiva del neoliberismo in crisi: l’attacco alla casa delle famiglie italiane; la perpetuazione delle sperpero di denaro pubblico in grandi opere inutili; la svendita del patrimonio immobiliare statale; la definitiva cancellazione del welfare urbano (pag. 21). Una precisazione: Berdini è chiaramente un uomo di sinistra e forse il frequente riferimento al “neoliberismo”, quale ideologia che sta alimentando la distruzione sistematica dell’ambiente urbano ed extraurbano, potrebbe infastidire qualche lettore. In realtà allo stesso Berdini sembra chiaro il fatto che l’attuale neoliberismo è qualcosa di diverso dal liberismo idealizzato da tanti economisti e dai cittadini infastiditi dalla presenza soffocante dello Stato. Fermo restando che liberalismo e liberismo non sono proprio sinonimi, Berdini ricorda la figura di Luigi Luzzati, esponente di spicco della destra storica italiana: “Pur essendo economista e fondatore di banche, scriveva che solo la mano pubblica poteva risolvere il problema delle abitazioni per i ceti poveri, Ma era appunto un economista liberale, non un neoliberista” (pag. 88). Il neoliberismo, secondo Berdini e secondo molti di noi, che pure non siamo di sinistra e non abbiamo molta simpatia per la presenza dello Stato nell’economia, è qualcosa che sta in relazione alla speculazione e non semplicemente alla libera iniziativa privata da parte di piccole imprese virtuose.
L’invadenza della finanza speculativa e le politiche falsamente riformiste di destra e di sinistra, avrebbero così spinto per la cancellazione di ogni regola urbanistica, spacciato come virtuosi gli slogan tipo “padroni in casa propria” (salvo poi ritrovarsi i beni comuni devastati), creato immense periferie prive di servizi essenziali, dimenticato il dissesto idrogeologico, incentivato la sovrapproduzione edilizia (con conseguente crollo del valore delle abitazioni), negato i progetti di recupero dell’esistente, perseguito la svendita delle proprietà pubbliche. Dopo averci ricordato la genesi della famigerata “legge obiettivo”, e quindi come mai i nostri politici insistano a raccontarci la favola delle grandi opere quale premessa per “crescere”, Berdini è tornato ancora sui fondi pubblici sottratti al welfare urbano: “Opere dai costi vertiginosi vengono affidate sulla base di progetti tecnicamente carenti e che comporteranno inevitabilmente il ricorso a continue varianti e un illimitato aumento della spesa […] Ciò che interessa ribadire è la sistematicità del disegno portato avanti per controllare gli enormi flussi di denaro pubblico e cancellare ogni istituzione di controllo” (pag. 91).
L’analisi degli scempi passati, presenti e futuri, come abbiamo, detto è precisa, salvo rilevare un piccolo refuso a pagina 63, dove per il Dpr 380/2001 si parla di “Codice degli appalti” invece che di “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia”. Ma, a parte questa osservazione forse un po’ pedante, abbiamo apprezzato lo stile e la passione civile di Berdini, che, soprattutto in relazione agli attuali progetti di legge e a quanto sta accadendo nei palazzi romani, certo non fa nulla per nascondere la propria indignazione. Pensiamo ad esempio al ministro Lupi, intento a proporre una legge volta a favorire la costruzione di nuove case (e così la svalutazione delle proprietà immobiliari), evitando di incentivare il recupero dell’esistente. Oppure ai tanti progetti di cementificazione che aggrediranno i centri storici delle nostre città: “A Milano è stato parzialmente costruito il contestato parcheggio davanti alla basilica di Sant’Ambrogio […] A Firenze si corre il rischio di veder costruire un parcheggio nella Piazza del Carmine” (pag. 56).
Proprio Firenze è diventata pretesto per una delle frecciate del nostro autore: “Negli anni sessanta, Giorgio La Pira, sindaco di Firenze, stupì l’opinione pubblica dell’epoca perché requisì molti appartamenti non utilizzati per assegnarli alle famiglie povere e ai senza tetto […] Egli viveva in un piccolo alloggio all’interno di un convento, anche se non gli mancavano certo amici in grado di fornirgli una casa a prezzi vantaggiosi. Renzi, quando era sindaco della stessa città, ha scelto di farsi pagare l’alloggio da un facoltoso amico. Un altro segnale della distanza morale e culturale che ci separa da quel fecondo periodo” (pag. 129). Quale medicina allora per invertire la rotta e mettere un freno alla devastazione di paesaggio, territorio e città? Berdini sostanzialmente chiede di tornare alla Costituzione, citando l’ottimo Settis, e così “mutare paradigma: ricostruire le città pubbliche e il welfare urbano”. Certo è che in presenza di tanti cittadini ed elettori ormai più sensibili alle apparenze, alle promesse ed alle chiacchiere piuttosto che all’evidenza del brutto e dello scempio che ci sovrasta, non c’è da stare molto allegri.
“Roma può forse bruciare, ma l’orchestra di Nerone sta suonando magnificamente” (Orson Welles)
Edizione esaminata e brevi note
Paolo Berdini, (Roma,1948) urbanista, è autore del libro denuncia La città in vendita. Centri storici e mercato senza regole (Donzelli, 2008), che ha lanciato la grande inchiesta di Report sui recenti scempi dell’urbanistica a Roma. Ha collaborato con Italo Insolera alla nuova edizione di Roma moderna (Einaudi, 2011). Editorialista de «Il manifesto», cura una rubrica quindicinale su «Left». Presiede il comitato scientifico dell’Osservatorio Territorio e Aree Urbane della Fillea Cgil. È membro del forum Salviamo il paesaggio.
Paolo Berdini,“Le città fallite. I grandi comuni italiani e la crisi del welfare urbano”, Donzelli (collana Saggine), Roma 2014, pp. XIV-159. Prefazione di Paolo Maddalena
Luca Menichetti. Lankelot, febbraio 2015
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