Fino ad ora gran parte delle pubblicazioni in argomento Grillo e 5Stelle hanno oscillato tra i pamphlet (“Breaking Beppe”, “Il lato oscuro delle Stelle”) e le lodi sperticate (“Maledetti grillini”). In questo panorama editoriale i libri di carattere scientifico sul MoVimento, sovrastati dalle opere di giornalisti d’inchiesta e di quelle di militanti, hanno sicuramente avuto una diffusione più limitata. Appunto per questa ragione conviene segnalare la ricerca curata dal prof. Roberto Biorcio, pubblicata per i tipi della Franco Angeli: linguaggio tipicamente accademico, struttura degli articoli basata su un classico “case study”, un oggetto neanche troppo limitato (gli attivisti, le origini e le ragioni della militanza, gli incentivi collettivi di identità, l’organizzazione dei gruppi base), molti ricercatori coinvolti (Massimiliano Andretta, Giuliano Bobba, Stefano Boffi, Francesco Capria, Francesco Capuzzi, Valentina Cilluffo, Fabio de Nardis, Calogero Laneri, Marilena Macaluso, Emanuele Maffi, Paola Medici, Nicolò Melegari, Dario Quattromani, Luca Sabatini, Rossana Sampugnaro), e conclusioni in parte sorprendenti. L’indagine, che una volta tanto prescinde dalle sparate di Grillo, è stata condotta in undici città (Palermo, Catania, Lecce, Bari, Firenze, Torino, Milano, Como, Genova, Parma, Roma) con la formula delle interviste, delle interviste in profondità, della partecipazione a riunioni e assemblee. Lo studio poteva magari approfondire su certe apparenti contraddizioni del Movimento, ad esempio se tra i militanti ci sia davvero tutta questa sintonia col regime putiniano, con Orbán e con altri personaggi che non sembrano proprio essere dei campioni di democrazia diretta; ma è stato scelto un altro percorso d’indagine, forse più classico, più coerente con le analisi sull’organizzazione e sulla partecipazione. In altri termini si è cercato di rispondere a domande piuttosto circostanziate: “Come il Movimento 5 Stelle è riuscito a costruire una nuova rete di attivisti diffusi sul territorio? I militanti del nuovo movimento hanno le stesse caratteristiche e motivazioni degli attivisti dei partiti di massa del passato? Coprono in modo nuovo i vuoti lasciati dalla loro scomparsa dal territorio? Possono contribuire a un rinnovamento delle forme che ha assunto la politica?” (pp.10). Comunque sia le conclusioni non dipingono affatto i 5Stelle alla stregua di un monolite leninista (“Se Grillo e Casaleggio rappresentano un punto di riferimento e di indirizzo generale, le decisioni a livello locale sono in realtà prese in totale autonomia”). Emerge piuttosto una struttura liquida, spesso divisa tra i cosiddetti “movimentisti” e i “duri e puri”, caratterizzata, quindi, da un’indipendenza più marcata di quanto si possa pensare. Questo vuol dire che, pur presenti alcune analogie con i primi ambientalisti e con la sinistra libertaria del Nord-Europa, il MoVimento presenta innumerevoli peculiarità: una militanza che non vive necessariamente di incentivi materiali, un certo equilibrio tra attività militante offline e online, riunioni periodiche che intendono diffondere un’informazione corretta e nel contempo organizzare le iniziative territoriali, una sorta di tripartizione tra semplici osservatori, attivisti intermittenti e attivisti permanenti, ex elettori di Rifondazione e di estrema destra che convivono nello stesso Meetup (risulta che alcuni intervistati di Palermo abbiano un passato nella Rete mentre altri nell’Udc e in Grande Sud di Miccichè), alcuni fenomeni di “leaderizzazione” nonostante non vi sia alcun reale coordinamento sovraordinato a livello regionale e provinciale, una ricerca incessante di nuove forme organizzative, il dilemma se incamminarsi o meno verso una maggiore istituzionalizzazione, una gradualità della membership; e sempre situazioni molto diverse da città a città.
A fronte di una contrapposizione del tipo “noi e loro”, che davvero va dalle Alpi alla Sicilia, la ricerca ha evidenziato delle sensibilità che non consentono affatto delle facili generalizzazioni; a cui invece tendono sia gli organi di stampa, sia probabilmente coloro che hanno la sfortuna di incappare – pensiamo ai social network – in troll “duri e puri” di fede grillina. Ad esempio la ricerca sul campo a Torino ha colto una chiara ambivalenza: “soddisfazione per le affermazioni elettorali da un lato, turbamento per la gestione della cosiddetta democrazia interna, dall’altro lato” (pp.38). A Como Francesco Capuzzi ha descritto una sfida tra “idealisti e realisti”, dove “la componente realista del Meetup […] sta valutando l’ipotesi di istituire il Meetup come associazione senza scopo di lucro” (pp.73). A Genova, dove i Meetup hanno avuto una storia molto “articolata”, si coglie in maniera evidente la contrapposizione tra “i fedelissimi di Grillo” e “quelli che provengono da altre esperienze politiche parallele, movimenti (para) politici, comitati o, talvolta, partiti (soprattutto transfughi dell’Italia dei Valori). Una dualità che determina, spesso, visioni diametralmente opposte su questioni rilevanti come, ad esempio, il rapporto con la politica, con gli altri attivisti del Movimento 5 Stelle o con Beppe Grillo” (pp.83). Di grande interesse anche la ricerca tra Bari e Lecce, a cura di Fabio de Nardis e Paola Medici. Leggiamo che “dall’analisi delle interviste l’immagine grottesca dell’attivista a cinque stelle recluso tra le mura domestiche, ore e ore davanti a un monitor a postare commenti sul blog di Grillo viene quanto meno intaccata” (pp.144), pur rimanendo generalizzato l’appello “alla cosiddetta disciplina di partito di stampo, va detto, un po’ leniniano” (pp.158). In questo senso l’art. 67 C. non viene proprio contemplato. Le parole di un militante leccese dicono tutto: “Il mio parlamentare non mi rappresenta, non deve permettersi di rappresentarmi. Lui non può parlare per conto suo, lui è un nostro portavoce, mi dispiace dirlo ma così, il parlamentare è una persona che prende le voci del popolo e le trasporta in Parlamento” (pp.160). Nello stesso tempo lo “schiacciamento” sulla figura di Grillo, pur riconoscendogli un ruolo carismatico e di portavoce, non appare affatto una costante: “Diciamo che a volte la penso come lui, però tante volte magari dissento o magari preferirei altro” (pp.161). Come ha evidenziato Roberto Biorcio, tra gli attivisti è ormai presente la necessità di sperimentare nuovi modelli organizzativi e, a volte, l’idea di mettere in discussione alcuni dei principi su cui il movimento era nato. Del resto sapremo presto se questi intenti si concretizzeranno sul serio (si veda l’esperienza di Pizzarotti), o se invece i cosiddetti “duri e puri ortodossi” avranno la meglio. Oppure – questo lo diciamo noi – se il Movimento, una volta moderato il piglio leninista, saprà proporsi come alternativa credibile all’attuale sinistra-centro-destra, oppure se confermerà una certa vocazione ad essere la quinta colonna del renzusconismo.
Edizione esaminata e brevi note
Roberto Biorcio, è docente di Scienza politica presso il Dipartimento di Sociologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca. Svolge attività di ricerca su partecipazione politica, trasformazioni della democrazia, culture politiche, partiti, associazioni e movimenti sociali. Tra i suoi volumi più recenti: “La rivincita del Nord. La Lega dalla contestazione al governo” (Laterza 2010); “Politica a 5 stelle. Idee, storia e strategie del movimento di Grillo” (con P. Natale, Feltrinelli 2013).
“Gli attivisti del Movimento 5 Stelle. Dal web al territorio”, a cura di Roberto Biorcio, Franco Angeli (collana Globalizzazione, partecipazione movimenti), Roma 2015, pp. 224.
Luca Menichetti. Lankelot, dicembre 2015
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