Possiamo scriverlo fin da ora: “Cuore tedesco” di Angelo Bolaffi è un libro controcorrente e che ci racconta una Germania molto diversa da quella sotto accusa per la sua miopia e cinismo nei confronti di un’ Europa in sofferenza. Controcorrente perché, se è vero che c’è chi ha dato della culona a fraulein Merkel, non è che poi altri leader italiani nella sostanza abbiano fatto particolari distinguo sulla politica europea della Germania: da Grillo al Berluscone e al Berluschino, ovvero tutti i nostri fanfaroni di successo, insieme alla destra e alla sinistra più radicale, pur con toni diversi, hanno avuto da ridire e non poco sull’austerità e sulla pretesa dei conti pubblici in equilibrio. In questo senso Bolaffi legge nelle vicende italiane uno strumentale e poco onesto pensiero unico antiteutonico che mostra un’inedita alleanza destra radicale-destra-sinistra-sinistra radicale. Tra l’altro il carattere non meramente accademico dell’opera lo possiamo cogliere perfettamente grazie alle parole durissime rivolte dall’autore nei confronti di Silvio Berlusconi e del suo partito, a suo dire responsabili di “una vera e propria inimicizia culturale” tra i due paesi.
Ferme restando considerazioni più strettamente economiche e l’invito a ragionare senza preconcetti e dogmi (in sostanza secondo Bolaffi politiche fortemente keynesiane in presenza di un debito pubblico alle stelle non risulterebbero efficaci) le tesi di fondo di “Cuore tedesco” vogliono rovesciare gli attuali e più conosciuti paradigmi nei confronti della Germania. Innanzitutto se il crescente euroscetticismo degli europei trovasse una spiegazione nelle politiche di austerità non si spiegherebbero i fenomeni di antieuropeismo in paesi non toccati dalla crisi. La tesi centrale del libro, sicuramente irritante per molti lettori affezionati allo spauracchio della trilateral e parimenti affezionati all’idea di un Putin che li salvi dalle grinfie delle democrazie europee, è che “la Germania – un paese che ha saputo fare i conti col proprio passato attraverso un profondo ravvedimento politico e spirituale […] e per tempo realizzare le riforme necessarie per salvare le conquiste dello Stato sociale – costituisce oggi la principale risorsa alla quale ricorrere per poter dare vita a un nuovo soggetto europeista” (pag. XXV). Tutto questo in un contesto internazionale nel quale letteralmente “la Russia ha scippato all’Ucraina parte del suo territorio”: “Un salto di paradigma, quello imposto da Mosca, che ha preso in contropiede tutte le cancellerie occidentali e rappresenta una sfida diretta alla realissima utopia sulle quale i padri fondatori hanno voluto edificare l’unione dell’Europa: dare vita a un sistema di relazioni internazionali basato sulla ricerca del compromesso e del dialogo. Nell’odierno no one’s world l’Europa non rappresenta più il principale interesse strategico degli americani ormai distratti da minacce provenienti da altri fronti e proiettati nell’area del Pacifico” (pag. X).
Una delle contestazioni più puntuali di Bolaffi alla demonizzazione della Germania sta proprio nella visione “liberista” che ne viene data, facendo emergere come in realtà una cosa sia stata la controriforma neoconservatrice di Reagan e della Thatcher e quindi il liberismo fondamentalista, radicale ed antisociale alla Hayek, altro l’ordoliberalismo tedesco secondo il quale proprio per garantire l’efficiente funzionamento di un mercato altrimenti imperfetto c’è bisogno di una politica sociale e di un coerente intervento dello Stato. Lo specchio insomma di una tradizione capitalistica, quella renana, che, contrapposta ai liberisti di matrice anglosassone e a quelli gerarchico – comunitari di area asiatica, valorizza il risparmio, che non abbandona la produzione per la speculazione e che ha visto il sindacato contribuire sotto varie forme alla gestione (un modello consensuale contrapposto a quello conflittuale dei paesi mediterranei). Parimenti si rileva come le riforme tedesche, a differenza di quanto propagandato dai nostri liberisti da operetta, si sono fondate non sulla moltiplicazione del precariato ma semmai mobilità interna e su una formazione continua a tutti i livelli. Tutte considerazioni volte quindi a cercare di capire il modello tedesco “piuttosto che temerlo”. Anche le vicende di come si sia deciso, con molti errori, di intraprendere la via dell’euro, sono chiaramente legate all’unificazione tedesca, con tutto quanto combinarono, abbondando in miopia e cinismo, i leader di allora, da Mitterand alla Thatcher: il trattato di Maastricht inteso quale via monetaria, apparentemente meno traumatica e compromissoria imbastita per frenare il rischio di una rinascita tedesca. E’ in questo contesto che però Bolaffi fa emergere il citato cambio di paradigma: dopo il 1989 l’Europa, che “comunque è e dovrà sempre restare una realtà plurale, refrattaria ad ogni omologazione identitaria” (pag. 250), in realtà non dovrebbe essere più soltanto la risposta alle tragedie del passato ma una proposta strategica per affrontare le sfide del futuro. E di conseguenza una Germania che ha saputo fare i conti col proprio passato (da qui l’idea di un “miracolo spirituale” prima che economico), anche in virtù del crollo del muro di Berlino, caratterizzata da efficienti istituzioni democratiche ed in presenza di una minaccia strategica proveniente da una Russia nostalgica dell’Urss, secondo Bolaffi, autore di questa storia “non colpevolista” che ha rivalutato le innovazioni culturali della Repubblica di Weimar, merita soltanto di essere capita.
Edizione esaminata e brevi note
Angelo Bolaffi, filosofo della politica e germanista, dal 2007 al 2011 è stato direttore dell’Istituto di cultura italiana di Berlino. Tra le sue pubblicazioni Pensare «oltre» il Novecento (Pensa Multimedia, 2006).
Angelo Bolaffi, “Cuore tedesco. Il modello Germania, l’Italia e la crisi europea”, Donzelli (collana Saggine), Roma 2014, pp. XXXII-264. Seconda edizione accresciuta con un nuovo Saggio introduttivo “Europa 2014”.
Luca Menichetti. Lankelot, maggio 2014
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