Anche poco prima delle elezioni del febbraio 2013, quelle che hanno ufficializzato l’ingovernabilità dell’Italia e il successo oltre ogni previsione del Movimento 5 Stelle, erano state pubblicate diverse inchieste su Grillo e sulla sua creatura. Libri per lo più molto critici, salvo forse quello di Andrea Scanzi, e che non nascondevano pregiudizi e l’orientamento politico ostile del loro autore. Approccio tale da confortare l’idea che, vuoi per le malizie dei partiti e dei loro supporter, vuoi per l’incapacità di distinguere le magagne di Grillo dal programma del Movimento, queste inchieste siano partite col piede sbagliato. Al di là di questi probabili limiti rimane il fatto che, nel perdurare di una crisi nata proprio per la troppa abbondanza di intoccabili, un’inchiesta rigorosa che non guardi in faccia nessuno è sempre la benvenuta. Utile medicina contro i nostri mali endemici.
Il libro inchiesta di Mauro Carbonaro, “Grillo vale uno”, risponde proprio a questa esigenza di analizzare i fenomeni politici e sociali senza timidezze, senza alcuno sconto e sulla base dei fatti per quelli che sono. Se poi Grillo e i suoi siano stati interpretati malamente e genericamente come un raggruppamento di baluba estremisti è altro discorso che, pure nella necessità di ridimensionare le demonizzazioni operate dai giornalisti e dai politici di regime, non consente zone franche o speculari minimizzazioni. Tra l’altro un libro come “Grillo vale uno”, inchiesta approfondita che analizza diverse realtà territoriali, e dove l’autore è andato a spulciare pagine ormai dimenticate di blog e i curricula dei personaggi che stanno dietro le quinte del fenomeno 5 Stelle, poteva tranquillamente essere scritto da un Marco Travaglio se niente niente fosse ancora quel cronista che non guardava in faccia nessuno e che conoscevamo fino a poco tempo fa. Adesso però il vicedirettore del Fatto pare guardare in faccia eccome, dedicandosi con più accanimento agli editoriali, purtroppo spesso ripetitivi; e soprattutto, dopo un esplicito endorsement, sembra voler persistere nel minimizzare fatti non poi tanto coerenti con la decantata trasparenza e civiltà del Movimento 5 Stelle, magari archiviando la cosa con frasi tipo “leggende nere” e ricordando le magagne, forse anche peggiori, dei partiti tradizionali: praticamente il rifiuto del ricatto del meno peggio (ovvero la negazione che sia comunque necessario sostenere un partito tradizionale) sostenuto grazie ad argomentazioni e confronti che vorrebbero far emergere un meno peggio (Grillo).
Inchiesta approfondita questa di “Grillo vale uno” ma che con le sue trecento pagine non ha potuto certamente proporre un quadro completo del fenomeno politico e sociale 5 Stelle. Più facile semmai dire cosa Mauro Carbonaro, col suo libro fresco di stampa, non ha affrontato. Non abbiamo un’analisi puntuale del programma del Movimento e, pur aggiornato a febbraio 2013, ci vengono risparmiate pagine su personaggi tipo il prof. Paolo Becchi, quella sorta di Miglio grillino dal vaffanculo facile (classico esempio di imitazione maldestra tra guru ed aspirante guru), sugli sconfortanti capogruppo – portavoce Lombardi e Crimi, sulle le parole in libertà di alcuni neo eletti sprezzanti del ridicolo, che fino ad ora si sono fatti riconoscere soltanto per ingenuità ed arroganza. Nemmeno viene presa in considerazione la strategia politica di Beppe Grillo, intuibile fin da febbraio, ovvero negarsi a qualsiasi alleanza, evitare nomi innovativi per il governo e tali da mettere i partiti con le spalle al muro, speculare sul cosiddetto inciucio e sperare, tra le macerie dell’Italia e grazie ad elettori ancora più incazzati, di tornare in Parlamento più forti di prima. Salvo favorire il ritorno di Berlusconi premier, fin da ora ringalluzzito dai sondaggi. Ho scritto strategia di Beppe Grillo e non del Movimento proprio perché, anche alla luce di quanto abbiamo letto nel libro di Carbonaro, c’è davvero da chiedersi lì dentro chi decida cosa e come.
L’autore quindi ha soprattutto analizzato la struttura organizzativa e decisionale della creatura grillina, senza prendere in considerazione gli aspetti difficilmente criticabili del Movimento: l’entusiasmo di quei militanti che vogliono pulizia nelle Istituzioni e non si sono fatti contagiare dal settarismo e dalla fedeltà incondizionata al loro capo- portavoce; e da quelle parti del programma fatte di buon senso, che vogliono dire rifiuto del sistema truffaldino delle grandi opere, il rifiuto della cementificazione indiscriminata del territorio, delle spese folli della politica, dei privilegi di casta e via dicendo. Semmai, quale introduzione alla lettura, risulta piuttosto azzeccato un passaggio dall’intervista ad Alessandro Gilioli, che coglie bene certa psicologia presente nel Movimento e i legittimi dubbi che possono sorgere di fronte al mantra “uno vale uno”: “La Casaleggio è servita a Grillo o è Grillo che si è servito della Casaleggio? – Non lo so e non mi interessa. Mi piacerebbe però che ci fosse più trasparenza sui rapporti tra Grillo e la Casaleggio, e meno ingerenza di un’azienda privata in un MoVimento che può dare qualcosa di positivo all’Italia. […] In un suo articolo intervistò Serenetta Monti, ex del MoVimento 5 stelle. Quali sono state le reazioni all’articolo dei grillini? – La mia impressione è che gli iscritti e i simpatizzanti del M5S si dividano in tre. Quelli che rinunciano a pensare e si sdraiano sulla figura carismatica del guru: se lo tocchi, ti insultano: quelli che considerano Grillo un utile strumento mediatico per veicolare le proprie idee: quelli che vorrebbero che Grillo si facesse da parte per far crescere in modo democratico e autonomo il MoVimento. Anche in quel caso, quindi, le reazioni erano diversificate” (pag. 63).
La prima parte del libro coerentemente analizza la Casaleggio associati, l’organigramma della società, chi sono stati e chi sono i soci (Enrico Sassoon, Luca Eleuteri, Marco Buchicch e Davide Casaleggio); si tenta di ricostruire come nacque la collaborazione tra Grillo e Casaleggio e le strategie di marketing adottate; racconta come nacquero alcune frasi in libertà del comico genovese (“Montalcini vecchia puttana”) e la vicenda finita male con Montanari in merito al super microscopio; e poi, con una certa perfidia, la gestione poco chiara del blog, alle bufale della palla magica Wash Ball, l’uovo da cuocere sistemato tra due telefoni cellulari, la censura operata nei confronti della coppia Merighi Troja, famosi per le loro parodie; non ultime le pesanti considerazioni di Pietro Ricca sul sistema imbastito da Grillo (salvo ricordare come anni dopo il giornalista freelance sia ritornato sui suoi passi, con tanto di riappacificazione). E poi Carbonaro, dopo aver analizzato la genesi del“Non statuto” e della “Carta di Firenze”, interpellando i diretti interessati, nelle pagine a seguire ha raccontato cosa è successo nei meetup locali, le ragioni degli addii e delle diffide ricevute, tentando di portare alla luce le difficoltà democratiche all’interno del MoVimento (“chiunque esce dal MoVimento perde in un istante la credibilità degli ex compagni di avventura” […]“Un Movimento a parole di tutti, nei fatti solo di pochi”).
Questi i punti chiave, elencati alle pagine 128 e 132: “I membri [ndr: del MoVimento] non possono disporre del simbolo senza una autorizzazione del capo Beppe Grillo ‘unico titolare dei diritti d’uso dello stesso’; non possono prendere decisioni a maggioranza, da cui deriverebbe poi l’operatività, sulle caratteristiche e le peculiarità identitarie del MoVimento 5 Stelle; non possono variare in alcuna maniera il regolamento del MoVimento, tanto meno le sue finalità […] Nulla può essere messo su senza l’effettivo riconoscimento del vertice alto della piramide, titolare del logo e unica artefice delle modifiche a livello organizzativo. Strumenti non tanto organizzativi, quanto di controllo preventivo sugli affiliati e sui creatori dei meetup locali. Quindi in nome della ‘democrazia diretta’ il nucleo formato dallo stesso genovese e gli uomini ex Webegg, gestiscono e indirizzano la propria creatura, avendo la prima e l’ultima parola sul nome, sul logo (di loro proprietà), nonché mettendo bocca e, in molti casi, decidere dall’alto i nomi pronti alla tornata elettorale, in barba agli attivisti che invano richiedono la decisione a maggioranza” [….] Ci troviamo di fronte ad alcuni punti chiave: 1. Il MoVimento 5 Stelle non è un partito, non è un’associazione. E’ una ‘Non Associazione’ il cui nome è abbinato a un contrassegno registrato a nome di Beppe Grillo unico titolare dei diritti d’uso dello stesso; 2. il centro del MoVimento 5 Stelle è il blog di Beppe Grillo; 3. allo stesso Grillo va richiesta la certificazione per le candidature alle liste elettorali del MoVimento; 4. ha un’unica sede virtuale che fa capo esclusivamente a Beppe Grillo; 5. titolare del trattamento dei dati è Giuseppe Grillo; 6. tutte le attività di incontro, discussione, iniziative sono delegate ai meetup. Ma il meetup non ha nulla a che fare col M5s, prevedendo un contratto di utenza individuale con una piattaforma esterna alla ‘Non Associazione’; 7. il ‘non statuto’ non è in nessun modo oggetto di dibattito. Non riconoscersi nel ‘non statuto’, dubitare sull’affidabilità dello stesso, vuol dire in automatico non riconoscersi nello stesso”. Come ovvia conseguenza ritroviamo le domande (retoriche), tipo “Se in questo MoVimento 1 vale 1 perché tu decidi chi espellere?”. “Perché tu emetti comunicati politici senza condividerli?”, apparse sui forum e sui blog a seguito delle espulsioni di Tavolazzi ed altri. Va detto che le storie di queste espulsioni (ovvero diffide ad usare il logo), se davvero risponde al vero quanto riportato da Carbonaro, sono davvero sconcertanti, a cominciare dal caso di Vittorio Balestrazzi per poi passare, tra i tanti, ad Andrea Casoni, Sandra Poppi, Monica Fontanelli (“Nelle assemblee si decidono solo alcuni aspetti, per lo più organizzativi, per il resto c’è un’oligarchia che decide per tutti: sono gli eletti e i loro stretti collaboratori”), Valentino Tavolazzi. Per non dimenticare quanto combinato a Genova e in Liguria, in Piemonte, in Veneto, a Lucca, ed infine a Bologna con lo psicodramma innescato dai casi Salsi e Favia. Peraltro quest’ultimo, nel leggere di precedenti contestazioni nei suoi confronti e di sue decisioni molto discutibili nel mezzo di faide tra grillini, non appare poi così vittima e non ci fa una gran figura malgrado il trattamento brutale riservatogli dal suo ex amico Beppe e soprattutto dai soliti esagitati da social network (“Favia andrebbe sgozzato in piazza”).
Il capitolo dedicato alle “Parlamentarie” chiude il volume e anche qui, leggendo del metodo adottato e delle faide tra grillini ortodossi e non, si ha l’ennesima conferma di come la democrazia diretta via internet al momento lasci molto a desiderare, con una macchina organizzativa che comunque fa capo ad un unico centro decisionale targato Beppe Grillo. Qualcosa di inedito e che nemmeno potremmo assimilare al centralismo democratico di sinistra memoria o ad un grillismo-leninismo. Di sicuro l’uno vale uno emerge come uno slogan facilmente aggirato con decisioni calate dall’altro e diffide sbrigativamente motivate da uno “staff” di cui si conosce poco o nulla. Un “uno vale uno” impossibile da sostenere proprio per la struttura organizzativa del MoVimento e per la già ricordata presenza di chi ha interpretato il proprio impegno politico e sociale innanzitutto come portavoce del “portavoce” Grillo. Non è difficile immaginare che di vaffanculo, anche di ritorno, e tra grillini appartenenti a diverse scuole di pensiero, ne sentiremo ancora parecchi.
Edizione esaminata e brevi note
Mauro Carbonaro (Roma, 1980) è un giornalista e scrittore. Nel 2011 ha pubblicato 14 dicembre. Diario di una generazione precaria” e “Viaggio a Berlusconia”. Sempre dal 2001 ha iniziato a collaborare con Nuovo Paese Sera.
Mauro Carbonaro, “Grillo vale uno. Il libro nero del Movimento 5 Stelle”, Iacobelli (collana Parliamone), Pavona di Albano Laziale 2013, pag. 319
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2013
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