“Quel viaggio era incredibile, si disse Agata: non aveva incontrato un illuminista a Damasco!? E tanto più Faruq dimostrava la peculiarità della sua vita, tanto più lei si sentiva attratta da lui; no, Faruq non aveva niente a che fare con gli stereotipi della diversità” (pp.75); “Finalmente avrebbe potuto vivere dentro a quell’orizzonte della modernità di cui fino adesso aveva potuto solo sognare” (pp.84). Questi brani tratti da “Medio Occidente” contengono alcune parole chiave che poi il lettore ritroverà nelle pagine ambientate in veneto e che hanno fatto scrivere a Raffaello Palumbo Mosca, autore della postfazione, di un “romanzo di idee”. Racconto che ha inizio poco prima l’inizio della guerra civile siriana e che appunto si concretizza in un doppio viaggio. Prima è la sensibile e disincantata Agata, figlia di un rampante e cinico imprenditore edile veneto, a recarsi in quel di Damasco per una vacanza – studio, pretesto per terminare una tesi di laurea e probabilmente per mettere alla prova i suoi sogni di indipendenza. Poi è la volta di Faruq, discendente di una vecchia famiglia damascena ormai impoverita, a recarsi in quel di Padova, invitato e aiutato proprio da Agata, sia per tentare di sbarcare il lunario e così aiutare la sua famiglia, sia finalmente per vivere la quotidianità in una civiltà liberale, democratica e quindi immunizzata da quella corruzione e oppressione che invece è fondamento del regime di Bashar al-Assad: “doveva essere l’occasione di mettere a fuoco i principi di una vita diversa proprio per poter ripensare la conformazione della sua società d’origine” (pp.89).
Faruq è laureato, ha intrapreso il dottorato, di fatto è più istruito della stessa Agata, ma in Italia deve accontentarsi di un posto di aiuto manovale: inizialmente è un pedaggio che il giovane arabo si sente di pagare, non fosse altro che con la sua amica italiana inizia una relazione; poi le cose precipitano quando viene a sapere delle irregolarità presenti nel cantiere e che il suo datore di lavoro è proprio il padre di Agata, ancora all’oscuro delle frequentazioni della figlia. Sono la provincia veneta, i suoi capannoni, l’ambiente della buona borghesia, che però inizia a conoscere momenti di grave crisi imprenditoriale, a diventare elementi fondamentali di un racconto che Palumbo Mosca intende come “atto d’amore per una civiltà umanistica vagheggiata e perduta, così in Siria come in Italia” e in cui “ovunque i valori della modernità secolare e illuminata sembrano irrecuperabili, negati e vilipesi” (pp.291). Il “Medio Occidente” del titolo allora diventa comprensibile. Scopriamo un Veneto – più in generale un’Italia del guadagno facile e dell’altrettanto facile declino – sorprendentemente affine alla Siria di Faruq, dove le antiche vestigia della Serenissima appaiono quasi più orientali del suq al-Hamidiyyeh di Damasco e dell’esclusivo quartiere Abu Roumaneh; e lo stesso territorio ricorda il Medio Oriente (o, nel nostro caso, al Medio Occidente): “il paesaggio veneto assomigliava proprio al sogno di una Siria verde” (pp.234).
Opera complessa ma non difficile, il romanzo di Chiuppani sfiora e, talvolta, introduce diverse tematiche, per lo più da considerarsi in rapporto al tema dell’identità europea e della conseguente decadenza dell’etica e della civiltà umanistica; in tutta evidenza anche nel raccontare la relazione semi-clandestina tra l’ostinato Faruq e la fragile Agata, discendente della Padova bene. Potremmo quindi considerare il Veneto di Medio Occidente come simbolo di qualcosa che investe l’intera Italia e gran parte del cosiddetto mondo civile, ormai avvelenati dal pregiudizio e soprattutto da un’idea distorta di modernità: “era pieno di immobili inutilizzati ma si continuava a costruire, pure chi come lui lavorava nel settore doveva riconoscere l’assurdità di quella situazione” (pp.167). Pagine che oltretutto rispondono efficacemente alla definizione, già ricordata, di “romanzo di idee”: “Quello che gli italiani avevano era il liberalismo all’incontrario, qui i sedicenti liberali erano i veri populisti: avrebbero scavalcato qualsiasi regola e violato qualsiasi libertà pur di arrivare dove volevano” (pp.277). Peculiarità che investe anche il lato stilistico del romanzo. A fronte di una letteratura recente che è spesso caratterizzata da frasi brevi, con abbondanza di dialoghi, un procedere “asciutto” ma sostanzialmente poco personale, quelli che potrebbero essere considerati difetti della prosa di Chiuppani – a volte forse frasi fin troppo lunghe e apparentemente più consone ad un testo di saggistica – rendono “Medio Occidente” opera tutt’altro che banale e degna di una rinnovata considerazione. Tanto che il numero limitato dei dialoghi, sostituiti da un persistente e limpido flusso di coscienza da parte di Agata e di Faruq, ci consente di parlare anche di una sorta di “romanzo di pensieri”. La conclusione del racconto, giustamente aperta e coincidente con l’inizio della guerra civile siriana, appare malinconica e nel contempo non nega la speranza e un lieto fine.
Edizione esaminata e brevi note
Beppi Chiuppani,cresciuto a Bassano del Grappa, si è dedicato alla cultura umanistica europea a Padova, Parigi e Lisbona, e ha indagato le tradizioni letterarie del Medio Oriente al Cairo (American University) e a Damasco (Institut Français d’Études Arabes). Ha quindi ottenuto il dottorato in Letteratura Comparata presso la University of Chicago, dove è stato per anni osservatore della società nordamericana. È narratore e saggista, e “Medio Occidente” è il suo primo romanzo.
Beppi Chiuppani,“Medio Occidente”, Il Sirente (collana Comunità alternative), Fagnano Alto 2014, pp. VIII-304. Postfazione di Raffaello Palumbo Mosca.
Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2015
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