Con “Benedizione” si chiude la “Trilogia della pianura”. Il romanzo è stato pubblicato per la prima volta nel 2013, a nove anni di distanza da “Crepuscolo” e a quattordici da “Canto della pianura”. Una distanza che personalmente ho rilevato e sentito. Perché “Benedizione”, a mio avviso, è molto diverso dai due libri precedenti. E’ diverso perché appare più greve o forse solo più consapevole. Haruf è ormai famoso e unanimemente apprezzato nel 2013. E’ uno scrittore di settanta anni che purtroppo morirà a breve. Il suo scrivere rimane essenziale, incisivo e pacato, la sua Holt è sempre e comunque il luogo di provincia in cui si muovono uomini comuni raccontati durante le loro comuni vicende di vita, amore e morte. Eppure nel libro che chiude e conclude la Trilogia ho avvertito un approccio differente, un’atmosfera sicuramente meno luminosa e meno rassicurante.
Se nei primi due romanzi della “Trilogia” c’è una sorta di continuum che riprende alcuni personaggi narrandoli in un libro e nell’altro a distanza di alcuni anni, in “Benedizione” ci si addentra nell’esistenza di figure nuove e prima del tutto assenti. La storia principale ruota attorno all’anziano Dad Lewis a cui resta poco da vivere: il solito brutto male non gli lascia scampo. Il vecchio e stimato gestore della ferramenta di Holt è amorevolmente accudito da sua moglie Mary e dalla figlia Lorraine, tornata dalla città per prendersi cura del padre. Sapere di dover morire è una prova che induce Dad a rileggere il proprio passato e ad affrontare quegli spettri che, prima, per colpa della fretta e dell’abitudine di chi vive a procrastinare nel tempo, ha lasciato in un angolo della propria coscienza. Ormai prossimo alla fine, l’anziano decide di fare i conti con i propri errori: un figlio disprezzato ed allontanato di cui nessuno ha notizie da molto tempo e il destino del commesso della sua ferramenta sorpreso a rubare e cacciato dal negozio senza troppa pietà. Dad si trova dunque a fare i conti con i propri rimpianti, con le proprie colpe e con l’impossibilità, a volte, di rimediare come si vorrebbe.
Ovviamente, come in ogni storia di Haruf, i personaggi sono numerosi e tutti portatori di sentimenti importanti. Oltre alla famiglia Lewis, infatti, in “Benedizione” c’è spazio per la piccola Alice, una bambina che vive con sua nonna Berta May nella casa accanto a quella di Dad. C’è il reverendo Lyle, arrivato da poco ad Holt con sua moglie e suo figlio e in breve al centro di vivaci polemiche per via di un sermone che sconvolge ed indigna buona parte dei fedeli presenti in chiesa. E ci sono le Johnson, Willa e Alene, madre e figlia, che abitano a est di Holt, un miglio a sud della Statale. Ogni personaggio, con la propria piccola storia, si interseca con gli altri e le loro piccole storie: esattamente quanto basta a creare quel tessuto di connessioni e sentimenti e vissuto necessario a dare vita ad un romanzo.
In “Benedizione” l’epilogo è atteso e noto fin dal principio: tutti sappiamo che Dad deve morire. Lo sappiamo ma forse speriamo che non accada o che succeda qualcosa di miracoloso che possa evitarlo. La letteratura può permetterselo no? Ma Haruf non è scrittore di sconvolgimenti e prodigi, Haruf è scrittore di consuetudini ed umanità, di quotidianità e di affetti semplici quindi di tutto quello che accade mentre si vive. Né più, né meno. E’ questa la sua “arte” ed è ciò che rende impeccabili ed amabili i suoi romanzi. Come ho scritto in precedenza, “Benedizione” è diverso dai romanzi che lo precedono e che, con esso, compongono la “Trilogia della pianura”. Stessi luoghi, certo. Stesse atmosfere provinciali e country. Eppure c’è qualcosa di sacro e solenne che prima non c’era. Forse perché approssimarsi alla morte già predefinita ed inevitabile di una persona comporta una serietà diversa e una profondità ulteriore. L’essenzialità di Haruf qui sembra raggiungere l’acme. Ogni capitolo, per la sua forza e la sua sostanza, potrebbe essere letto come contenuto a sé stante. Un ulteriore merito da riconoscere al talentuoso scrittore americano.
Edizione esaminata e brevi note
Kent Haruf è nato nel 1943 a Pueblo, in Colorado. Suo padre era un pastore metodista e sua madre un’insegnante. Si laurea nel 1965 e, nella sua vita, svolge numerosi lavori. Nel 1973 si iscrive al “Writers Workshop” presso la University of Iowa dove viene notato da John Irving, suo insegnante. Nel 1976 diventa professore assistente presso la Nebraska Wesleyan University. Pubblica il suo primo racconto solo nel 1982 ma il successo arriva solo nel 1999 grazie a “Canto della pianura”. Haruf ha 56 anni ed ottiene recensioni positive da diverse importanti testate. Il romanzo vince il Mountains & Plains Booksellers Award, il Maria Thomas Award ed è finalista al National Book Award e al New Yorker Book Award. Haruf lascia così il suo lavoro di insegnante e si dedica alla scrittura. Nel 2004 esce “Crepuscolo” e nel 2013 “Benedizione”, i due libri che fanno da seguito a “Canto della pianura”. Il 30 novembre 2014 Kent Haruf muore per una malattia polmonare. “Le nostre anime di notte” esce solo nel 2015.
Kent Haruf, “Benedizione”, NNE, Milano, 2015. Traduzione di Fabio Cremonesi. Titolo originale “Benediction” (2013).
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