Non ricordo proprio dove avevo letto di “Vita agra di un anarchico” come del libro che meglio era riuscito a raccontare la vita di Luciano Bianciardi. Al di là di affermazioni con intenti promozionali, l’opera di Pino Corrias, che pare aver contribuito fin dalla sua prima edizione del 1993 alla progressiva riscoperta dell’autore grossetano, è un’ autentica biografia con taglio giornalistico e quindi qualcosa di diverso rispetto gli interventi critici contenuti nei saggi di letteratura italiana. Le tre parti di “Vita agra di un anarchico”, Grosseto, Kansas, Milano e Uscita Rapallo, scandiscono la vita di Bianciardi, dalla provincia maremmana alla capitale del boom italiano, dove la produzione letteraria risulta sempre sullo sfondo rispetto le vicende di una vita parecchio complicata, diciamo pure “agra”. Predomina quindi l’attenzione sull’uomo piuttosto che sullo scrittore, soprattutto durante il suo periodo milanese: l’opera, quella del “Lavoro culturale”, “L’integrazione”, “La vita agra”, “La battaglia soda”, è qualcosa che viene di conseguenza, come effetto collaterale di un pensiero maturato negli anni, a partire da quella “solenne incazzatura” scaturita nel 1954, quando quarantatre minatori morirono nell’esplosione della miniera di Ribolla. Il Bianciardi emigrato nella fredda e nebbiosa Milano, lontano dal rassicurante ambiente provinciale, del suo “bibliobus”, delle sue osterie e degli amici d’infanzia, lontano dalla sua famiglia tradizionale, è quello che meglio ha potuto mostrare, forse pure con un certo compiacimento, il suo piglio anarchico e poco accomodante.
I disagi economici e i guai privati e professionali dello scrittore stanno sullo sfondo di una società alle prese con il cosiddetto boom economico: in questo senso l’anarchismo di Bianciardi, che sicuramente era pure infastidito dai partiti storici della sinistra, ha poco di politico ma rappresenta innanzitutto l’incapacità ad integrarsi in una grande città tra nuove cricche intellettuali e nuovi industriali rampanti. L’opposizione alla Milano del nascente miracolo economico, da lui coerentemente considerato “balordo”, a quanto pare gli riuscì solo in parte e a prezzo di un pesante autolesionismo. Corrias ci racconta di Bianciardi alle prese con le case editrici, con i giornali, col comunista miliardario Feltrinelli, di anni passati a faticare sulle traduzioni per racimolare i soldi per la cena, fino al successo della “Vita agra” che, oltre ai benefici economici, gli aprì le porte dei salotti letterari.
Insomma una vita con molti paradossi per un anarchico come lui, che aveva raccontato un’Italia stravolta dal boom economico, diventare famoso e coccolato in quegli ambienti milanesi che erano stati destinatari dei suoi strali. Commentò in una lettera: “Anziché mandarmi via a calci in culo, mi invitano a casa loro”. La contraddizione di un’intellettuale che per anni fece letteralmente la fame e che, col successo, nonostante l’aspra critica rivolta all’establishment culturale, da questo fu in qualche modo assorbito: complicato sopravvivere nella povertà ma a volte ancor più complicato vivere sereni ed equilibrati raggiunta la fama e un certo benessere economico. La condizione di separazione e di solitudine dell’uomo della metropoli, denunciata al tempo della “Lettera da Milano”, era stata anche la sua, nonostante la presenza della sua nuova fiamma Maria Jatosti e di una variegata compagnia di intellettuali intenti a sbarcare il lunario. Il Bianciardi di Corrias è un anarcoide che, pur con momenti di grande ironia tutta toscana, vive perennemente in una situazione di disagio, e, malgrado le sue battaglie libertarie, mostra comportamenti spesso incoerenti, come nell’incapacità a gestire con dignità le sue due famiglie. Dirà di lui l’amico Terrosi: “A parole Luciano spaccava le montagne, ma sapeva anche essere vile” (pag.64).
“Vita agra di un anarchico” è una biografia scandita da anedotti, interviste di coloro che hanno conosciuto bene Bianciardi, ma anche un libro con aspetti corali, dove abbondano figure rappresentative della provincia rurale degli anni ‘50 e poi alcuni dei più noti protagonisti in quella Milano del boom dove nascevano palazzi, fabbriche ed anche case editrici, giornali, agenzie di pubblicità. Praticamente una storia d’Italia sulle pelle dello scrittore che prima di altri aveva capito molte cose: il nascente edonismo di massa, il consumismo sfrenato, le degenerazioni del sistema politico, l’alienazione della società del benessere. Il provinciale Bianciardi, nonostante il successo della “Vita agra”, non riuscì proprio ad integrarsi, abbandonò Milano per Sant’Anna di Rapallo. Malgrado questa scelta di vita la tristezza dello scrittore, già uso eccedere con la bottiglia, si accentuò dopo un ritorno a Grosseto ed essersi accorto come fosse ormai “un mondo che non riconosce più e lo rifiuta”. Corrias fa parlare Maria Jatosti: “Quando tornò da Grosseto, era ancora più triste, più stravolto del solito. Cominciò per giorni e notti a tormentarsi. Non dormiva più, non mangiava più. Bevevo, rimuginava. Veniva da me e diceva: ‘Voglio conoscerli, sono i miei figli. Voglio tornare là’. Per anni non c’era mai andato e adesso diventava la sola cosa importante. Più si tormentava e più beveva”.
Insomma Bianciardi era stato straniero a Milano, poi straniero a Rapallo ed ora straniero pure a Grosseto. Il 26 ottobre 1971 all’ospedale San Carlo a Milano, dove lo portò la cirrosi, si chiuse la vita terrena di Bianciardi, pochi giorni dopo aver detto al suo amico Giovanni Arpino: “Sto crepando, ma ci metto troppo. Morire è difficilissimo”. Alle esequie in quel di Grosseto furono presenti pochissime persone, tanto che nell’ultima pagina di Corrias leggiamo una testimonianza: “Finché campo non dimenticherò lo squallore di quel funerale”. L’epilogo di “Vita agra di un anarchico” ci riporta alla mente un’altra frase dello scrittore: “per me successo è solamente un participio passato del verbo succedere
Edizione esaminata e brevi note
Pino Corrias (Savona, 1955) è un giornalista e scrittore. Per 12 anni è stato inviato speciale del quotidiano La Stampa. Oggi è dirigente Rai, si occupa di fiction: ha prodotto “La meglio gioventù”, regia di Marco Tullio Giordana e De Gasperi, regia di Liliana Cavani. Ha lavorato come sceneggiatore (Ultimo, Distretto di polizia). Per Raidue ha condotto con Renato Pezzini l’inchiesta in 4 puntate Mani pulite. Collabora al quotidiano “La Repubblica” e al settimanale “Vanity Fair”. Vive e lavora a Roma. Tra i suoi libri: Luoghi comuni. Dal Vajont a Arcore, la geografia che ha cambiato l’Italia (2006), Vicini da morire (2007), Voglio scendere. Agenda 2010 (con Peter Gomez e Marco Travaglio)
Pino Corrias, “Vita agra di un anarchico. Luciano Bianciardi a Milano. Nuova edizione”, Feltrinelli (collana Universale economica), Milano 2011, pp. 251
Luca Menichetti, per Lankelot, dicembre 2011
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