Non ha tutti i torti il professor Andrea Ungari quando, nella prefazione a “Il mito di Stalin nell’Europa orientale”, scrive: “il clima di sospetto e il sangue versato per la Rivoluzione vengono descritti senza concessioni letterarie, attraverso la descrizione dei personaggi incontrati, molti dei quali successivamente ‘scomparsi’ nell’universo concentrazionario sovietico, e delle situazioni vissute quando ancora Cucchi aveva libero accesso nei paesi oltrecortina. Ma proprio questo distacco e questa stringente descrizione rendono la scrittura di Aldo Cucchi coinvolgente e affascinante, portando per mano il lettore in un viaggio attraverso gli errori e gli orrori di quella che fu, a tutti gli effetti, una prigione dei popoli” (pag. 10). Certo è gli aspetti stilistici passano in secondo piano rispetto il valore documentario degli articoli dell’ex deputato del PCI, presto scomunicato dal suo partito per aver capito e soprattutto per aver raccontato cosa realmente stava avvenendo nei paesi del socialismo reale: “La danza funebre per Tito” (13.11.1961); “Ogni uomo al tuo fianco era una spia” (13.11.1961); “L’anticristo dei Polacchi” (14.11.1961); “Finestre e forche in Cecoslovacchia” (18.11.1961); “I russi: un popolo di schedati” (19.11.1961); “Un colpo alla nuca per una battuta di spirito”(22.11.1961); “Gli anni di sangue a Leningrado” (24.11.1961).
Ungari scrive che Cucchi non rinnegò mai il suo passato, rimase convinto della validità dell’ideale socialista ma non si riconciliò mai più con un PCI che lo aveva trattato come traditore. Il suo peccato capitale evidentemente era stato aver raccontato Stalin per quello che era: “Ha finito per essere più che un capo socialista, un grande zar […] Il suo non è un regime socialista ma piuttosto un regime collettivista di tipo faraonico” (pag. 15). Il piccolo libro edito dal Canneto raccoglie quanto pubblicato dalla medaglia d’oro della Resistenza sul “Resto del Carlino” dell’amico Spadolini: erano passati ormai dieci anni da quando Cucchi e Valdo Magnani furono costretti a lasciare il PCI e Togliatti li congedò da par suo come “pidocchi nella criniera di un nobile cavallo da corsa”
In quel 1951, cinque anni prima dei fatti d’Ungheria, il mito di Stalin era tale che qualsivoglia critica diventava pura eresia. Un fanatismo che nelle pagine di Cucchi appare qualcosa di terribile ed anche di grottesco: società malate dove il culto di un dittatore sanguinario non risparmiava nessuno e dove i persecutori del giorno prima diventavano improvvisamente agenti capitalisti da giustiziare senza pietà. L’uccisione di Rudolf Slánský, già fedele interprete delle direttive staliniste,è paradigmatica e viene ricordata da Cucchi nell’articolo “Finestre e forche in Cecoslovacchia”: “fu il primo anello di quella catena antisemita che doveva portare al processo dei medici ebrei di Mosca. Gottwald, l’artefice del massacro, morì alcuni mesi dopo, di un morbo imprecisato” (pag. 45). Ma non soltanto esecuzioni: i tanti esempi di retorica stalinista mostrano una mancanza di senso di ridicolo che ancora oggi sembra caratterizzare i regimi presenti nelle isole caraibiche, Sudamerica, Europa ed Estremo oriente. In merito non possiamo non citare il racconto di Cucchi alle prese con lo stalinista Kowalski e alle sue richieste di dossieraggio: “Il soliti italiani! Prima amici e poi comunisti! Dov’è la vigilanza rivoluzionaria?” (pag. 27). Uno zelo quello di Kowalski che però non gli procurò molta fortuna, anche se la sua fine risultò in linea con i tanti epuratori a sua volta epurati da qualcuno al momento più “puro”: “Compagni delegati il nostro pranzo d’addio è finito. Prima di lasciarci brindiamo insieme al grande compagno Stalin, al vittorioso condottiero, all’incomparabile maestro del marxismo leninismo, alla guida dei proletari di tutto il mondo. Gloria al grande Stalin […] Alcuni mesi dopo mi viene mostrato un giornale comunista con la notizia che l’agente imperialista Kowalsky era stato scoperto ed arrestato. Forse qualcuno, col suo sistema delle biografie incrociate, lo aveva liquidato, o forse distratto dalla bella moglie francese, si era dimenticato qualche volta di incitare: Viva Stalin!” (pag. 36). Articoli a dir poco lungimiranti quelli di Aldo Cucchi, che ancora oggi hanno molto da insegnare, salvo rendersi conto che certi miti resistono al di là di ogni evidenza ed ogni crimine.
Edizione esaminata e brevi note
Aldo Cucchi, (Reggio Emilia, 1911 – Bologna, 1983), medico, vice-comandante partigiano della divisione “Bologna”, medaglia d’oro della Resistenza, deputato del PCI, fu tra i fondatori del movimento Unione Socialista Indipendente (USI) e del settimanale “Risorgimento Socialista”.
Aldo Cucchi, “Il mito di Stalin nell’Europa orientale”, Il Canneto (collana Aptamì), Genova 2014, pag. 80.
Luca Menichetti. Lankelot, ottobre 2014
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