In questi giorni, settembre 2011, Jon Lord sta combattendo la sua battaglia più difficile, e, forse anche a causa di questa circostanza, molti di noi sono tornati a ricordarlo ai tempi più felici dei Deep Purple, quando, non senza difficoltà, riuscì a portare dentro quella band la sua cultura di pianista ed organista “accademico”. Erano tempi che qualcuno ha voluto definire come pionieristici e che probabilmente permettevano qualche esperimento musicale poco ortodosso, senza per questo venire risucchiati nel business più bieco. In questo senso i Deep Purple, sotto l’egida di Lord, interprete e compositore, la loro parte l’hanno fatta prima nel settembre 1969 col “Concerto For Group & Orchestra” alla Royal Albert Hall insieme alla Royal Philarmonic e Malcom Arnold; e poi appunto nel 1970 con “Gemini Suite”.
Ulteriori performances così eterodosse non furono più azzardate, probabilmente frustrando le velleità di Lord: gli altri del gruppo, che poi negli anni e con una eccessiva generalizzazione è stato definito spesso come una delle prime band hard rock, non volevano rischiare l’etichetta di musicisti troppo coinvolti col mondo accademico. E quindi avere problemi con i loro attuali e potenziali fans. Un pericolo del tutto comprensibile, se pensiamo che il crossover, se è vero che produce spesso opere mediocri, anche quando i risultati sono invece di tutto rispetto non riesce a superare diffidenze e pregiudizi. Tanto per fare un banale esempio, su un inserto di Repubblica dedicato ai Deep Purple, così scrive un tal Luigi Bolognini nel raccontare il concerto “for group and orchestra: “Il tutto, il 24 settembre 1969, alla Royal Albert Hall di Londra. Luogo di musica alta, istituzionale, borghese, noiosa”. Oltre un millennio di musica archiviato in due righe, non senza mettere in mezzo un po’di politica e sociologia. Non conosciamo quale sia la cultura musicale di questo Bolognini, ma è evidente come certi atteggiamenti imputati alla cosiddetta accademia si possano trovare, speculari, in chi questa accademia contesta. Quindi non c’è da meravigliarsi se un’opera come Gemini Suite, che pure non sarà un capolavoro, sia rimasta un po’in ombra, forse considerata come qualcosa di superfluo. O, come scrive ancora Bolognini relativamente al “Concerto For Group”, qualcosa di “bizzarro”.
Certo è che l’ascolto di questa Gemini suite, ibrido classico-rock inconsueto finché si vuole, fa capire come mai Jon Lord ne fosse tanto affezionato; tanto da volerne incidere nel 1972 in studio una versione un po’ modificata (senza il finale con la band al completo ed invece un nuovo movimento col piano), questa volta senza i Deep Purple ma con Yvonne Eliman, Tony Ashton e Albert Lee. Il Cd della Purple Record, “Gemini suite live” contiene l’unica interpretazione dei Deep Purple, registrata dal vivo nel settembre 1970 presso il Royal Festival Hall a South Bank di Londra, dove la composizione di Jon Lord è stata nuovamente diretta da Malcom Arnold con l’orchestra della Light Music Society. Era passato poco più di un anno dalla prima esecuzione del “Concerto For Group”, ma già si colgono alcune fondamentali differenze tra le due composizioni: sicuramente somiglianze ce ne sono, qualche passaggio che ricorda il precedente concerto, ma, pur nei limiti concessi dalla band, Lord ha voluto proporre qualcosa di nuovo nel rapporto tra gruppo rock e orchestra sinfonica.
Quanto si è ascoltato alla Royal Albert Hall poteva far pensare ad una sorta di concerto grosso, ovvero due sezioni strumentali – in questo caso musicisti classici e band rock – che alternano frasi ed episodi musicali in un dialogo alla pari. Con “Gemini suite” le cose cambiano: i musicisti rock con i loro strumenti, compresa la voce di Gillian, sembra che abbiano una maggiore confidenza col battaglione di professori d’orchestra e che al dialogo un po’a distanza si sia sostituita una più disinvolta fusione tra tutti loro. Fusione che è stata facilitata dal fatto che ognuno dei tre movimenti del concerto ha come protagonisti principali solo alcuni dei componenti della band. Nel primo movimento l’ascolto è monopolizzato dalla chitarra di Ritchie Blackmoore e dalle tastiere di Jon Lord, nel secondo dal basso di Roger Glover e soprattutto dalla voce di Ian Gillan, seppur presente in un breve brano vocale imbastito all’ultimo momento, nel terzo dalla batteria di Ian Paice.
Chi ascoltasse per la prima volta “Gemini suite” potrebbe cogliere echi di partiture più note dei Deep Purple come “Child in time”, quanto meno nella loro costruzione ambiziosa e quasi sinfonica, e probabilmente qualche passaggio che ricorda brani di Vaughan Williams, Stravinsky oppure ancora Shostakovich, oltre qualche spunto jazz e blues: niente però che faccia pensare ad una vera e propria scopiazzatura. Da quel lato mi pare che Jon Lord abbia dimostrato la sua capacità di tradurre le inevitabili suggestioni proprie di ogni musicista con formazione classica in qualcosa di personale e realmente inedito. Gillan questa volta è alle prese con una partitura che non gli ha permesso più di tanto di lanciare le sue tipiche urla belluine, ma, come giustamente è stato sottolineato, alle prese con la sezione degli archi e con reminiscenze di Elgar, inizialmente mostra una vocalità tutt’altro che aggressiva. L’ultimo movimento, che ancora una volta dimostra come questa “Gemini suite” sia una virtuosa passerella di prestazioni individuali da parte dei componenti della band piuttosto che un confronto serrato tra orchestra e l’intero gruppo rock, è forse quello dove meglio si fondono stili apparentemente diversi: Ian Paice con la sua batteria si inserisce senza problemi tra le percussioni dell’orchestra sinfonica. L’enfasi e la potenza dell’orchestra, quelle sue caratteristiche percussive che sono state così bene evidenziate nei capolavori dei già citati Stravinsky e Shostakovic, sono tali da non far apparire affatto come un corpo estraneo la batteria aggressiva di Paice.
Rispetto il precedente “Concerto For Group And Orchestra”, la seconda incursione dei Deep Purple nel cross over conclamato, assume aspetti più classici, dove predomina ancor di più la partitura sinfonica, e forse questo non ha favorito negli anni la sua diffusione al grande pubblico. “Gemini suite” non so se sia corretto considerarlo, come è stato scritto, uno dei migliori esempi di rock orchestrale; potremmo parlare pure di partitura sinfonica con una virtuosa abbondanza di strumenti “elettrici” ma il risultato non cambia: sicuramente un esempio di tutto rispetto di come, soprattutto nel campo delle percussioni, generi apparentemente agli antipodi (ma soprattutto nella mente dei rispettivi fans) si svelino in una insospettata sintonia.
Edizione esaminata e brevi note
http://it.wikipedia.org/wiki/Discografia_dei_Deep_Purple
Deep Purple: Jon Lord – organo
Ritchie Blackmore – chitarra
Ian Paice – batteria
Roger Glover – basso
Ian Gillan – voce
Deep Purple, Gemini suite live, 2006, Purple record (registrazione dal vivo del 17 settembre 1970)
Luca Menichetti. Lankelot, Settembre 2011
Recensione già pubblicata su ciao.it il 25 settembre 2011 e qui parzialmente modificata
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