Il risveglio è umido a diversi livelli: a livello del letto il materasso è ancora bagnato a causa della pioggia che ha gocciolato dal soffitto per buona parte della notte, a livello del corpo, il caldo mi ha fatto sudare copiosamente durante il sonno e a livello dell’aria, già carica d’umidità anche così di buonora.
Questa è la stagione delle piogge in Senegal: tre mesi in cui violenti temporali rovesciano piogge torrenziali su un terreno arido e spoglio che in breve diventa di un verde così brillante da ricordare molto i prati irlandesi. Questo rifiorire della natura non riguarda solo le piante, ma anche gli animali ed in particolare gli insetti: zanzare, farfalle, mosche, moscerini vari, difficile evitarli, per fortuna che i nostri letti sono dotati di zanzariere.
Istintivamente viene da pensare che con la pioggia arrivi anche un po’ di frescura: nulla di più sbagliato, la temperatura rimane ugualmente alta, cambia però l’umidità: una cappa torrida che non lascia scampo e costringe ad accettare il sudore come compagno costante di vita.
Ci troviamo sull’isola di Mar Lodj, nella zona nord del delta del Sine-Saloum, una regione caratterizzata da lunghi bracci di mare circondati da mangrovie, popolati da una miriade di uccelli e punteggiati da villaggi di pescatori. Siamo arrivati ieri dopo un breve viaggio in taxi e un’attraversata in piroga: quest’ultima l’abbiamo presa a Ndangane, il villaggio sulla terraferma più vicino. Si trattava della piroga pubblica che durante il giorno fa da spola e trasporta persone, cose e animali: insieme a noi solo abitanti del posto, casse di bibite per i campement dell’isola e qualche sacco di riso, tutti stipati insieme alla bene e meglio.
Siamo venuti qui attirati dalle bellezze che questa regione riserva e per assistere alla messa domenicale nella chiesa del villaggio, secondo le nostre informazioni infatti è animata dai bellissimi canti del coro locale, accompagnato dal suono dei tam-tam, i tamburi tradizionali.
Il Senegal è un paese a maggioranza musulmana, esiste però una minoranza cattolica ed è concentrata sulla costa, in particolare nella zona tra la città di Mbour e il Sine-Saloum. Spesso si tratta di sérèr, il terzo gruppo etnico del paese: un popolo dedito soprattutto all’agricoltura e alla pesca, che parla una propria sua lingua e da cui deriva l’attuale sport nazionale senegalese, un tipo di lotta corpo a corpo fatta di prese e posizionamenti il cui scopo è atterrare l’avversario.
Insieme a me ci sono Lavinia, collega volontaria del servizio civile, e Quentin, volontario dei Peace Corps americani che abita a Mbour, poco distante da noi.
Ieri abbiamo passato il pomeriggio sulla spiaggia dell’isola, cercando di combattere l’opprimente umidità con un lungo bagno nelle placide acque del bolong, il braccio di mare che separa l’isola dalla terraferma. Uno spettacolare tramonto ha infuocato le mangrovie intorno all’isola e la sera siamo rimasti in compagnia di un gruppo di francesi che pernottano nel nostro stesso ostello: una struttura
semplice ma accogliente, è la più economica dell’isola e il suo problema, a parte i soffitti gocciolanti, sono le zanzare che la infestano.
Durante la notte un forte temporale si è abbattuto sull’isola: tuoni e fulmini, anche piuttosto vicini, vento impetuoso e gocce talmente grosse da sembrare grandine. Il tetto di lamiera della nostra camera all’inizio sembrava reggere bene, purtroppo però dopo un po’ mi sono accorto di una perdita proprio in corrispondenza dei miei piedi e ho dovuto così spostarmi sul pavimento.
Il temporale sembra aver mandato via per un po’ l’afa, nel cortile l’aria sa di terra bagnata e la gatta del campement, che ha dormito tutta la notte sulla finestra della nostra camera, si sveglia e si stiracchia con uno sbadiglio.
Dopo colazione usciamo in direzione della chiesa, attraversiamo la depressione sabbiosa che ci separa dal villaggio e che è stata trasformata dai villageois in campo sportivo: porte da calcetto, bilancieri di cemento e ferro, sbarre arrugginite. La sera i giovani del villaggio si radunano qui per allenarsi insieme.
Mar Lodj è un pacifico villaggio, molto silenzioso e verdeggiante. La chiesa è una grande struttura rotonda coperta da un tetto di ferro e con davanti un basso campanile di mattoni. Il suono delle campane richiama i fedeli ed è quasi strano sentirle dopo mesi in cui l’unico richiamo alla preghiera che ho sentito è stato quello delle moschee di Mbour.
Sono le dieci e siamo perfettamente puntuali: la chiesa è già mezza piena, nei banchi davanti ci sono i bambini e i giovani, nelle file dietro tutti gli altri. Sulla sinistra il coro, con due ragazzi con dei tamburi ed uno con una chitarra elettrica. L’interno della chiesa è semplice ma elegante: una grande dipinto della sacra famiglia dietro l’altare, una Madonna nera con bambino nella cappella laterale. Sul soffitto e ai lati una miriade di ventilatori per fortuna già in funzione.
Non siamo gli unici turisti presenti, per fortuna però non ci sono gruppi rumorosi, ma solo famiglie e coppie. Per la domeni
ca i fedeli del villaggio sfoggiano i migliori vestiti del loro guardaroba, gli uomini hanno bellissime camicie sgargianti e le donne non sono da meno con ampi vestiti colorati dalle più diverse fantasie. Qui il senso del colore è del tutto diverso dal nostro.
Tra i primi banchi della fila centrale, dove sono seduti i bambini più piccoli, si aggira minacciosa una signora anziana, piuttosto bassa ma resa ancor più bassa dall’andatura curva, indossa un largo vestito viola. Ho passato l’infanzia e l’adolescenza frequentando gli scout, i chierichetti e il patronato della mia parrocchia e sarei pronto a scommettere un dito del piede, che la signora è una catechista. Anche da noi si trattava nella maggior parte dei casi di signore piuttosto avanti con gli anni, di bassa statura e dal cipiglio severo, ma anche con una pazienza da sante.
La celebrazione inizia con quaranta minuti di ritardo. Una processione con tanto di Crocifisso, candele, turibolo e chierichetti entra dalla porta principale. Già dal primo canto capisco che la fama del coro di Mar Lodj è ben meritata: sembra di ascoltare uno dei brani dell’album di Paul Simon, Graceland, pubblicato nel 1986 ed ispirato da un suo viaggio in Sud Africa. I tamburi danno il ritmo e la chitarra elettrica accompagna melodicamente senza mai attirare troppo l’attenzione, le voci femminili sono squillanti, quelle maschili profonde. Un insieme estremamente efficace e che sa proprio di “Africa”.
La celebrazione è mista in sérèr e francese, il prete è un alto signore sulla cinquantina. Il coro approfitta di tutte le occasioni possibili per inserire una canzone, un evento che durante la mia infanzia da scout e chierichetto avrei mal s
opportato, ma che qui è invece un piacere. Durante la prima lettura scorgo due dei bambini dei banchi davanti che giocano con della sabbia per terra. La catechista li vede e si avvicina con uno scatto sorprendente vista la sua età e con un’altrettanto inaspettata forza li tira su per
le braccia.
Il brano del Vangelo è quello di Gesù che cammina sulle acque durante la tempesta. Abbastanza adatto visto che ci troviamo su un’isola di pescatori e che ieri è piovuto molto. L’omelia viene fatta in entrambe le lingue, anche i canti sono in francese ed in sérèr, alcuni invece sono in wolof, la lingua maggioritaria in Senegal.
Al momento della consacrazione delle particole, quando tutti s’inginocchiano, i due bambini che stavano giocando con la sabbia sembrano dimenticarsene e restano in piedi. Vengono prontamente richiamati all’ordine dalla truce catechista, che con un altro scatto da centometrista arriva a ristabilire l’ordine.
Prima della benedizione finale, come in ogni parrocchia che si rispetti, il prete fa gli annunci per la settimana: riunione del comitato delle donne a casa della presidentessa, incontro di preghiera a Palmarin, torneo di calcio parrocchiale. Si scusa inoltre per il ritardo dicendo che era impegnato sulla terraferma per un’altra Messa e prima di concludere dà il benvenuto a noi visitatori, “in chiesa non ci sono barriere e sono tutti benvenuti”.
Come sempre, il canto finale sembra essere quello che dura di più, i primi ad uscire sono proprio i due discoli della prima fila, seguiti dalla disapprovazione della catechista.
Dal cortile della chiesa si vede il minareto della moschea, forse è un caso ma sembra essere alto esattamente quanto il campanile. In Senegal ci sono moltissimi problemi, a diversi livelli della società, matrimoni precoci, mutilazione genitale femminile, omofobia, bambini di strada, emigrazione clandestina e molto altro, la convivenza religiosa però è esemplare, un vero esempio positivo in tempi come i nostri.
Links:
https://fr.wikipedia.org/wiki/Mar_Lodj
Francesco Ricapito Agosto 2017
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