Poco più di cento pagine sono state sufficienti ad Ilvo Diamanti, col suo stile un po’ rap e totalmente privo di fronzoli, per rispondere a una domanda per niente banale ma che molti di noi in questi anni si sono fatti: perché i cosiddetti esperti sbagliano le previsioni politiche? Finalmente il politologo che, con una punta di necessaria perfidia, ha indagato i motivi per cui tanti suoi stimati colleghi non ne azzeccano una. In questi anni di “Seconda Repubblica”, nei quali, tra i cosiddetti esperti, sembrava questione prioritaria se il centrosinistra dovesse avere il trattino o meno, onestamente qualche risposta ce la siamo dati da soli; anche soltanto a vedere in faccia e ad ascoltare i professori prestati alla politologia fai da te. Ovvero quando ci si inventa un mondo parallelo di fantasia e poi lo si spaccia come legge di natura applicata alla politica. Diamanti sicuramente non è giunto a quelle conclusioni drastiche che potevano venire in mente – tanto per dire – al sottoscritto di fronte alle teorizzazioni di Parisi o a quelle di uno zerbino berlusconiano. Rimane il fatto che se andiamo a leggere la risposta articolata di Diamanti al quesito “perché i cosiddetti esperti sbagliano”, i citati soloni non ci fanno una gran bella figura e quindi vengono mostrati chiaramente i limiti di una scienza politica spesso autoreferenziale, in mano a personaggi sopravvalutati. Malgrado tanti sofisticati strumenti di analisi e ricerca, importanti studi comparatistici, pare davvero che i politologi italiani non siano stati più capaci di orientarsi e quindi spiegare fenomeni che regolarmente non sono stati previsti. Magari proprio perché, innamorati delle loro teorie e di sistemi politici stranieri conosciuti grazie ai loro studi, non sono riusciti ad andare oltre. Secondo Diamanti molti suoi stimati colleghi hanno il brutto vizio di concentrare la loro attenzione, spesso in modo esclusivo, su quei professionisti dediti ad accaparrarsi comode poltrone all’interno delle istituzioni e che spesso ci confondono con i loro detti e contraddetti, trascurando invece quanto accade nel retroscena sociale. In particolare, ignorano i cosiddetti “microclimi d’opinione” che si creano nelle relazioni interpersonali e che si rivelano essenziali per capire fenomeni altrimenti incomprensibili; come ad esempio la fedeltà a partiti e movimenti che pure avevano mostrato esempi micidiali di malgoverno.
La prospettiva di Diamanti è diversa e qui entra in campo la suocera del titolo. Era ancora l’epoca del Miracolo Italiano a Palazzo Chigi e la suocera di Ilvo Diamanti si imbatté al supermercato in una anziana signora che inveiva contro “quel p…..di Prodi”: colpa sua se i prezzi salivano. Da qui l’ulteriore domanda: perché si tende attribuire con tale leggerezza delle responsabilità di un governo a un esecutivo del passato? Diamanti evita di sbrigarsela con considerazioni sulla cretinaggine del prossimo ma tenta di comprendere le ragioni di questo anacronismo e trova una risposta: gli esseri umani ci definiscono in opposizione ad un nemico. E per farlo, risulta comodo usare le categorie del passato, specie quando quelle del presente sono poco chiare. Questo il motivo per cui la signora se l’è presa con Prodi e perché Berlusconi ha sempre avuto gioco facile ad agitare il fantasma del comunismo. In Italia poi l’operazione è risultata molto facile perché dal 1948 ad oggi la mappa delle appartenenze politiche non è cambiata. Magari sono cambiati dei colori, alcune bandiere ma i valori professati e i nemici da battere son sempre quelli. Alla fin fine è per questo motivo se gli scienziati politici non ne azzeccano una: applicano metodi sbagliati, scambiando la pluralità delle opinioni per l’Opinione Pubblica in quanto tale, sopravvalutano il peso delle strutture dello Stato ed invece minimizzano o proprio non prendono in considerazione fenomeni come l’esperienza di vita, la trasmissione dei valori in famiglia e nella cerchia degli amici. In questo senso pare che Diamanti voglia far riscoprire l’importanza della microsociologia, ovvero lo studi dell’interazione sociale su scala ridotta. Ne consegue quindi anche la necessità di tenere conto della differenza tra buon senso e senso comune. Da qui i riferimenti a Gramsci e Manzoni.
In “Passato e presente”il filosofo comunista citava Manzoni che nei “Promessi sposi” così scriveva: “il buon senso c’era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Senso comune non disgiunto dal concetto di tradizione e che riporta alla mente Bourdieu quando suggeriva come “gli individui si espongono ai media più per trovare conferma alle proprie opinioni che per cambiarle. Anche perché il messaggio televisivo e mediale viene reinterpretato a livello sociale e territoriale. Perché ogni messaggio televisivo e mediale è raccolto e ridiscusso nelle reti di relazioni primarie in cui sono inserite le persone” (pag. 95). In altri termini, se la comunità scientifica fosse davvero dotata di buon senso allora “si interrogherebbe maggiormente su quello che avviene a livello locale e micro-sociale, nella sfera personale e interpersonale […] Ma il “senso comune” degli specialisti ci induce a far finta di nulla. A negare la realtà per non cambiare gli occhiali con cui la osserviamo. Dall’alto e di lontano” (pag. 106). Dopo aver ascoltato per anni le verità di fede di noti politologi, la lettura di Diamanti ci ha confermato quello che sospettavamo da tempo: dalle parti dei teorici della Seconda Repubblica il “buon senso” scarseggia.
Edizione esaminata e brevi note
Ilvo Diamanti (Cuneo,1952), professore di Scienza politica e Comunicazione politica presso l’Università di Urbino «Carlo Bo», è presidente della Società Italiana di Studi Elettorali. Scrive Mappe e Bussole per il quotidiano «la Repubblica». Tra le sue pubblicazioni: con Donzelli «La Lega» (1995) e «Il male del Nord» (1996); con il Sole 24 Ore «Politica all’italiana» (2001); con il Mulino «Mappe dell’Italia politica» (2009); con Feltrinelli «Sillabario dei tempi tristi» (2011).
Ilvo Diamanti, Gramsci, Manzoni e mia suocera. Quando gli esperti sbagliano le previsioni politiche, Il Mulino (Collana “Voci”), Bologna 2012, pag.118
Luca Menichetti. Lankelot, novembre 2012
Follow Us