I giorni passati, che lentamente affiorano, si fanno vicini per Johanna, figlia unica che ha assistito fino alla fine, in lunghe veglie ospedaliere, la madre malata.
Dopo che tutto si è compiuto, Johanna, ancora con il sacco della biancheria materna, rientra nella vecchia casa dei genitori, in quella casa che era stata anche sua. Compie gesti minimi: entra, fa partire la lavatrice, decide dove stendere la roba, valuta se si asciugherà o meno e intanto, quasi suo malgrado, lembi del passato, spesso dolorosi, ritornano.
La casa rigurgita di oggetti, di cui Johanna dovrà ben fare qualcosa e aleggia “Un odore di madre pallido, familiare”, che pervade tutto. Modificare qualcosa, buttare via, sembra a Johanna un sacrilegio, di cui sua madre potrebbe ancora rimproverarla.
È sulla predominante figura materna che si impernia tutto il romanzo: lei è stata la donna forte, che ha voluto dedicarsi interamente alla figlia e per questo non ha lavorato fuori, è diventata il direttore della casa.
“Era la principessa delle cassette di fiori, la regina della cucina componibile, la patriarca dei conti relativi al governo della casa. Il suo potere si estendeva fino al limite massimo raggiunto dal suo aspirapolvere, dal cencio per lucidare, dallo strofinaccio per le pulizie, dalla mano armata di spugna sulla tela cerata, si estendeva al padre, alla bambina e alla nonna, i cui intimi spazi vitali erano tenuti da lei scrupolosamente puliti.”
Johanna è cresciuta “avvolta nel potere ammirevole della madre”, fin troppo in verità, tanto da avere difficoltà a ritrovare se stessa.
Il padre è una figura poco incisiva, malata, defilata, instabile. Alla piccola famiglia appartiene anche la nonna materna, pure lei proviene dalla regione dei Sudeti, il padre invece non ha le stesse origini. I Sudeti sono i luoghi d’origine che riaffiorano, terre di confine, dalle quali la popolazione tedesca fu espulsa dopo la seconda guerra mondiale, quando quei territori furono restituiti alla Cecoslovacchia. Tre milioni di persone si trovarono così a vivere in una terra a loro aliena di cui parlavano la lingua con accento straniero.
“Con la nonna e la madre i Sudeti erano giunti al Reno. Perché i popoli e le regioni possono viaggiare. Viaggiano in quanto odori, immagini, storie. Viaggiano accompagnati da reliquie e ricette. Sono là dove vengono vissuti”.
La casa, il paese erano lì, un tempo, e non sono mai stati dimenticati.
Johanna invece si ritrova senza ricordi nitidi sia a causa dei continui traslochi che ha subito durante l’infanzia e la giovinezza – il padre cambia continuamente lavoro e città – sia perché li ha in parte rimossi, accantonati negli angoli della mente, poiché le sembrava un tradimento farli riaffiorare. I ricordi sono “i nomadi dell’anima”.
Ecco allora che la morte della madre e il rientrare di Johanna nella vecchia casa e trascorrervi – pur non senza esitazioni e ripensamenti – una notte, fanno emergere a tratti il passato, che scaturisce a sorpresa da piccole cose, dettagli, particolari.
Il primo romanzo della Overath è essenziale, costruito su pochi personaggi e su eventi minimi, narrati con precisione chirurgica.
È soprattutto il rapporto conflittuale con la madre a emergere: non ci sono lacrime in Johanna, sembra distaccata, come se tra sé e sua madre avesse messo una barriera, che però, alla fine, non regge e il passato – recuperato a episodi – ritorna e viene anche condiviso e raccontato in uno di quegli incontri casuali che a volte la vita ci pone davanti.
Non si può essere obbligati ad amare la propria madre, ci dice Johanna.
“L’amore non era un imperativo sociale. Di questo era sicura. E l’amore materno era una droga, una beatitudine, un gorgo, un non-farcela-mai-più-a-uscire, un’eterna revoca”.
L’analisi è impietosa e molto lucida e svolge un ruolo catartico: alla fine è una Johanna più leggera e più libera ad uscire dalla sua casa d’origine.
Edizione esaminata e brevi note
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Angelika Overath (Karlsrhue 1957), ha studiato germanistica, storia e italianistica all’Università di Tübingen. Dopo la laurea ha lavorato come scrittrice e giornalista per tre anni in Grecia. Nel 1991 è rientrata in Germania. Vive in Svizzera.
Angelika Overath, Giorni Vicini, Romanzo di una notte, Rovereto, Keller editore 2012. Ttraduzione di Laura Bortot.
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