“Alla politica spetta allargare le proprie orbite, raccogliere obiezioni soggettive e impolitiche; e alla letteratura invece tocca essere sleale e irriducibile sino in fondo: insistere definitivamente nel dire di no” p.187.
Esce quest’anno, 2017, la prima monografia integralmente dedicata al più importante scrittore sardo vivente, Salvatore Mannuzzu. L’autore di questo studio è Alessandro Cadoni, letterato che poco tempo fa dava alle stampe l’ultimo libro possibile che possa essere scritto su Pasolini. E se in quell’occasione si era – avevo – detto che la sua partita su un terreno difficile è stata vinta nonostante un campo a dir poco accidentato, stavolta Alessandro si trova a giocare da solo – benché in casa – in un campo deserto. Dico questo non perché non sia stato scritto niente su Mannuzzu – tutt’altro, dalla Ginzburg a Pampaloni a Fofi alla Fortini troviamo pagine di autentica intelligenza e lucidità – quanto perché Cadoni ha deciso di sobbarcarsi un compito non da poco sulle proprie spalle. Quando si affronta una monografia di un autore il coraggio è la prima delle qualità necessarie ma, a lettura ultimata di questo lavoro, il lettore intravede qualcosa di eroico. Perché Mannuzzu è tosto, perché Mannuzzu è stratificato oltre ogni immaginazione, perché Mannuzzu fa parte di quella razza di scrittori cheti ma incisivi che parlano a voce dimessa proprio perché hanno un oceano di pensieri con cui travolgerci. E smistare le onde non è lavoro per tutti.
Partiamo dal titolo, “Il fantasma e il seduttore”. A chi si riferisce? Allo scrittore sardo? O a qualche suo personaggio? Mannuzzu diventa scrittore “da grande” per così dire, il suo primo libro è pubblicato sotto pseudonimo a trent’anni, il secondo esce col suo vero nome quando ne ha cinquantotto. Sarà proprio questo suo secondo libro, Procedura, il suo capolavoro, a dargli immediata notorietà a livello nazionale. Ma chi è il fantasma? Chi il seduttore? I suoi libri sono dei gialli. Delitti, interrogatori, indagini, processi. Mannuzzu nella vita di tutti giorni non è scrittore, è magistrato e la conoscenza di questo mondo sarà preziosa per la sua idea di letteratura. Gialla dunque, ma non di consumo, se non inteso come sinonimo di corrosione, disfacimento e infine di oblio. Il narratore dei suoi libri è magistrato. È lui il fantasma? È lui il seduttore? Questo “io”, questo “noi” che parla è un protagonista che non si sente di essere protagonista di una storia. La sua ricerca (dell’assassino, della ricostruzione della vita dell’assassinato, quindi la ricerca della verità) lo spinge a mettersi da parte, vittima della sua esibita inettitudine, e spinge i riflettori sull’oggetto della sua strenua ricerca: ecco il grande assente, il fantasma che egli va cercando. Questa ricerca dell’assente, cioè ricerca di qualcosa di diverso, altro da sé, è forse il cuore di tutta la letteratura mannuzziana. Cadoni lo spiega bene e da questo primo indizio imbastisce, sì anche lui, un’indagine certosina e instancabile, alla ricerca di questa assenza. Il fantasma, si scopre presto, è il seduttore. Non certo Mannuzzu o il suo protagonista. Anzi, questi più che il seduttore è il suo servo, quel Leporello così importante per capire la collocazione di Don Giovanni all’interno di questo groviglio nebuloso e indistinto.
Il narratore, inetto, non è sardo. È un magistrato che si ritrova sull’isola e, volente o nolente, deve portare a termine un compito. Sa di non esserne in grado. In Procedura cammina per Sassari “in stato sonnambolico” (p.35) e la descrizione stessa della città, infatti, è restituita con palesi incongruenze per chi la conosce. Questo flâneur si fa largo in un luogo rimaneggiato da Mannuzzu con una tecnica che vuole palesare la sua mistificazione. Sassari è stravolta, le strade curiosamente ricollocate, e il trucco diventa evidente perché lo scrittore insiste con dei dettagli precisi che sono, appunto, infedeli alla realtà. Questa opacità, questa incongruenza è spia di una messa in scena dell’inesatto così come inesatti spesso sono i ricordi rimaneggiati dalla memoria.
Ecco dunque che Leporello orfano di Don Giovanni diventa “cacciatore di un morto, un uomo sulle tracce di un fantasma” (p. 73).
L’attesa, il desiderio, cardini della sua poetica, sono affrontati con una grande padronanza della reticenza e un amore sincero per la metafora. Tutto rigorosamente in italiano, il sardo è assente (un’altra assenza): “Mai in Mannuzzu è vagheggiata una fantomatica Heimat sarda, e neppure se ne rimpiange la perdita” (p. 141). Come lo stesso autore rivela, “La Sardegna è metafora che funziona solo se in rapporto ad altro” (p. 32). La sua lingua è letteraria, si riconosce per l’uso personalissimo della punteggiatura “ipertrofica” (p. 64), del punto e virgola ma soprattutto dei due punti: “veri e propri stilemi inconfondibili di Mannuzzu” (p. 29). La storia dei suoi personaggi è costeggiata a scandita dall’eco della Storia, la Storia d’Italia, che giunge da lontano, come un suono di campane, presente e imprescindibile nonostante tutto. Ma tutto è vago. Le indagini vanno avanti per inerzia, la città è irriconoscibile, la Storia è distante, l’incedere claudicante, l’atopia un rischio tangibile, e anche il sesso diventa qualcosa di indefinito: “La rinuncia a una salda o tradizionale identità sessuale concorre alla definizione a tutto tondo di situazioni e personaggi che, in un velo di opacità, disegnano l’orizzonte di irraggiungibilità del senso” (p. 97).
I libri di Mannuzzu, va da sé, non sono tutti uguali. E lungo la sua carriera si manifesta un’evoluzione velata di tragico, come dice lo stesso scrittore: “Il mio tempo di oggi non è più elegia, è tragedia” (pag. 196). Ai romanzi si accompagno i racconti, i saggi, i radiodrammi. Non cambia tuttavia la sua matrice iniziale, la sua ricerca di questo fantomatico fantasma che, lungo il saggio di Cadoni, prende forma sino a quando non mostra il suo volto, fino a quando non riemerge il suo nome. L’indagine di Cadoni, infatti, ha i suoi frutti. Il suo giallo ha un finale e, spietatamente, lo sveliamo.
Mannuzzu cammina “perennemente alla ricerca di un altro, o di qualcos’altro, di sé mostra tuttalpiù la volontà di celare la gran parte di ciò che lo riguarda, lasciandosi conoscere non nei fatti ma attraverso le vie tortuose del pensiero” (pag 113) ma finalmente spunta la tessera mancante di questo grande mosaico. Cadoni infatti lo dice apertamente: “Tutta la sua letteratura risponde all’esigenza di elaborazione di un lutto personale – la morte del fratello Romano, nel 1966” (pag. 218). Ecco Don Giovanni, il fantasma/seduttore, l’altro che non c’è più. Il fratello brillante, che era andato a Roma a fare l’attore al cinematografo, e che la morte aveva colto troppo presto.
Questo giallo, non di Mannuzzu, ma di Alessandro Cadoni, che Mannuzzu ha come protagonista (appunto, quel magistrato alla ricerca della definizione di un’assenza) è il libro che ci troviamo fra le mani. Più che un saggio un seminario, un testo fiume dove non è tralasciato niente. L’analisi che porta avanti mostra il bagaglio enciclopedico del suo autore nell’analizzare lo scrittore sardo, e questo bagaglio è sfruttato al massimo per sviscerare le innumerevoli anime che si celano tra i capolavori di Mannuzzu. Si parla molto di écfrasis nel testo, cioè la descrizione di opere d’arte o comunque visive che lo scrittore sardo mette in pratica molto spesso (basti pensare che il libro Alice è stato scritto guardando la foto del battello in copertina) ma Cadoni non è da meno, si serve di un numero sterminato di opere d’arte, film, ma pure libretti, opere liriche e romanzi per interpretare Mannuzzu. Viene in mente Orson Welles in Citizen Kane, in piedi su un pavimento letteralmente ricoperto di pagine di giornale su cui proietta la sua lunga ombra. Cadoni usa la letteratura per descrivere la letteratura, usa esempi calzanti servendosi di cinema e musica classica per spogliare un autore che, nelle interviste in particolar modo, conferma tutte le intuizioni del suo esegeta. Non solo, si intravede anche qualche gioco di specchi quando a pagina 34 Cadoni cita Deleuze con queste parole: “in Procedura […] uomini privi di certezza, tutt’altro che eroi d’azione, [sono] capaci di trascolorare ciò che guardano, di frapporre il loro filtro alla fotografia del dettaglio”; e poco più avanti lo stesso Cadoni dopo un virgolettato vuole “allargare il raggio dell’inquadratura” sul libro di Mannuzzu per accompagnare il lettore verso un’altra frase saliente (p. 38), quasi che quel filtro indossato dai personaggi di Mannuzzu non fosse diverso da quello (stavolta non deformante) indossato da Cadoni per analizzare i libri del suo autore. Ma questa visione tridimensionale del libro, questo staccarsi dalle parole di Mannuzzu impresse sulla carta porosa si intravede anche in un altro suggestivo passaggio dove il saggista dice “anche quando il personaggio si muove tra vie e palazzi, e, perché no, in mezzo alla folla, pare di sentire chiara la sua voce, e solo quella; e se si accosta alla pagina l’orecchio, si udirà l’eco dei suoi passi nel vuoto” (p. 45). Il testo di Alessandro Cadoni è per questo, e non solo, molto “visivo”. La sua forza sta nell’autonomia costante rispetto alla materia studiata, perché nonostante riesca a sviscerare un autore stratificato come Mannuzzu, così profondo e oscuro come solo i grandi letterati sanno essere, il saggista riesce a non venir risucchiato dalla forte personalità dell’oggetto di studio. In queste densissime pagine non c’è boria, non c’è dilettantismo. Mannuzzu può soltanto esserne contento.
Edizione esaminata e brevi note
Alessandro Cadoni (Sassari, 1979) docente e scrittore italiano, cultore della materia in Critica letteraria presso l’Università di Sassari, dove ha svolto attività di ricerca in qualità sia di assegnista che di borsista, oltre che di membro di Unità Operativa del progetto di ricerca “Osservatorio critico della narrativa contemporanea in Sardegna”. Docente di materie letterarie nelle scuole superiori, è dottore di ricerca in “Logos e Rappresentazione” (Università di Siena). Con la tesi dottorale ha vinto ex-aequo il Premio Pasolini 2010 (Fondo Archivio Pasolini – Cineteca di Bologna). Tra i suoi interessi, la narrativa italiana contemporanea, le possibilità di utilizzo della teoria letteraria nell’analisi del film, la storia della critica cinematografica e letteraria. Collaboratore di diverse riviste e, dal 2008, del quotidiano «La Nuova Sardegna», dove si occupa di critica letteraria e teatrale, ha pubblicato nel 2015, per l’editore Mimesis, Il segno della contaminazione. Il film tra critica e letteratura in Pasolini, mentre nel 2013 ha curato, per la rivista «Parol» (n. 22), una raccolta di saggi su Petrolio di Pasolini (Petrolio e dopo). Ha scritto inoltre saggi su vari autori, tra cui Grazia Deledda, Roberto Longhi, Barthélemy Amengual, Mario Soldati, Cesare Cases, Salvatore Mannuzzu, Andrea Camilleri.
Alessandro Cadoni, “Il fantasma e il seduttore. Ritratto di Salvatore Mannuzzu”, Roma, Donzelli, 2017
Luca Martello, settembre 2017.
Follow Us