La domanda sorge spontanea, per dirla alla Lubrano: cosa potrà mai fare una vecchia gloria hollywoodiana una volta lasciato il grande schermo? Con tutti quei quattrini da parte di sicuro potrà sbizzarrirsi ed anche qualcosa che, grazie all’ambiente nel quale si è vissuto, ancora una volta non lascerà indifferente il grande pubblico: scrivere le proprie memorie. Così ha fatto il bielorussso americano Issur Danielovitch, in arte Kirk Douglas, che, nonagenario e dopo un colpo apoplettico che a quanto pare non lo ha affatto rincoglionito, si è scoperto scrittore. Date un occhio ad amazon anglosassone e ve ne renderete conto. Ma prima di tutto è necessario ricordare che il nostro Issur arrivò a Los Angeles alla fine della seconda guerra mondiale e proprio in quel periodo – si parla del 1947 –ancor prima che il senatore McCarthy si scatenasse con quella caccia alle streghe che scandalizzò anche fior di conservatori, la famigerata “Commissione sulle attività antiamericane” (presieduta dal senatore J. Parnell Thomas, poi poco dopo condannato per appropriazione indebita di denaro pubblico) chiese conto ad alcuni dei personaggi più in vista dell’industria cinematografica delle proprie simpatie comuniste (anche se a volte il presunto comunismo era una sorta di socialismo ancora non consapevole dei crimini stalinisti). Di fronte al rischio di finire su una “lista nera”, perdere il lavoro e magari finire in galera, furono in tanti a cedere e quindi collaborare con le “indagini” (e qui le virgolette ci stanno proprio bene). Molti “collaborazionisti” dunque ma anche persone con le palle che non vollero cedere al ricatto: tra questi, finiti subito nella lista nera e poi in galera, Dalton Trumbo e Howard Fast. Il primo era uno degli sceneggiatori più celebrati dell’epoca e, per la sua scelta coraggiosa, fu iscritto tra i cosiddetti “Unfriendly Ten”, i “dieci ostili” che si rifiutarono di rispondere alle domande del comitato d’inchiesta e da allora costretti a lavorare dietro pseudonimo. Il secondo, scrittore di talento quanto pieno di sè, dopo la denuncia dei crimini stalinisti, rinnegò il proprio comunismo ma, al tempo, la sua affiliazione al minuscolo partito comunista degli Stati Uniti, gli costò il carcere. Fu proprio grazie ad un romanzo di quest’ultimo, “Spartacus”, che il liberal Kirk Douglas, nelle vesti di produttore e con la sua compagnia Bryna, ebbe l’idea di un kolossal epico in costume che avrebbe dovuto compensare la sua esclusione dal Ben Hur di William Wyler.
Il libro di memorie racconta appunto la complicatissima lavorazione del film (cinque anni per portarlo a termine) e di come, grazie alla collaborazione di Dalton Trumbo, ancora sotto pseudonimo, prese forma un’opera rimasta negli annali della migliore Hollywood e di come a cose fatte, svelando i nomi degli autentici collaboratori, la “lista nera” fu sbugiardata e resa innocua. L’excursus storico parte dal primo dopoguerra: si racconta il clima di sospetto, di isteria e di vigliaccheria che, in piena guerra fredda, aveva ormai ammorbato la democrazia americana, quale premessa ad un film fortemente voluto da Kirk Douglas e che i maligni (o realisti) hanno definito un “monumento a se stesso”. I critici meno benevoli hanno rilevato come un kolossal politico potenzialmente sovversivo, vista la presenza dietro le quinte di Fast e di Trumbo, si sia trasformato col tempo in un film epico, comunque di alto livello, condizionato da dissidi personali e dalle diverse idee sul personaggio Spartacus. Non è infatti un caso se negli USA queste memorie abbiano avuto strascichi polemici, con accuse – minimo – di autoindulgenza, paternalismo, di falsi ricordi; e con le quali viene fortemente ridimensionato il ruolo di Kirk Douglas nel rendere innocua la famigerata lista nera. Comunque la si voglia vedere il racconto del vecchio attore non appare poi tanto reticente riguardo il clima di sospetto di e isteria collettiva che aveva ammorbato in quegli anni gli Stati Uniti e che si era poi trasferito sul set di Spartacus. Un set dove alle difficoltà oggettive di fare del romanzo politico di Fast un film epico costruito tutto sul produttore-attore Douglas, si aggiungevano i problemi personali e le bizze dei noti e meno noti colleghi, dal rapporto complicato di amore-odio col giovane talentuoso Stanley Kubrick, assunto dopo aver dato il benservito ad Antony Mann; e poi tutte le vicissitudini capitate con Sir Laurence Olivier, Charles Laughton, Peter Ustinov, Jean Simmons, Tony Curtis e soprattutto con Dalton Trumbo e i suoi prestanome. Senza dimenticare come, secondo Kirk Douglas, grandi scrittori come Fast, tanto bravi nello scrivere romanzi e racconti, si fossero però sempre dimostrati pessimi sceneggiatori di film.
Libro che sarà pure narcisista (lo stesso titolo ci dice qualcosa) ma – ripetiamolo – Douglas, pur con qualche reticenza volta ad accrescere il proprio ruolo (c’è chi ha ricordato come pochi anni prima la CBS, Stanley Kramer e Otto Preminger, con Exodus, avessero già pubblicizzato l’assunzione di Donald Trumbo, contribuendo così a vanificare la “lista nera”), ha raccontato un quadro decisamente fosco dell’America degli anni ’40 e ’50, tra paura irrazionale del comunismo ed un sempre presente antisemitismo (Kirk-Issur Danielovitch è di famiglia ebraica); senza negarsi giudizi pesanti su alcuni colleghi, collaborazionisti fin troppo zelanti. E dove calza a pennello la massima di Orson Welles: “Ci si accusava tra amici per salvarsi la piscina, non certo la vita” (pag. 39). Leggiamo ancora: “Menjou disse al Comitato: ‘Sono un cacciatore di streghe, se le streghe sono i comunisti. Io i rossi li perseguito. Fosse per me tornerebbero tutti in Russia. Una curiosità di Adolphe Menjou: dieci anni dopo, quando lo ingaggiai per orizzonti di gloria, fu ben felice di incassare l’assegno della mia casa di produzione, la Bryna. Immagino nessuno gli avesse detto che Bryna era il nome di mia madre, russa” (pag. 21). Possiamo anche concordare con i critici più feroci sulle reticenze, sulle inesattezze, sul narcisismo, su alcuni falsi ricordi, ma alla fin fine, pur consapevoli dei vizi e dei vezzi di un vecchio leone dello schermo, dobbiamo ammettere che il libro del novantaseienne Kirk-Issur Danielovitch non c’è dispiaciuto affatto: si legge in un baleno, cogliendo bene, anche grazie allo stile, la vivacità di un vecchio marpione; e ci si immerge senza fatica in una Hollywood gremita di grandissime e bizzosissime star. Visto l’argomento la breve prefazione del liberal George Clooney, autore e attore di “Good Night, and Good Luck”, ci stava tutta.
Edizione esaminata e brevi note
Kirk Douglas, nato Issur Danielovitch Demsky (Amsterdam, New York, 9 dicembre 1916), da immigrati bielorussi è un attore e produttore cinematografico statunitense. Ha interpretato oltre novanta film, vincitore di un Oscar e di una Medal of Freedom. Con la sua casa di produzione Bryna ha girato molte pellicole di successo, tra cui I vichinghi, Solo sotto le stelle e Orizzonti di gloria. È anche autore di romanzi e saggi autobiografici. Oggi, a 96 anni, conduce una vita attiva in California, dove abita insieme alla moglie Anne.
Kirk Douglas, “Io sono Spartaco. Come girammo un film e cancellammo la lista nera”, Il Saggiatore (collana La cultura), Milano 2013, pag. 216. Prefazione di George Clooney. Traduzione di Luca Fusari
Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2013
Follow Us