Ken Follett, noto sostenitore del partito laburista, nei suoi romanzi ha sempre fatto capire come la pensava sulla politica contemporanea, non ha mai nascosto il suo antifascismo, la repulsione per quanto combinato dal socialismo reale; ed anche un atteggiamento molto polemico nei confronti del credo religioso e dei suoi interpreti. Come spesso accade, alla base di un ateismo militante, è facile scoprire un’infanzia e una giovinezza condizionata da educazione repressiva, segnata da regole religiose poco comprensibili, vissute sempre più con disagio, fino a causare una reazione e un rifiuto per tutto quello che ha a che fare con il trascendente. Ken Follett, in un recente memoir – che si legge davvero come un racconto – pubblicato originariamente in “Granta 137” (2016), ha infatti ricordato tutto il malessere vissuto in una famiglia puritana di stretta osservanza, addirittura aderente ai Plymouth Brethren, come ricorda nella prefazione Alessandro Zaccuri, intenti a “seguire un’interpretazione letterale delle Scritture, assumendo in breve tempo un atteggiamento di rigorosa intransigenza morale” (pp.10). Facciamo riferimento quindi a movimenti radicali che avevano rifiutato l’Atto di uniformità del 1662, che poi si erano divisi tra Open ed Exclusive Brethren, e poi ancora “in un frastagliato arcipelago di affiliazioni e sottoaffiliazioni”. La famiglia di Follett apparteneva ad una di quelle “exclusive” e la cosa – essere parte di una vera e propria setta – generò situazioni grottesche che hanno contrapposto anche i membri della stessa famiglia: “anche andare nella chiesa di un’altra denominazione era un peccato bell’è buono, specie se si trattava di un altro ramo dei Fratelli” (pp.25). Un puritanesimo estremista che volle dire niente cinema, niente musica leggera, niente divertimenti “eretici”, niente scout perché estranei alla setta, obbedienza cieca all’autorità della famiglia e agli anziani della comunità.
Per comprendere il clima: lo zio Ken, che aderì ad un gruppo religioso ancor più minoritario dopo aver tentato una sorta di ribellione (un inconcepibile – per i loro canoni – arruolamento in marina), quando morì la madre del futuro scrittore, “non ebbe il permesso di partecipare al funerale della sorella, perché si trattava della funzione di una setta rivale”. Lo zio Ken, a quanto pare, guidò allora per più di centro chilometri “solo per starsene in piedi in mezzo alla strada a guardare il carro funebre che si allontanava” (pp.32). Follett evidentemente non riuscì a sopportare a lungo questo vivere triste e oppressivo: qualche disubbidienza e le crepe si insinuavano sempre più tra lui, la fede religiosa e gli adepti della setta puritana. Il Reader’s Digest, che pure era letto anche dai suoi genitori, e gli articoli sulla teoria della deriva dei continenti furono decisivi, almeno da quanto ci racconta Follett, per suscitare dubbi su un’interpretazione letterale della Bibbia. La crisi successiva fu scatenata dall’affermazione dottrinale secondo cui non siamo cittadini di questo mondo. Il cristiano tormentato Follett cambiò radicalmente sponda con lo studio della filosofia presso l’University College di Londra: un confronto spietato con le idee di Platone, Cartesio, Marx e Wittgenstein e, nutrito di rimpianti e rancore, si ritrovò ateo arrabbiato. Come ha scritto il futuro autore dei “Pilastri della Terra”: “Ero persuaso che avessero cercato di defraudarmi”, proprio in virtù della capacità di prendere decisioni morali. Infatti, “se demandi la responsabilità morale a un’altra autorità […] puoi anche semplificarti la vita, ma perdi una parte di umanità” (pp.40). Da qui la “cattiva fede. Bad Faith” intesa anche come autoinganno; nozione in parte tratta da Sartre.
Insomma, come ancora ci racconta Follett, gli sono bastati tre anni per diventare ateo e tutto il resto della sua vita per ritrovare una qualche forma di spiritualità. Per disporre di un linguaggio adeguato ha dovuto studiare la storia delle cattedrali e, di conseguenza, dare una forma compiuta, ad esempio, al personaggio del priore Philip dei “Pilastri della Terra”, una figura molto concreta “che si prende cura del benessere spirituale e materiale della sua gente […] senza mai incitare a soffrire pazientemente in vista della felicità nei cieli” (pp. 44). Considerando il fatto di aver incontrato dei cristiani molto simili al priore Philip, ecco che in Follett si sono aperte altre crepe e inquietudini, questa volta in senso contrario rispetto quelle patite nell’adolescenza. La frequentazione delle cerimonie religiose per motivi istituzionali – Follett è marito di una deputata britannica – ha fatto il resto. Adesso lo scrittore si considera un “ateo non praticante”, ci dice che continua a non credere in Dio ma, cogliendo un senso di pace spirituale, gli piace andare in Chiesa. “Quanto tempo ci occorre, spesso, per capire le verità più semplici” (pp.47).
Edizione esaminata e brevi note
Ken Follett, (Cardiff, 1949) scrittore inglese. Laureato in filosofia, poi cronista in un quotidiano, è diventato uno dei più popolari autori di best-seller con La cruna dell’ago (Eye of the needle, 1978). Tra i suoi si ricordano Il codice Rebecca (The key to Rebecca, 1980); L’uomo di Pietroburgo (The man from St. Petersburg, 1982); Sulle ali delle aquile (On wings of eagles, 1983); I pilastri della terra (The pillars of the earth, 1989); Una fortuna pericolosa (A dangerous fortune, 1993); Il terzo gemello (The third twin, 1996); Il martello dell’Eden (The hammer of Eden, 1998, premio Bancarella); Codice a zero (Code to zero, 2000); Il volo del calabrone (Hornet flight, 2002).
Ken Follett, “Bad Faith. Cattiva fede”, EDB (collana “Lampi”), Bologna 2017, pag. 80. Traduzione e prefazione di Alessandro Zaccuri. Con testo inglese.
Luca Menichetti. Lankenauta, settembre 2017
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