I numeri che Domenico Finiguerra ci ha presentato in questo suo breve ed essenziale opuscolo – pamphlet edito dalla EMI non si sono limitati agli 8 mq al secondo del titolo, ovvero il ritmo di cementificazione che ha già trasformato l’Italia dal “bel paese” in qualcosa di molto meno bello. L’ex sindaco di Cassinetta di Lugagnano, dati in mano, ha ricordato l’incremento impressionante del soil sealing (consumo del suolo) dal dopoguerra a oggi: ad esempio, a fronte di una media UE del 4,3%, il nostro territorio presenta una percentuale di suolo impermeabilizzato del 7,5%; per non parlare poi della fascia costiera adriatica che oggi rimane libera dal cemento per soli 466 km a fronte dei 944 km del 1950. Dati allarmanti, anche soltanto nel ripensare a recenti disastri di come l’alluvione di Genova (“secondo i periti consulenti della Procura di Genova, l’alluvione che ha causato sei morti non avrebbe ucciso nessuno se fosse stato completato il deviatore del Fereggiano, il torrente esondato insieme al Bisagno. Gli stessi periti, tra l’altro, hanno affermato che l’impermeabilizzazione di numerose zone della città di Genova è stata una causa determinante del disastro avvenuto”).
Intendiamoci: Fininguerra non ha scritto nulla di inedito. Molti di noi sono da tempo consapevoli di cosa sta succedendo, ma è altrettanto vero che i media più diffusi tendono a diffondere un’idea distorta e superficiale di sviluppo e di crescita; oltretutto omettendo dati e prefigurando meraviglie grazie ad opere che in realtà hanno un senso solo per chi le costruisce e per chi ci specula politicamente. Ma “molti di noi” non vuol significa affatto maggioranza e difatti: “L’informazione mainstream, martellando come un fabbro, è riuscita a far passare nell’opinione pubblica italiana una doppia associazione mentale falsa: 1.i cittadini, i comitati, gli ambientalisti, gli intellettuali, gli artisti e perfino i preti che si oppongono alla devastazione del territorio (sia essa una grande opera o una speculazione edilizia) sono degli estremisti; 2. i politici delle larghe intese, quelli del fare (a modo loro) sono dei moderati responsabili” (pag.10).
La mistificazione, lo sappiamo, in questi anni si è consolidata con strumenti particolarmente subdoli, speculando sulla crisi e sull’ingenuità dei cittadini. Soprattutto dopo l’entrata in vigore della famigerata “legge obiettivo” di Lunardi, quella che ha sdoganato lo scempio finanziario e ambientale delle cosiddette “grandi opere”, grandi soprattutto per intrallazzi e corruzione, e grazie anche a media superficiali o compiacenti, si è consolidato il dogma: costruire, a prescindere da qualsivoglia verifica costi-benefici, quale volano di crescita e di occupazione. Nella migliore delle ipotesi opere alla stregua di un “momendol economico”; e che in molti casi ricordano l’Armando Feroci – Verdone del “Gallo Cedrone” quando, convertito alla politica, propone di asfaltare il Tevere. Le repliche agli Esposito della situazione sono quelle proprie delle tante associazioni ambientaliste che si dedicano alla difesa del suolo e del paesaggio in virtù dell’art. 9 della Costituzione (almeno quella parte che ancora non è stata imbrattata dal berluschino e dal berluscone): non opere mastodontiche, inutili e dannose, ma interventi innovativi, che rispondano finalmente ad una logica di servizio ed economicamente sostenibili. Ovvero: “1. Puntando sul recupero e il restauro dei centri storici che stanno cadendo a pezzi e dei borghi antichi abbandonati […];2. Abbandonando il mito delle Grandi Opere (e delle devastazioni che si portano dietro) e passando a un più pratico Grande Piano di Piccole Opere, interventi di messa in sicurezza del territorio e di cura del dissesto idrogeologico, di abbattimento delle barriere architettoniche, di realizzazione di marciapiedi e piste ciclabili;3.Investendo realmente nell’efficienza energetica degli immobili esistenti che divorano KW e drenano risorse dalle tasche dei cittadini, garantendo certezza e chiarezza dei finanziamenti e degli incentivi, senza gli appesantimenti burocratici che fanno desistere i piccoli proprietari” (pag. 50).
Molto di quello scritto da Finiguerra, anche in merito alla mobilitazione di cittadini e associazioni, lo conoscevamo, ma dobbiamo riconoscere che abbiamo bisogno di libri come “8 mq al secondo” (coerentemente pubblicato in carta paglia), non fosse altro per contrastare la diffusa vulgata cemento uguale progresso. Viene da pensare davvero che il buon senso presente nel libro (un indizio è rappresentato anche dalla citazione del termine “rapalizzazione”, coniato anni fa da Indro Montanelli nella veste di ambientalista ante litteram) non possa dare alibi a chi liquida le battaglie per la difesa del suolo e del paesaggio come espressioni regressive di conservatorismo. Come scrive Finiguerra: “Ma la storia, può capitare che la facciano le minoranze”. Considerando come stanno andando le cose c’è davvero da augurarselo.
Edizione esaminata e brevi note
Domenico Finiguerra, (Milano, 1971) è stato per dieci anni sindaco di Cassinetta di Lugagnano (MI), il primo Comune in Italia ad adottare un piano urbanistico a «crescita zero». Attualmente è consigliere comunale ad Abbiategrasso e promotore della campagna «Stop al consumo di territorio». È autore di Il suolo è dei nostri figli (con Chiara Sasso; Instar Libri) e tiene un blog sul sito del Fatto quotidiano.
Domenico Finiguerra, “8 mq al secondo. Salvare l’Italia dall’asfalto e dal cemento”, EMI (collana Gli infralibri), Bologna 2014, pag. 64.
Luca Menichetti. Lankelot, luglio 2014
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