Devo confessarlo da subito: prima di leggere il libro, quel titolo con “la macchina del fango” mi aveva fatto pensare male. L’autore, Alessandro Frigerio, ha scritto per “Il Giornale” marchiato Berlusconi e, in questi ultimi anni, proprio i quotidiani dell’ex premier si sono distinti per infangare con ogni mezzo i propri avversari politici. Insomma, un titolo che poteva far pensare, con qualche malizia, ad un’operazione della serie “tutti colpevoli tutti innocenti”. Ma al di là di quelle che possano essere le posizioni politiche di Frigerio, che pure nel 2005 aveva pubblicato con Paolo Avanti “A cercar la bella destra. I ragazzi di Montanelli” dove si prendeva atto di quanto la destra berlusconiana si fosse dimostrata illiberale e populista, “Budapest 1956” è un bel libro, scritto bene (cosa peraltro non scontata quando si tratta di saggistica e storia contemporanea) e che mette nero su bianco aspetti a dir poco imbarazzanti per quello che fu il P.C.I. di Togliatti. Malizie o non malizie i fatti sono quelli e niente può cambiarli. Non vi ricorderò adesso gli avvenimenti che portarono alla rivoluzione ungherese che si consumò tra il 23 ottobre e il 4 novembre 1956. Molto è noto: le false speranze sorte con la destalinizzazione, le manifestazioni studentesche a Budapest, l’idea di una via nazionale e democratica al socialismo, i deboli governi guidati da Imre Nagy, l’ intervento dell’Armata Rossa, la repressione sovietica, le esecuzioni.
Meno nota, almeno alla memoria dei lettori contemporanei, la ferma posizione del P.C.I. togliattiano e di tutta la sua corte di intellettuali riguardo la vicenda ungherese: un atteggiamento di benevola accettazione della repressione messa in atto dai sovietici. Ma non solo: a conferma di quella che è stata giustamente definita “la doppia morale” del partito, mediante un uso spregiudicato dei media, fu avviata una capillare opera di disinformazione, “tacendo alcuni fatti, falsificandone o distorcendone altri”. Frigerio, col suo libro, dà conto proprio di questo, attingendo alle pagine dell’Unità, di Rinascita, di Vie Nuove, di Ragionamenti, di Realtà sovietica ed anche di Mondo Operaio (rivista vicina al PSI). A dare man forte alla repressione sovietica – ricordiamolo – ci fu anche una minoranza di socialisti, quelli più condizionati dall’egemonia comunista, e che per questo furono poi denominati “carristi” (in riferimento ai carri armati di Mosca). Proprio a riguardo colpiscono le parole deliranti di Sandro Pertini, riportate fedelmente da Frigerio, sulla necessità di non abbandonare l’Ungheria alla rivolta reazionaria ed altre sciocchezze in serie.
Uno di quegli episodi che confermano il giudizio di Montanelli sull’ex presidente della Repubblica: persona onesta, generosa, ma al quale faceva difetto l’intelligenza politica e, nelle sue sparate, spesso poco lucido. Come appunto in questa tragica occasione. La gran parte delle pagine del libro però sono dedicate ai contorcimenti dialettici che, in quei mesi di repressione, furono messi in atto dai giornalisti e dagli intellettuali di partito per delegittimare la rivoluzione. Un’antologia tratta dai giornali dell’epoca che fotografa in maniera impietosa le diffamazioni messe in atto dal P.C.I., le falsità sui fantomatici reazionari alla guida della rivolta, le violente critiche nei confronti degli operai ungheresi accusati di scarsa coscienza di classe, degli intellettuali che non accettavano il ruolo totalitario del partito comunista. Su tutto domina il cinismo di Togliatti; e a seguire gli altri alti papaveri del partito tipo Pajetta, tutti d’accordo nel mistificare e nell’appecoronarsi di fronte al partito padrone dell’Urss. Una fedeltà al modello sovietico che nel 1956, leggendo le veline approntate per i giornali, appare totale, senza cedimenti: tanto che il pluripartitismo che si delineava in Ungheria veniva raccontato come una forma di fascismo. Tra i tanti deliri ideologici possiamo leggere un brano da un documento di Botteghe Oscure volto a difendere, senza se e senza ma, l’intervento sovietico contro l’Ungheria di Imre Nagy: “Paese [n.d.r. l’Urss] che ha assolto e assolve una funzione insostituibile nella lotta dei popoli contro l’imperialismo, per la difesa della pace, per la libertà della schiavitù di classe” (pag. 116). Riguardo poi la repressione, le condanne a morte, anche di operai che al tempo dei fatti non avevano più di quindici anni, la stampa legata al nostro P.C.I. si distinse per la mancanza di qualsiasi mobilitazione. Ovvero il silenzio.
Chiude il volume un capitolo dedicato alle timide prese di posizione della stampa comunista italiana nei giorni della repressione della Primavera di Praga (1968). Anche in questo caso roba da far cadere le braccia; per usare un eufemismo. Gran parte di coloro che nel 1956 si distinsero per cinismo e fedeltà al regime sovietico hanno fatto ammenda, almeno a parole. Hanno raccontato di loro dubbi inespressi e di una loro progressiva consapevolezza su quanto male fu fatto agli ungheresi nel lontano ’56. Peccato che, salvo una minoranza di coraggiosi intellettuali, questa consapevolezza sia stata particolarmente tardiva, magari resa esplicita soltanto all’indomani del crollo del muro di Berlino. Purtroppo questa è l’Italia: un Paese di ex nel quale siamo costretti a prendere atto di resipiscenze di massa, spesso con il vizio di edulcorare e giustificare antichi errori, “contestualizzando”. Una cosa è certa: dalla pagine di Frigerio emerge un quadro a dir poco squallido, fatto di politici cinici, pronti a sacrificare senza remore la realtà dei fatti sull’altare dell’ideologia. Molti di questi personaggi saranno sicuramente cambiati, volenti o nolenti; ma l’impressione che si ricava da queste pagine è veramente sconfortante. Soprattutto pensando che ancora oggi esiste una minoranza di negazionisti (non saprei come chiamarli altrimenti) che fanno proprie le antiche mistificazioni togliattiane. “Budapest 1956. La macchina del fango”, a fronte di questo cinismo ideologico applicato alla Storia, rappresenta un necessario contravveleno.
Edizione esaminata e brevi note
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Alessandro Frigerio è consulente editoriale e giornalista freelance. Ha collaborato con «L’uomo qualunque», «Il Domenicale» e con le pagine culturali de «Il Giornale»; attualmente dirige la webzine «Storia in Network». È autore (con Paolo Avanti) di A cercar la bella destra. I ragazzi di Montanelli (Mursia 2005) e di Reduci alla sbarra. 1949: il processo D’Onofrio e il ruolo del PCI nei lager sovietici (Mursia 2006).
Alessandro Frigerio, Budapest 1956. La macchina del fango. La stampa del PCI e la rivoluzione ungherese: un caso esemplare di disinformazione, Lindau, Torino 2012, pag. 256, euro 21,00
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2012
Follow Us