La Svizzera è, nell’immaginario di chiunque, il Paese perfetto. La Svizzera non è l’Italia! In Svizzera è tutto come dovrebbe essere. Eppure Max Lobe, un africano che viene dal Camerun e che in Svizzera ha studiato e vive, ci fa notare che, in fondo in fondo, la Svizzera soffre degli stessi mali di cui soffre un po’ tutto l’occidente. Anche in Svizzera si può essere disoccupati. Anche in Svizzera si può essere vittima di razzismo e discriminazione. Anche in Svizzera si corre il rischio che un partito di estrema destra possa arrivare al potere. E, soprattutto, anche in Svizzera i mezzi pubblici non sono mai in orario: proprio come accade in Italia!
Ne “La Trinità bantu” c’è molta della vita vera di Max Lobe che, come ogni autore che si rispetti, inietta nei suoi libri accadimenti che ha vissuto in prima persona. Mwána Matatizo, immigrato africano in Svizzera, oltre che protagonista e voce narrante del romanzo, si ritrova in situazioni che Max Lobe ha conosciuto realmente, provandole sulla propria pelle. La storia inizia con Mwána che perde il lavoro. Perdere il lavoro in Svizzera non è una sorta di routine come in Italia. Perdere il lavoro in Svizzera, dove il tasso di disoccupazione è ridicolo, diviene un dramma soprattutto perché è complicatissimo riuscire a trovarne un altro. Mwána aveva venduto cosmetici sbiancanti per donne nere ma, dopo alcuni anni di onorato servizio, il titolare della ditta, l’ormai elvetico dichiarato signor Nkamba, decide di licenziarlo. “L’ho supplicato. Non potevo fare altrimenti: quel lavoro mi serviva. Mi consentiva di pagare gli studi, di vivere e anche di mandare un po’ di gombo a Monga Míngá, mia madre, rimasta nel Bantuland. Il signor Nkamba non pagava nessun onere e io non pagavo nessun contributo. Era questo il nostro accordo. Così, tutto il gombo fresco che guadagnavo lì mi scivolava direttamente in tasca, in pancia, e da qualche tempo anche in quella di Ruedi“.
Mwána Matatizo si mette alla ricerca di un lavoro ma ogni sforzo sembra vano. Eppure è ben formato: ha una laurea, un master e tanta buona volontà. Si accontenterebbe di qualsiasi occupazione ma riceve solo rifiuti. Ha bisogno di uno stipendio per poter pagare l’affitto, le bollette e per poter mangiare. Ruedi, il suo compagno dai capelli rossi e dal cuore tenero, rifiuta di chiedere denaro alla propria famiglia e non sembra intenzionato a fare molto di più che continuare a studiare. Mwána riesce a trovare un posto come stagista, per tre mesi, presso una piccola ONG “di lotta contro le discriminazioni a causa dell’origine e promozione della diversità” animata dalla signora Bauer, una donna militante e piena di energie che ha appena intrapreso un’epica battaglia contro un manifesto razzista. “Raffigura tre pecore bianche su un placido fraticello rosso con una croce bianca. Una delle pecore bianche, sorridendo, caccia da questo spazio, a calcioni, una pecora nera. Sul manifesto troneggia la scritta CREARE SICUREZZA”.
A peggiorare la già pesante situazione di Mwána c’è la malattia di Monga Míngá. La donna scopre di avere un cancro. Difficile da credere visto che, come spiega lei stessa, il cancro è un male per i ricchi non per i poveri e africani. Ma Monga Míngá è malata davvero. Mwána e sua sorella Kosambela, infermiera presso un istituto di suore di Lugano, decidono di farla arrivare in Svizzera per farla curare da un medico bianco e preparato. Non è semplice accettare la malattia della propria madre e Mwána esprime tutto il suo dolore. A chi affidarsi se non a Dio? Nel Bantuland il mondo degli dèi è più articolato ma si pregano allo stesso modo. Nzambé è nell’alto dei cieli, Élôlombi protegge tutte le anime mentre gli antenati sono rappresentati dai Bankóko. Una Trinità bantu a cui Mwána affida tutta la sua disperazione e i propri desideri.
Il destino sembra aggredire ciecamente Mwána che reagisce comunque e non si fa abbattere. Una storia tragi-ironica più che tragicomica perché la chiave di tutta la narrazione è fissata proprio nel potere dell’ironia, nel talento di Mwána di riuscire a trovare comunque un motivo per sorridere e provarci nonostante la sfortuna e le varie avversità. Il principio sta tutto nell’interpretare la realtà attraverso paradossi e piccole, vivaci alterazioni che consentono di percepire “La Trinità bantu” come un romanzo sottile ed estremamente leggibile anche se affronta argomenti tutt’altro che lievi come la disoccupazione, la malattia e la xenofobia. Mwána è un antieroe brillante ed amabile la cui esistenza viene raccontata da Lobe attraverso una scrittura coinvolgente che si arricchisce spesso di proverbi africani e parole in lingua bantu con cui si fa amicizia in fretta.
Edizione esaminata e brevi note
Max Lobe è nato a Douala (Camerun) nel 1986. Scrive in francese e vive in Svizzera. A diciotto anni Lobe lascia la sua terra natale e si trasferisce a Lugano. Qui studia Scienze della comunicazione e successivamente consegue un Master in Politica e amministrazione pubblica presso l’Institut de hautes études en administration publique di Losanna. Più tardi si trasferisce a Ginevra, dove vive e lavora attualmente. Nel 2013, con “39 rue de Berne” (Zoe 2013), vince il Prix du roman des Romands. In Italia 66thand2nd ha pubblicato “La trinità bantu” (2017). Max Lobe nei suoi libri tratta di immigrazione e rapporti interculturali.
Max Lobe, “La Trinità bantu”, 66thand2nd, Roma, 2017. Traduzione dal francese di Sándor Marazza e Walter Rosselli. Titolo originale “La Trinité bantoue”, Editione Zoé, 2014.
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