Riformismo, crescita, liberalismo, liberismo, giustizialismo, garantismo, da tempo sono diventati termini buoni per tutti gli usi. Il motivo? Probabilmente per colpa di una stampa che ha abdicato alla sua funzione ed anche a causa di eletti ed elettori che si meritano a vicenda. Tra le parole abusate, ormai lo sappiamo bene, c’è anche “populismo”. Proprio per questa ragione “La fattoria degli italiani. I rischi della seduzione populista” del politologo Piero Ignazi, ci è sembrato colmare una lacuna. Intendiamoci: è un piccolo libro, sostanzialmente una raccolta di articoli pubblicati tra il 2008 e il 2009 sull’Espresso, ma, anche grazie alle argomentazioni presenti nell’introduzione, rappresenta uno dei pochi tentativi, con un linguaggio ibrido tra l’accademico e il divulgativo, di circoscrivere la definizione di “populismo” ed ancorarla alla realtà italiana. Un libro pubblicato nel 2010 e che, letto nel 2014, si presta a non poche considerazioni. Innanzitutto il “populismo” raccontato negli articoli di Ignazi è quello di una destra berlusconiana alla prese con un elettorato in parte già esasperato dalla malapolitica ed in parte sempre più condizionato da media servili e proni al potere. Pochi anni dopo però ecco che si affaccia alla ribalta politica Grillo (qui già citato come potenziale terzo incomodo) e un Renzi che, complice il “patto del Nazareno”, dimostra di essere ottimo allievo del professor Silvio Berlusconi (docente in marketing e televendite), ora costituente pregiudicato e badante di vecchietti. Se è vero che tante rivoluzioni annunciate e l’ascesa di personaggi anagraficamente più giovani (ma spesso svezzati da vecchi arnesi impresentabili) non rappresentano altro che un più evoluto gattopardismo, questa volta dal lato “populismo” bisogna ammettere che le novità ci sono eccome. Se fino a pochissimi anni fa era facile individuale in Papi-Silvio e nei suoi alleati minori (o minorati) i prototipi del populismo de noaltri, un’edizione aggiornata della “Fattoria degli italiani” dovrebbe considerare il già citato Grillo (“Non dobbiamo vergognarci di essere populisti”) e il televenditore di Rignano sull’Arno che, con l’aiuto di ex nemici convertiti alla sua causa e soprattutto alla poltrona, è riuscito ad aggiudicarsi il Pd, nato da un maldestro esperimento di fusione a freddo, e a trasformarlo in un traballante partito personale. Insomma possiamo dire che in Italia esistono tre diverse versioni di populismo, con molte varianti e – ognuno avrà la sua legittima opinione – una diversa pericolosità. Certo è che molto di quello che Ignazi ha scritto tra il 2008 e il 2009 ancora oggi può essere letto come attuale, salvo appunto considerare che “la crassa ignoranza per le regole della democrazia parlamentare” pare non avere più confini. Coloro che si dichiarano esplicitamente antidemocratici ormai ci appaiono dotati di una loro schiettezza: quanto meno non peccano di ipocrisia.
Mentre il populista, secondo Ignazi, è proprio di un’altra razza. Leggiamo: “Il populismo non è la negazione della democrazia in sé; ne è una distorsione, al limite una perversione, con effetti a volte veniali, a volte mortali. La democrazia in versione populista rivendica tutto il potere al popolo affinché quell’entità astratta che è il potere agisca solo e soltanto per il bene del popolo […] Il populismo contemporaneo ha in grande dispetto il big governement, gli apparati statali, la grande impresa, le organizzazioni possenti e ramificate. Il populismo contemporaneo vuole ridurre al minimo lo Stato per controllare dappresso – meglio: dare l’illusione di controllare l’attività politica – l’attività politica” (pag. 16). E qui, col senno di poi, qualche differenza tra populismi la possiamo cogliere: “ [ndr: il populismo] Si ammanta di una domanda di vera democrazia, al posto di quella attuale, consunta dalla grettezza di una classe politica inetta. Chiede strumenti di partecipazione diretta per far sentire la voce del popolo […] Il che significa spazzar via tutti gli istituti di rappresentanza, tutte le istituzioni che rendono possibile il bilanciamento tra poteri e impediscono il prevalere dell’uno sull’altro” (pag. 17). Questo passaggio è in qualche modo emblematico di come oggi, a distanza di pochi anni dalla pubblicazione di queste pagine, si stiano fronteggiando due linee populistiche in parte contrapposte, in parte simili: da un lato la pretesa che ci sia una rete salvifica e tale da rendere superflui partiti e istituzioni, senza dimenticare un “uno vale uno” che però vale più degli altri; dall’altro lato maldestre riforme istituzionali contrattate con un pregiudicato e che, col pretesto di risparmi (ottenibili ugualmente tagliando un paio di partecipate), oltre a contenziosi a raffica (costosi), produrranno meno rappresentanza democratica, ancora più nomine in mano ai partiti, un sempre maggiore squilibrio di poteri. Ovvero il contrario della rottamazione: una restaurazione in piena regola spacciata furbescamente come rinnovamento della classe politica. Ed anche qui le parole di Ignazi tornano tutte, anche se in quel 2008-2009 riferite per lo più alla sola persona di Silvio Berlusconi in un’Italia ancora ignara del bunga bunga e delle cene eleganti: “una deformazione grottesca del sistema democratico” e “esplosivo connubio di inadeguata formazione politica e totale assenza del limite”.
Ignazi in altri passaggi degli articoli ha dismesso i panni del docente e i toni sono diventati meno accademici, più disinvolti nel rappresentare il viscidume della politica italiana e di tutto quello che gli gira intorno:“Questi atteggiamenti rimandano a carenze strutturali di una classe imprenditoriale e di un ceto intellettuale, per cultura e tradizione, troppo avvinti e disponibili al potere politico […] Ormai il nostro paese vive in una bolla patafisica, dove il reale è immaginario e viceversa: la crisi non c’è, Obama è solo abbronzato, il mercato non è mai stato adorato come il vitello d’oro, i media sono in mano alla sinistra” (pag. 77-101). La domanda di Ignazi, in presenza di un populismo moltiplicato per tre, rimane quindi più che mai attuale: “i cittadini sono ancora in grado di ribellarsi a chi li vuole popolo bue, acriticamente intruppati dietro al leader-padrone?”.
Edizione esaminata e brevi note
Piero Ignazi, è professore ordinario di Politica comparata nell’Università di Bologna. È editorialista di «Repubblica» e dell’«Espresso». Ha pubblicato fra l’altro «L’estrema destra in Europa» (2000), «Il Potere dei partiti» (2002), «Extreme Right Parties in Western Europe» (2006) e «Partiti politici in Italia» (2008).
Piero Ignazi, “La fattoria degli italiani. I rischi della seduzione populista”, Rizzoli, Milano 2010
Luca Menichetti. Lankelot, maggio 2014
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