I racconti esistono più o meno da quando esiste memoria umana: ci sono storie narrate da immagini millenarie graffiate sulle rupi e storie che hanno avuto la fortuna di diventare miti o religioni. Raccontare storie è necessario per chi racconta, per chi viene raccontato e per chi si fa raccontare. Le narrazioni ci fanno immaginare e vivere, sognare e sperare, ricordare, pensare e cambiare. Siamo creature parlanti prima, scriventi poi ed è per questo che molte delle storie più belle arrivano dalla tradizione orale, quella che ha attraversato il tempo grazie a parole affidate alle orecchie e alla memoria di chi ha ascoltato e tramandato. Ognuno di noi ha ascoltato racconti, soprattutto chi ha avuto la fortuna di avere nonni, genitori o zii capaci di ricordare o di inventare lì dove non c’era molto da dire. La verità e la fiaba, in un modo o nell’altro, arrivano sempre a mischiarsi e confondersi. Ed è una grande fortuna.
“Il venditore di metafore” è una storia fatta di tante storie. Persone, paesi, animali, montagne e strade: quanto basta per allestire un universo di parole e molto altro. Delle origini di Matoforu, il cantastorie di Thilipirches, poco si sapeva. L’unica ad aver “trovato il filo che legava le bugie al bozzolo della verità” era stata, forse, mannai Nicolosa Longhitta che aveva lasciato intendere che Agapitu, detto Matoforu, fosse figlio battezzato di nascosto di don Pippiajolu Vasoleddu e Nannedda Peditorta, rispettivamente un prete, noto Canca ‘e melone, e una domestica di Dio. Agapitu nacque con la testa allungata, il naso a zufolo e tre grossi nei “che sembravano disegnati a sfregio dal destino“. La saggia mannai Longhitta sapeva che, prima o poi, a Thilipirches un “contacontos, l’uomo che avrebbe campato vendendo storie di paese in paese, di casa in casa” sarebbe arrivato: lo stavano aspettando. Mannai Longhitta ha un’ultima preghiera: “Mitre’, rimetti le ali al paese di Thilipirches, che qui la gente ha ormai perso la voglia di raccontare e di ascoltare. Qui nessuno sogna più, nessuno legge niente, tutti, dopo la maledizione del Demonio della semenza guasta, aspettano l’estinzione in silenzio. Ricordati che un paese che non legge storie è un paese che non ride, un paese cieco, morto!“. E Mitruddu un libro sulla vita di Matoforu l’ha scritto davvero ed è questo.
L’anno della Grande Carestia è il 1891 ed è proprio l’anno in cui Matoforu decise di lasciarsi dietro un paese in rovina e di diventare contacontos. Il seme della Carestia Manna si era presentato con una locusta gravida. Una sola bestiola capace di tramutarsi in un castigo di Dio. Agapitu, un venerdì diciassette, svegliato di malumore e stanco di tanto flagello, arrivato nei pressi della piazza Galusé, sentì una voce che sembrava cadere dal cielo: “Parti, Matoforu, parti! Lascia tutto e vattene! Vai in giro per la tua isola a raccontare storie, che tanto i paesi e la gente delle tue parti li conosci come le vesciche dei tuoi piedi!“. Prese il carro, i suoi buoi smagriti, i pochi stracci che aveva in casa, qualche oggetto ancora buono, si fece il segno della croce con la sinistra e partì. Iniziò così il viaggio di Matoforu, il venditore di metafore.
Di villaggio in villaggio, di piazza in piazza Agapitu, detto Matoforu, cominciò a raccontare storie. Le persone si facevano intorno a questo strano personaggio che, arrivato in paese, cominciava a chiamare: “Contos, contos pro mannos e minores! Avvicinatevi gente! Mille storie in una sola, tutto il mondo in punta di parola!“. La prima diffidenza si tramutò presto in meraviglia, il timore in sorriso, la cautela in pane, frutti, vino e preghiere di saluto. Matoforu sapeva incantare con storie antiche di persone e luoghi. Come quella di Libio Bigacciu, il becchino, che si ritrova al suo ultimo giorno di lavoro a dover disseppellire le ossa della coppia che, per uno strano gioco del fato, aveva infossato nella terra proprio all’inizio della sua carriera. Libio scava e suda e scava e impreca ma pare proprio che in quella tomba non ci sia niente e nessuno. O come quella di Ascaniu Imbonora, il contadino gobbo che si fece pastore col solo intento di non morire vergine. Oppure quella del nano di Iscarpatosta, Lutumbu Malledda, che lavorava nel circo equestre Meraviglia e che voleva essere bello come un angelo e invece si ritrovava a vivere in un corpo da rospo. Ogni racconto è una sorpresa, ogni racconto è un insegnamento.
La vita di Matoforu è un racconto che somma tanti racconti e concludere la lettura de “Il venditore di metafore” lascia un po’ d’amaro dentro come capita sempre quando c’è una pagina bianca a sigillare una buonissima lettura. Ci si sente un po’ soli ma, al tempo stesso, un po’ più pieni di stupore e di magia. Perché le storie che Salvatore Niffoi ha racchiuso in questo splendido libro hanno lo stesso sapore di incanto, avventura e sorpresa delle storie che si ascoltano o si leggono da bambini oltre a possedere il dono di alleggerire il cuore ed i pensieri. Miriadi di nomi difficili da pronunciare, certo, tante parole in sardo, certo, ma comunque un talento narrativo che capita di scovare difficilmente. La Sardegna è onnipresente e pulsante come una dea, le descrizioni sono colme di suggestive metafore e mirabolanti parallelismi, le fiabe di Agapitu racchiudono il gioco e la malizia, il disincanto e la preghiera, la magia e l’amore, la povertà e la fortuna. Buona letteratura, questa, non ci sono dubbi.
Edizione esaminata e brevi note
Salvatore Niffoi è nato nel 1950 ad Orani, in Barbagia, provincia di Nuoro. Ha studiato Lettere a Roma e si è laureato nel 1976 con una tesi sulla poesia in sardo. Il suo primo romanzo si intitola “Collodoro” ed è stato pubblicato nel 1997 da Solinas. Nel 1999 pubblica per Il Maestrale “Il viaggio degli inganni” a cui fanno seguito “Il postino di Piracherfa” (2000), “Cristolu” (2001) e “La sesta ora” (2003). Invece i romanzi “La leggenda di Redenta Tiria”, “La vedova scalza” (Premio campiello nel 2006) e “Ritorno a Baraule” sono pubblicato da Adelphi. “Pantumas” (2012) e “La quinta stagione è l’inferno” (2014) sono editi da Feltrinelli. “Il venditore di metafore” esce per Giunti nel 2017.
Salvatore Niffoi, “Il venditore di metafore“, Giunti, Firenze, 2017.
Pagine Internet su Salvatore Niffoi: Wikipedia / Làcanas / Premio Campiello
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