Non sappiamo come siano andate le presentazioni di “Don Puglisi. Il Vangelo contro la mafia” e non sappiamo nemmeno come sia stato accolto il libro, se sia piaciuto o meno, ma possiamo scommettere che all’autore, Mario Lancisi, almeno siano state risparmiate le polemiche che vengono fuori ogni qual volta c’è di mezzo una beatificazione o una canonizzazione. Sappiamo bene che dalle nostre parti le diatribe tra clericali ed anticlericali viaggiano su livelli molto modesti, banali a voler essere cortesi. Nel caso di Don Puglisi, martire di mafia, c’è da augurarsi davvero che si sia passati oltre. D’altra parte chiunque abbia letto il libro di Lancisi e abbia quindi meglio compreso la vita e l’opera del sacerdote siciliano, qualunque sia il suo credo o non credo, penso proprio avrà poco da polemizzare su una beatificazione che ha avuto un motivo preciso: Pino Puglisi, a causa del suo impegno pastorale, fu ucciso nel quartiere palermitano di Brancaccio il 15 settembre 1993. Il provvedimento canonico è recente e la sua conclusione è stata rapida, almeno in relazione ai tempi della Chiesa, giustamente definibili come “biblici”: per essere precisi il 28 giugno del 2012 papa Benedetto XVI, durante un’udienza con il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, ha concesso la promulgazione del decreto di beatificazione per il martirio in odium fide. Beatificazione nata da un vero e proprio martirio che, come scrive più volte Mario Lancisi, ha creato il presupposto per un cambio di rotta da parte di una Chiesa che – aggiungo io – per anni ha annoverato tra le sue fila sacerdoti quanto meno ambigui se non collusi con le cosche. Probabile che ce ne siano tutt’ora di preti al servizio dei boss, ma quello che mancava erano semmai delle prese di posizione ufficiali, non generiche, da parte delle autorità ecclesiastiche. Una Chiesa che, forse con una buona dose di ottimismo, viene descritta finalmente decisa a contrastare lo strapotere mafioso attraverso l’uso delle categorie e del linguaggio proprio, «con esplicita intenzionalità di fede, con parole essenziali come peccato, giudizio di Dio, conversione, martirio» (pag. 299). Perché il sacrificio di Don Pino Puglisi, sempre per usare le parole di Lancisi, ha innanzitutto svelato il grande inganno della mafia come sedicente portatrice e tutrice di religiosità.
Fatta questa premessa “Il Vangelo contro la mafia” non rappresenta una requisitoria contro la Chiesa del passato e neppure una santificazione di quella attuale. E’ un libro che innanzitutto racconta la vita del sacerdote siciliano, la sua infanzia in una famiglia molto religiosa, il suo ingresso in seminario a sedici anni, l’ordinazione a ventitre anni; ma soprattutto la fedeltà del giovane Pino allo spirito di una Chiesa che in quegli anni del Concilio si stava profondamente rinnovando. Da qui l’attivismo tra i giovani, le discussioni con i contestatori, sempre con la consapevolezza che fosse possibile dialogare con tutti, al di là del proprio credo ideologico e religioso. Una figura di sacerdote che emerge di pagina in pagina soprattutto grazie alle numerose testimonianze raccolte dall’autore: Puglisi, fin dall’esperienza pastorale nella difficile realtà di Godrano, affrontò senza alcun timore la cultura mafiosa nel segno del perdono, della riconciliazione e del riconoscimento dell’altro, rendendosi conto di come certi devastanti modelli culturali potessero trovare una sponda in una religiosità mal compresa e facilmente strumentalizzabile, spesso insterilita nel chiuso della sacrestia o delle pratiche devozionali bigotte. Una figura di sacerdote che, nelle parole di chi lo ha conosciuto, emerge innanzitutto come educatore piuttosto che come prete. Ai giovani insegnava «che la chiesa non può trasformarsi nella sede di un partito o di un circolo ideologico. La sua missione è l’evangelizzazione […] ma anche la promozione umana» (pag. 130). In questo senso non c’è da stupirsi del fatto che non si preoccupasse più di tanto di portare a messa i bambini dei quartieri degradati: «Sapeva bene che non sarebbero venuti. A lui premeva far capire a questi ragazzi che esiste una cultura dell’onestà, della legalità. Puntava prima di tutto a farli diventare ragazzi consapevoli» (pag. 146).
Padre Puglisi, che pure non amava affatto sentirsi definito prete antimafia («Non sono un prete antimafia perché io non sono un prete contro ma per l’uomo» – pag. 287), aveva compreso come le cosche palermitane non fossero preoccupate per le manifestazioni di piazza, ma semmai dal fatto che i giovani di Brancaccio potessero ricevere una qualche base culturale. Quel tanto da contrastare l’ignoranza nella quale prospera il consenso alla mafia. E coerentemente pare che l’approccio di Don Puglisi nei confronti dei parrocchiani fosse privo di qualsivoglia rigidità se è vero che, a fronte delle richieste delle suore preoccupate per dei bambini ancora non battezzati, così rispondeva: «Suor Carolina, lasci perdere questo; tiriamo fuori da lui l’uomo, lo spirituale verrà dopo» (pag. 153). Leggiamo anche la testimonianza di Luigi Patronaggio, uno dei due pm che si sono occupati dell’inchiesta sul suo omicidio, secondo il quale don Pino Puglisi, oltre che dare fastidio ai boss del quartiere, i fratelli Graviano, e ai soggetti a loro legati per ragioni politiche e affaristiche, rappresentava per Cosa Nostra, e per la strategia stragista allora in atto, un obiettivo sensibile volto a portare una pesante intimidazione alla Chiesa e al suo crescente impegno antimafia. Impegno che, nonostante le sempre presenti timidezze e le complicità di alcuni o di molti prelati, si stava facendo sentire sempre di più. Il libro di Mario Lancisi, biografia e raccolta di testimonianze, va quindi oltre la vita di Don Puglisi, partendo dalla sua nascita per giungere alla sua beatificazione; e rappresenta anche la cronaca puntuale delle ultime ore di vita del sacerdote, fino alle parole, pronunciate con un sorriso: «Me l’aspettavo», proprio quando Salvatore Grigoli, il killer assoldato dai Graviano, stava per sparargli una pallottola alla nuca.
Edizione esaminata e brevi note
Mario Lancisi, giornalista, inviato del «Tirreno», è autore di saggi e libri sulla figura di don Lorenzo Milani. Per Piemme ha pubblicato Il segreto di don Milani (2002), Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione (2003), No alla guerra! «L’obbedienza non è più una virtù» di don Lorenzo Milani e il movimento per la pace e la non violenza (2005), Il miscredente. Adriano Sofri e la fede di un ateo (2006) e Don Milani. La vita (2007).
Mario Lancisi, “Don Puglisi. Il Vangelo contro la mafia”, Piemme, Milano 2013, pag. 322
Luca Menichetti. Lankelot, agosto 2013
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