Mercoledì 13 settembre 2017
Ci svegliamo di buon’ora, alle sei e quindici. Moussa, il gestore del campement, ieri ci aveva proposto una gita sul Plateau, l’altopiano oltre la cascata, per visitare delle grotte e a noi era sembrata una buona idea.
Facciamo colazione con quel che resta del riso con pesce secco e avocado della sera prima, le quantità erano veramente esagerate per due persone. Ad aspettarci fuori c’è Modu, la guida: un giovane alto e ben piazzato, ha la faccia tonda ed un’espressione gentile. Prendiamo un sentiero che presto comincia a salire e in pochi minuti siamo già accaldati e sudati. Nell’aria c’è ancora una leggera nebbiolina mattutina, ma si capisce che sarà una giornata rovente.
Il sentiero prosegue con degli scalini scavati nella roccia, a volte la vegetazione diventa meno fitta e ci permette di osservare la pianura sottostante: una grande distesa verde con altri rilievi in lontananza. Quando ricomincio a camminare evito per poco un millepiedi di almeno venti centimetri.
Jamie ha ancora le vesciche sotto i piedi che le fanno male e deve camminare molto lentamente, Modu è preoccupato e mi chiede se va tutto bene. Mi racconta di lavorare nel turismo da qualche anno: da queste parti arrivano spesso gruppi di francesi o di spagnoli, soprattutto nel mese di maggio, quando ci sono i riti di passaggio dei bedik e dei bassari. Secondo lui la regione è piena di potenziale e avrebbe solo bisogno di essere meglio collegata al resto del paese: un aeroporto, un rifacimento della strada che passa attraverso il parco di Niokolo Koba renderebbero la zona molto più accessibile.
La salita termina e sbuchiamo su un grande altopiano verdeggiante. Radure di erba verde brillante si alternano a folte macchie di giungla. Lontano, verso sud, altri rilievi più alti, Modu ci dice che quello è già territorio della Guinea.
In pochi minuti arriviamo in una grande radura che termina bruscamente in un piccolo precipizio: è il soffitto, parzialmente crollato, di una grotta. Improvvisamente sentiamo il verso di un animale: il tono è basso e vibrato, come se prodotto dal fondo della gola, si tratta di scimpanzè, in particolare di due maschi che probabilmente si stanno sfidando. Modu ci sconsiglia di avvicinarci, questi animali possono essere piuttosto pericolosi se si sentono minacciati, la loro forza non è da sottovalutare. Ci spiega che qui nella zona è stato varato un programma proprio per la protezione degli scimpanzè e che molti ricercatori vengono qui per osservarli.
Continuiamo a camminare ed incrociamo un piccolo villaggio: una pattuglia di capre bianche esce dalla foresta in fila indiana ed un paio di belle donne tornano dal pozzo con in testa due bacinelle d’acqua.
Mdou ci porta oltre il villaggio, prendiamo un sentiero secondario ed arriviamo in cima alla piccola gola sul cui fondo si trova la cascata di Dindefelo. Trovandoci su un versante abbiamo una visuale eccellente sull’altro, davanti a noi: un muro di roccia rossastra circondato da vegetazione. Modu ci fa sedere silenziosamente e ci indica un punto sul versante opposto, un branco di babbuini: hanno il pelo beige e il muso nero, sembrano averci visto ma sanno che siamo lontani e così continuano a muoversi elegantemente tra un ramo e l’altro senza badare a noi. I grugniti degli scimpanzè arrivano fino a qui e sono quelli che sembrano preoccuparli di più.
Torniamo indietro lungo il sentiero ma facciamo una breve deviazione per vedere il punto dove comincia la cascata: un piccolo spazio immerso nella vegetazione che assomiglia ad una scenografia dei film “Pirati dei Caraibi”, in particolare quello dove i protagonisti vanno alla ricerca della Fonte Della Giovinezza.
Qui finisce la gita, Modu ci riporta indietro e nel frattempo ci racconta qualche episodio di vita di villaggio, come quando un pastore, allarmato dall’agitazione del suo gregge, uscì di casa per andare a controllare e scoprì che un enorme mamba si era intrufolato nel recinto alla ricerca di una cena. Il pastore allora chiamò a raccolta gli uomini del villaggio e insieme uccisero l’animale a colpi di coup-coup, il tipico coltellaccio dei poular.
Scendendo verso Dindefelo incrociamo molti abitanti dell’altopiano che invece salgono, donne con provviste, uomini con attrezzi agricoli e perfino un ragazzo con in spalla una bicicletta. Una volta al campement salutiamo e ringraziamo Modu e decidiamo di usare il tempo che ci resta per tornare a fare il bagno alla cascata. Ieri avevamo chiesto a Moussa se ci poteva procurare un taxi per Kedougou nel pomeriggio. Il trasporto pubblico normale sarebbe stato molto più economico, ma le auto partono solo la mattina presto.
Ripercorriamo il sentiero che porta alla cascata e c’imbattiamo in un altro branco di babbuini che sta attraversando il corso d’acqua. Ci hanno visto e quello che sembra il capobranco ci guarda sospettoso mentre gli altri attraversano. Visti da così vicino sono molto più grandi di quanto ci si aspetta.
Il resto della mattina trascorre piacevolmente in riva alla cascata, stavolta però evito di farmi umiliare nuovamente a scopa e preferisco restare in acqua. Per pranzo abbiamo dei panini presi alla boutique vicino al campement.
Per le quindici siamo di nuovo a Dindefelo, pronti a partire. Moussa ci scorta all’auto, nella piazza principale: un solido 4×4 con dietro un cassone con altri posti supplementari. Con gentilezza ci chiede se con noi possono venire pure altri abitanti del villaggio che hanno degli affari urgenti da sbrigare a Kedougou.
Normalmente avrei acconsentito e proposto di condividere il costo della corsa con loro, farlo qui però avrebbe voluto dire lasciarli a terra visto che con tutta probabilità nessuno avrebbe potuto permetterselo, non ci resta che acconsentire e offrire il passaggio a tutti, in fin dei conti non ci costa nulla.
Il ritorno è molto più tranquillo dell’andata: le robuste sospensioni dell’auto rendono il percorso meno movimentato e le pozze d’acqua stanno lentamente diminuendo. Ad un certo punto incrociamo un gruppo di bambini indaffarati intorno al ceppo di una palma appena tagliata, hanno in mano dei pezzi di legno bianchi e lucidi. L’autista si ferma, se ne fa dare un grosso pezzo e comincia a spezzettarlo e a distribuirlo ai passeggeri che lo addentano felici. Si tratta della parte interna dell’albero, una sorta di polpa farinosa che sa di legno e terra. Contiene molta acqua ed è molto dissetante.
In un’ora e mezza siamo a Kedougou, per la notte siamo riusciti a prenotare il campement dove volevamo dormire due notti fa ma che era purtroppo al completo. Passiamo il resto del pomeriggio ad oziare, mettiamo a posto gli zaini per il lungo viaggio di ritorno che ci aspetta domani, ci facciamo finalmente una doccia decente e io esco a prendermi qualche pannocchia, dalla quale sono ormai dipendente.
La sera torniamo a mangiare da Abdoulaye, famoso in tutta Kedougou per i suoi spaghetti. Per strada metto per sbaglio il piede in una pozza di fango maleodorante alta venti centimetri.
Terminiamo la serata con un paio di birre prese nell’unico spaccio della città, brindiamo al nostro viaggio ormai quasi giunto alla fine e a noi che abbiamo avuto il coraggio di venire fin qui dove pochi arrivano.
La notte è calda, il ventilatore fa quel che può ma ha visto tempi migliori. Il giorno dopo ci mettiamo in marcia di buon’ora e alle sette e mezza siamo già alla gare routière di Kedougou. Troviamo subito un’auto e per fortuna ci sono ancora posti nella fila centrale. Poco dopo arriva un gruppo di quattro turiste francesi accompagnate da una guida senegalese, con loro l’auto è piena e possiamo partire. Per fortuna faccio in tempo a scattare una foto ad un bellissimo furgoncino del pane con la scritta “Super Pain” sulla fiancata.
Non so se sia la procedura normale per le auto che partono da Kedougou o se è a causa del gran numero di bianchi nell’auto, ma l’autista si ferma alla centrale di polizia dove dobbiamo mostrare i passaporti. La scena si ripete poco fuori città, dove addirittura dei militari ci chiedono d’ispezionare i bagagli e sembrano particolarmente sospettosi quando vedono le medicine che ci siamo portati in caso di emergenze. Il fattore linguistico viene ancora una volta in nostro aiuto e quando sentono che Jamie parla wolof si sciolgono in risate cordiali e ci lasciano andare senza problemi.
Il viaggio continua regolare fino a Tambacounda, qui riesco a procurarmi un’altra pannocchia mentre aspettiamo di cambiare auto. Il 7place per Kaolack dimostra la mia teoria secondo la quale, quando si viaggia con questi mezzi si ha una possibilità del 20% che ci siano problemi al veicolo. Questo è il quarto 7place del nostro viaggio e infatti buchiamo una gomma. Per fortuna l’autista sa cosa fare, in venti minuti cambia la ruota e possiamo ripartire.
Alle diciannove siamo finalmente a Kaolack, nel nostro hotel di fiducia. Non sono mai stato un grande appassionato dell’aria condizionata, ma dopo il caldo che abbiamo patito negli ultimi giorni, una notte al fresco è una bella prospettiva. Domani io proseguirò fino a Mbour e Jamie invece andrà a Toubacouta per lavoro.
Si è trattato di un viaggio ben riuscito, con un giusto numero d’imprevisti, una buona dose di avventura ed una gran quantità di esperienze che presto saranno bei ricordi. Il lungo viaggio per arrivare in quella remota regione è stato ripagato da cascate stupende, branchi di scimmie, spaghetti alla senegalese, ponti traballanti, natura incontaminata e contatto con gli abitanti della regione. La sola nota negativa, forse, è la mia nuova dipendenza da pannocchie arrostite.
Francesco Ricapito Ottobre 2017
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