Franchi Gianfranco

L’arte del piano B. Un libro strategico

Pubblicato il: 15 Dicembre 2011

Devo ammettere, ancora una volta e senza particolari obiezioni di sorta per le modalità con cui continua a sorprendermi, che il caro amico Gianfranco Franchi, – che prima d’essere amico, nella fattispecie, si conferma soprattutto intelligente letterato – è riuscito nell’arte, sempre rigenerante, di muovermi a dubbio e riflessione: di scalfirmi un po’, che ce ne è sempre bisogno. Di crearmi anche qualche lieve disturbo e difficoltà, nel leggerlo. Difficoltà non nel comprendere le sue pagine, che anche in questo strano oggetto, apparente divertissement che è L’arte del Piano B, sono chiare e limpide come in precedenti suoi lavori, ma nell’indovinare al primo impatto – le pagine di presentazione del fantomatico piano B – gli approdi dell’operazione che ha brillantemente messo in atto. Sì perché Franchi ha imparato, col tempo e con l’esperienza, l’arte della dissimulazione onesta. Questo libro ne è la prova, quantomeno a parere di chi vi parla; e ciò lo potrà intuire chiunque conosca Franchi, sia di persona che attraverso la lettura dei suoi libri precedenti, sempre molto autobiografici, come nel caso in questione.

C’è un po’ di Disorder, un po’ di Pagano e anche un po’di Monteverde, nell’arte del piano B, e se ciò da un certo punto di vista è inevitabile, appurata la comune matrice, dall’altro è il segno di una coerenza, ideale e letteraria, che si mantiene stabile e che allo stesso tempo evolve per cercare di indagare più da vicino il nostro tempo, la nostra cultura, la nostra società: la nostra Italia così impoverita e precaria eppure bella, sempre e comunque bella, nonostante tutto. Il piano B così come è stato pensato da Franchi, in fin dei conti, ben si addice a chi è nato cresciuto e vissuto in Italia, a chi ha respirato, più o meno convintamente, la sua sterminata cultura: a tutti quegli uomini che dell’ingegno, delle arti alternative, delle strabilianti vie di fuga dall’immobilità e dalla depressione che riserva il quotidiano, hanno fatto la loro ragione di vita, o quanto meno un modo per affrontarla a viso aperto, comunque vada, senza rimorsi né rimpianti. Eppure, come accennavo poco sopra, l’approccio al libro mi ha destabilizzato un po’, e in negativo. Ma non avevo ben compreso, lo confesso, avevo già giudicato senza andare avanti, senza arrivare alla fine. Madornale errore, per qualsiasi uomo del piano B – ammonirebbe lo stesso Franchi. Eh sì, perché quest’uomo del piano B, tutto documentazione e progettazione, tutto riservatezza e agenda preziosa alla mano, sembrava davvero qualcosa di insostenibile, soprattutto per chi vive alla giornata respirando suggestioni certo profonde, letterarie e artistiche quanto volete, ma un po’ sparpagliate qua e là, un po’ per come viene, secondo tempo e necessità. Come è il caso di chi vi parla. Ho capito subito, pertanto, che il piano B era qualcosa che mi era profondamente estraneo.

Scorrendo il libro, però, pagina dopo pagina, quest’uomo del piano B si è progressivamente umanizzato ai miei occhi; capitolo dopo capitolo, ho ritrovato Franchi: di più, ho scoperto un Franchi diverso, ma sempre fedele a se stesso, alla sua letteratura, ai suoi principi. Un dissimulatore onesto, per l’appunto, perché il piano B, da astratto e impraticabile, è divenuto ai miei occhi umano molto umano (non troppo umano, ma molto, che ci sta meglio, in questo caso: Nietzsche mi perdonerà), con tutte le difficoltà e le debolezze del caso, con tutti i dubbi e gli interrogativi salvifici che sono alla base di qualsiasi riuscita strategia. Serviva dissimulare, per l’appunto, ma farlo onestamente, per trasformare un’apparente presa per i fondelli dei numerosi e fastidiosi manuali di auto aiuto in un’opera profonda in cui trovano posto tutti gli “assoluti franchiani” e tutte quelle tematiche tanto care al nostro, sovente proposte sottotraccia, che lo hanno fatto amare ai suoi lettori. Ecco dunque che nel passaggio da I principi del piano B a Le applicazioni del piano B, il libro – fatto salvo l’intenso capitolo VII: L’aldilà del piano B – fa un deciso salto di qualità, e sia la prosa che gli argomenti proposti da Gianfranco Franchi si fanno più intimi, empatici, avvolgenti. Senza tralasciare i toni divertiti, peraltro, che aiutano la dissimulazione onesta, non a caso. Particolarmente efficaci, a questo proposito, sono i capitoli L’arredamento del piano B, in cui Franchi omaggia, a giusta ragione, l’adorabile Second Hand del romanziere americano Michael Zadoorian, Il dvd del piano B, I cani: sognatori del piano B e I gatti: maestri del piano B. I capitoli dedicati ai cani e ai gatti sono davvero sorprendenti – e ve lo dice uno che ha un cane e tre gatti -, per il modo in cui l’autore dimostra di conoscere, quasi spiritualmente, quasi karmicamente, se non considerate il termine fuori luogo, la natura dei nostri amati animali domestici.

E poi c’è l’epilogo, di forte impatto, a riconciliarmi definitivamente con quest’uomo del piano B che, in principio, immaginavo così distante, nel quale Franchi, dopo aver introdotto la possibilità di un piano C laddove il piano B produca stagnazione delle idee e conseguente immobilismo, non dissimula più nulla ma si apre senza alcuna sovrastruttura al lettore significandogli con abile progressione empatica l’intendimento finale, il motivo imprescindibile e fondamentale dell’arte del piano B: “Se c’è una cosa che dobbiamo fare, come prima mancata classe dirigente del paese, è prendere atto che sta a noi avere la fantasia, lo spirito e l’intelligenza per immaginare nuovi paradigmi politici, economici, esistenziali. È tardi per ribellarsi, troppo tardi, è tardi per protestare. Lamentarsi non serve più a niente, consegnarsi mani e piedi alle vecchie ideologie è sinceramente stupido, e tendenzialmente autodistruttivo”. E poi comincia una lunga invettiva su cosa non dovremmo più fare, per essere finalmente uomini nuovi. Uomini a cui serve un piano B: “Serve un piano B per ognuno di noi per correggere tutta una serie di guasti e grossi equivoci e di grosse noie. Serve, e serve che sia improntato non soltanto a fantasia e lucidità, ma a una parola perduta, in questo paese, calpestata e sporcata: onestà”.

Queste parole, da più di qualche uomo del piano A, potrebbero essere tacciate di qualunquismo e probabilmente, un tempo, sarebbero sembrate qualunquiste anche a me. Se non avessi conosciuto l’autore, naturalmente. Perché Franchi è sostanzialmente un puro, da questo punto di vista, nonostante abbia imparato l’arte della dissimulazione (onesta, e necessaria), e L’arte del Piano B va ulteriormente dimostrandolo, nel solco delle opere precedenti e con ancora maggiore compiutezza, nonostante il genere con cui sceglie, una volta ancora, di incrinare le nostre (in)certezze. Questo libro, in fondo, non è altro che il suo personale piano B, o quantomeno ne è il principio. Contravvenendo a una delle regole auree di ogni buon piano B, ce lo svela lo stesso Franchi. Umano molto umano, come vi dicevo.

Federico Magi, dicembre 2011.

Edizione esaminata e brevi note

Gianfranco Franchi, (Trieste, 1978) è uno scrittore italiano. Fondatore di Lankelot, ha pubblicato in narrativa Monteverde (Castelvecchi, 2009), Disorder e Pagano (Il Foglio Letterario, 2006, 2007); in saggistica, Radiohead. A Kid (Arcana, 2009); in poesia, L’inadempienza (Il Foglio Letterario, 2008).
Gianfranco Franchi, “L’arte del Piano B. Un libro strategico”, Piano B Edizioni, Prato, 2011. Copertina e inserti di Maurizio Ceccato.