Il significato del titolo lo troviamo nella parte centrale del libro, quando Reverberi racconta cosa succedeva in un pionieristico studio di registrazione milanese: “Gino [n.d.r.: Paoli] le stava provando tutte: ad esempio, memore del fatto che Gilbert Bécaud cantava con una mano vicino all’orecchio per ascoltarsi meglio, tentò di imitarlo, ma si dimostrò insufficiente. Allora provammo con un secchio in testa: la voce restava concentrata e l’intonazione andava meglio, ma la voce….” (pp.96). Questo è solo uno degli innumerevoli aneddoti, spesso ancor più originali, contenuti nel libro edito dalla Iacobelli: un’autobiografia di Gian Franco Reverberi, musicista, compositore, arrangiatore, talent scout, produttore, volutamente non compiuta, non particolarmente organica, ma costruita grazie a episodi significativi, al racconto di goliardate, speranze, sogni spesso realizzati, che hanno coinvolto l’autore insieme al fratello Gian Piero e a quella che è stata definita “la prima vera generazione cantautorale italiana”. Ci riferiamo agli esponenti della cosiddetta “scuola genovese” e non solo: Gino Paoli, Bruno Lauzi, Fabrizio De Andrè, Luigi Tenco, Giorgio Calabrese. Ed inoltre ad altri nomi, nati e vissuti lontano da Genova, ma che da lì a poco, anche grazie ai buoni uffici di “Ninety” e dell’ambiente milanese, avrebbero fatto fortuna o comunque avrebbero lasciato un’impronta importante nella musica pop italiana: Celentano, Lucio Dalla, Piero Ciampi, Jannacci, Gaber, ad esempio. Poi molti altri jazzisti di fama ed altri cantanti-compositori, alcuni dei quali furono definiti “urlatori” (oggi sarebbero sbrigativamente archiviati come insopportabili neo-melodici): Gian Franco Reverberi ricorda, tanto per capirci, Michele, Nicola Di Bari, I Flippers, Nuova Idea, il veterano Natalino Otto e molti altri. Ricordi tutt’altro che scontati, in qualche modo sorprendenti perché riguardano per lo più vicende, caratteri e aspirazioni di artisti agli esordi, squattrinati, conosciuti da vicino per quello che erano davvero, lontano dai riflettori, dall’immagine che spesso è stata loro affibbiata dai costruttori del mito. Tra l’altro Reverberi ci ha proposto delle pagine, magari poco “letterarie”, ma molto divertite e nelle quali si rivendica un ottimismo costruttivo, di cui abbiamo colto la sincerità. Anche i momenti di puro cabaret non stonano affatto: “Lucio Dalla che una volta, stando nella macchina davanti a noi e togliendosi la maglietta, ha fatto rischiare l’incidente al nostro autista. Si è visto un uomo aumentare spropositatamente di volume assumendo, grazie alla foltezza dei peli, le sembianze del gorilla” (pp.127).
Al di là delle tante “figiuate” raccontate da Reverberi, il valore del libro sta proprio in quello che Maurizio Becker ha efficacemente sintetizzato nella prefazione: “qui ricostruisce un intero mondo, un’epoca, e soprattutto un modo di concepire la vita del musicista e del produttore di musica che oggi ci appaiono lontanissimi e, per chi non ha avuto la fortuna di esserci, quasi incredibili” (pp.7). Da questo punto di vista appare evidente che l’attività di Gian Franco Reverberi, pur con tutte le sue preferenze per i grandi autori, il jazz e le nuove tendenze rock, si sia sempre svolta senza venire condizionata da pregiudizi musicali e generazionali. Così nel capitolo dedicato agli anni della Ricordi: “Uno dei dischi che sono più contento di aver fatto, anche se non è stato un grande successo, è quello che ha voluto fortemente e prodotto per la mia cantante preferita da sempre: Cia Mannucci del Quartetto Cetra. In questo disco lei cantava sola. Il brano era ‘Prima di andarmene’ (1960), di Giorgio Calabrese e mio” (pp.98).
Parole coerenti con uno spirito libero e non condizionato appunto dalle mode le ritroviamo più volte, grazie anche a quanto sostenuto dai suoi amici della “scuola genovese”: Bruno Lauzi sosteneva che non serve essere moderni: bisogna cercare di essere eterni. E non credo sia nemmeno il caso di cercare a tutti i costi, forzatamente e spesso senza convinzione, l’impegno sociale solo perché potrebbe essere un modo per accattivarsi qualche simpatia […] Lo stesso dicasi per certe forzature rivoluzionarie di moti spettacoli rock create solo per stupire. Mister Goldwin della Metro Goldiwin Mayer diceva: Se devi mandare un messaggio fai un telegramma, se vuoi fare un film dai un film” (pp.136). Forse anche in questo senso la figura del musicista Gian Franco Reverberi, proprio come evidenziato da Becker, potrà apparire lontanissima – e quindi tanto più apprezzabile – rispetto gli atteggiamenti patibolari di alcuni artisti contemporanei “impegnati”; e parimenti anche rispetto a taluni personaggi costruiti a tavolino. Su questa evidente involuzione Reverberi non ha inteso insistere più di tanto, fedele ad un libro decisamente pieno di ottimismo e di bei ricordi (a parte la fine drammatica di Tenco); ma nelle pagine finali qualche stoccata su certo andazzo la possiamo giustamente leggere: “Il giorno in cui Giorgio Calabrese mi disse: ‘Prima si parlava con i direttori artistici, gli arrangiatori, gli assistenti musicali…ora si deve parlare con gli assessori’, io aggiunsi: E con i disc jockey” (pp.150).
Edizione esaminata e brevi note
Gian Franco Reverberi, (Genova, 12 dicembre 1934) è un musicista e compositore italiano, fratello di Gian Piero Reverberi ed esponente della Scuola genovese.
Gian Franco Reverberi, “La testa nel secchio. Tenco, Paoli, Lauzi, Ciampi, Dalla. Le mie «figiuate» in compagnia dei cantautori”, Iacobelli (collana “Pop Story”), Pavona di Albano Laziale 2017, pp. 190. Prefazione di Maurizio Becker.
Luca Menichetti. Lankenauta, novembre 2017
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