Marrocco Miky

Nicovid

Pubblicato il: 17 Aprile 2014

“Restai qualche minuto a guardare i faldoni consunti del mio archivio. Poi pescai il primo fascicolo. Buttai giù le compresse con un sorso di caffè. Regolai l’inclinazione del monitor in modo che la luminosità non mi infastidisse troppo. E iniziai a scrivere” (pag. 13). “La fuga”, il primo dei ventisette brevissimi racconti pubblicati da Miky Marrocco, rappresenta una sorta di prologo nel quale appare uno psichiatra ormai prossimo alla follia (lo rivediamo forse nel conclusivo “La cura”), e il farmaco Nicovid. Da qui un susseguirsi di storie allucinate nelle quali lo psichiatra “rivive le nevrosi dei suoi pazienti mischiandole con le proprie fobie”, come leggiamo da subito in quarta di copertina. Il richiamo alle fobie e alle mutazioni a prima vista ci aveva fatto pensare a qualcosa di simile all’apprezzabile “Io sono il mostro” di Gianni Greco, oppure ad altre opere di esordienti a loro agio con poco impegnative pennellate di horror. In realtà quella che viene chiamata “la prosa diretta e visionaria” di Miky Marrocco viene messa al servizio di storie, o forse meglio dire di istantanee, che vivono innanzitutto di impressioni e non di una vera e propria trama. Forse non dovremmo neppure usare il termine di bozzettismo, peraltro non sempre da intendersi negativamente o come sinonimo di superficialità. Parimenti il rivendicato sperimentalismo di “Nicovid” ci è apparso incentrato più che altro sui “piccoli momenti di buio”, come a voler tratteggiare diversi modi di intendere le allucinazioni e la perdita di lucidità. Altro è il linguaggio di Marrocco, con le sue frasi secche, dirette, volutamente antiletterarie, di tono quindi parlato, presenti sia quando la narrazione viene condotta in prima persona, o con la più oggettiva terza persona, oppure ancora quando il frame allucinatorio è tutto un dialogo: qui ci abbiamo visto meno sperimentalismo ed anzi qualcosa di già visto, in linea con quanto suggerisce la comunicazione di massa, sempre meno “letteraria”.

Brevi racconti, che nel presentarsi come “chimici in una città psicotica e senza salvezza” (in realtà la geografia del delirio è più ampia, tra Milano e la provincia), suggeriscono qualcosa di “acido”, proprio come il farmaco Nicovid. Da qui l’impressione che Marrocco, scrittore ma anche e soprattutto musicista, abbia concepito queste pennellate di nevrosi e follia non disgiunte da un sottofondo musicale, appunto di “musica acida”. Per averne piena conferma dovremmo partecipare ad una reading-concerto di Nicovid, concepite probabilmente non soltanto per fini promozionali ma proprio per completare al meglio un’opera che viene naturale associare agli intenti di quella che un tempo era la musica psichedelica; e che non a caso richiamava gli effetti derivanti da alcune sostanze allucinogene. Giusta o sbagliata che sia l’idea di un Nicovid quale moderno LSD c’è tutta.

In questo modo probabilmente sarà più facile comprendere l’intento di Marrocco, sia scrittore che musicista: quello di raccontare “momenti di buio”, ovvero declinazioni di nevrosi e follia in una quotidianità cupa che ti lascia molto poco di intelligibile su quanto è accaduto e potrà accadere. Ventisette storie, nemmeno tutte “micro”, chiaramente diseguali tra deliri veri e propri ed esercizi di più esplicita crudeltà, tra un più enigmatico e brevissimo “Gabbiani” e pagine come “Sincronicità” e “Un buon consiglio” che, allucinate quanto si vuole, mostrano contenuti quasi da noir e più frequentemente grotteschi: “tu cerca un prodotto che si chiama Topirax, è un rimedio per quei mostriciattoli che infestano le cantine e, talvolta, le nostre anime. Devi soltanto versarne mezzo bicchiere nella bottiglia di gin di tuo marito, al resto provvederà il Signore” (pag. 77). Intenti ironici, a volte riusciti, a volte meno evidenti, che in Marrocco si accompagnano alle tante rappresentazioni delle psicosi indotte o svelate grazie al Nicovid. E se, con “La fuga”, la pasticca di acido introduceva definitivamente lo psichiatra e il lettore in questo mondo di pazzi nevrotici e allucinati, il finale di “La cura” chiude il cerchio con coerente cupezza proprio perché nel delirare in un presumibile manicomio non si scorge alcuna traccia di cura.

 

Edizione esaminata e brevi note

Miky Marrocco, scrittore e musicista (attualmente impegnato nel progetto “Controluce” con l’album “Aprile” pubblicato nel 2009 e con altre collaborazioni), ha pubblicato nel 2009 il romanzo “L’undicesimo piano” a cui ha fatto seguito, due anni dopo, la raccolta di racconti “Glory days”.

Miky Marrocco, “Nicovid. Piccoli momenti di buio”, Edizioni del Faro (Collana Neverlab libri), Trento 2014, pag. 120

Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2014