Nel 2017 la Sardegna ha dato alle stampe due libri che è bene vedere di procurarsi prima che, come spesso accade, la prepotente macchina editoriale possa sommergerci di nuovi tomi da acquistare, sfogliare, cestinare o sbolognare a qualche sfortunato. E precisamente parlo di due testi di critica (che brutta parola!) o, se vogliamo, di analisi della letteratura sarda. Eh già, quella fortunata letteratura sarda che in questi ultimi anni può vantare una certa notorietà. Il primo libro lo trovate qui, è un testo sulla figura e la poetica di Salvatore Mannuzzu, il secondo è invece l’esordio di Alessandro Marongiu, critico letterario della Nuova Sardegna e agente procacciatore di talenti per svariate case editrici con la sua Milkbar. Marongiu getta sul tavolo una questione decisamente interessante e, soprattutto, la gestisce in modo ancor più stimolante. Goffredo Fofi nel 2007 ha dedicato un intero numero de “Lo straniero” alla nouvelle vague sarda, con contributi di molti scrittori isolani – qui mi espongo con sfacciato campanilismo e non nascondo che il pezzo di Alberto Capitta su Sassari e i detenuti torturati nel carcere cittadino è una perla rara – e il quadro che si delineava, che si estendeva alle arti tutte, era a dir poco lussureggiante. Poi però oggi spunta fuori Marongiu. E questo signore ha tutte le intenzioni di rovinare la festa e spingere i neuroni a lavorare su un piano diverso, a passare cioè dall’entusiasmo a un approccio raziocinante. E finisce per domandarsi: ma esiste davvero questa nouvelle vague sarda? Davvero la Sardegna negli ultimi decenni ha sfornato una rinascenza di talenti in un movimento che possa definirsi unitario? In una letteratura sarda compatta?
Intanto Alessandro, in una introduzione che è già manifesto letterario, spiega senza tema di smentita perché è giusto parlare di Letteratura sarda: non si tratta di provincialismo (qualcuno lo chiamerebbe perfino nazionalismo) ma il risultato di un processo analitico che è difficile non condividere. E si spinge oltre, nel delineare due percorsi che si distinguono per l’adozione della lingua sarda o meno. Ecco dunque due letterature sarde, quella in limba e quella in italiano. Si potrebbe malignamente asserire che solo la prima sia autentica perché scritta “da sardi per sardi”, ma l’isola ha tra le sue peculiarità quella di possedere una varietà linguistica che scorre mutevole quasi da città a città, rendendo talvolta incomprensibile il sardo di un individuo col sardo di una comunità vicina. Ecco perché il letterato sardo che scrive in italiano non è una persona che opera in una lingua non autenticamente propria. Appare chiaro come in una terra come la Sardegna sia facile perdersi nella complessità della sua struttura culturale e linguistica. Fa bene Marongiu a delineare queste due sottocategorie che fanno non poco ordine in una selva di testi che, a valanga, ogni anno vengono pubblicati incessantemente. Sì perché la Sardegna ha anche questa particolarità: un numero sterminato di scrittori. E qui parte la seconda stoccata: come si può parlare di un movimento unitario? Occhio al titolo: “Scrittori sardi del terzo millennio”: sono loro i protagonisti di questo discorso, non “un” movimento; sono loro, questi esseri scriventi che si accalcano per le strade col proprio libro fra le braccia (mai l’opera prima, non fanno in tempo a presentarne uno che già pensano al terzo) in cerca famelica di lettori, i quali, terrorizzati, li fissano dietro alle imposte nelle loro case buie, avvolti nelle tende, timorosi di essere visti. In questo desolante panorama Marongiu scova dei tesori e, savio, enumera i valorosi che possono degnamente annoverarsi tra gli scrittori principali. Il quadro che emerge ci mostra singole anime che raccontano mondi differenti a scapito dell’immagine di una terra che si rivela sempre diversa, sempre rinnovata, sempre irriconoscibile nelle parole dell’altro. Se la Sardegna di Todde non è la Sardegna di Niffoi come poter parlare di nouvelle vague? E su che base generare delle gerarchie di qualità? Qui sta la grande intuizione di Alessandro Marongiu che, forse a scapito dei romantici, sceglie di parlare nel suo libro solo di alcuni autori. Con che criterio? Semplice, nel testo di Alessandro ci sono coloro che non possono non esserci (diciamolo una volta per tutte: Alessandro de Roma) e coloro che gli è toccato di recensire in dieci anni di attività (2007-2017) per la Nuova Sardegna, su segnalazione del giornale e su fortuite coincidenze astrologiche. È un buon compromesso per avere un valido esempio di quella letteratura sarda contemporanea e della sua frammentazione difficilmente risanabile, se non, come dice lo stesso Marongiu in quarta di copertina “nella mente di fantasiosi addetti al marketing o di qualcuno in vena di autoesaltazione”. I nomi, le recensioni, le schede, le lascio al lettore. E concludo dicendo che il grande merito di Marongiu sta tutto qui: operare con intelligenza, con la giusta dose di trasporto per dare una mano a chi vuole accostarsi a questo universo multiforme e sfaccettato in continua evoluzione.
Edizione esaminata e brevi note
Alessandro Marongiu (Sassari, 1978) è critico e agente letterario. Ha conseguito il titolo di Dottore di Ricerca in Teoria e storia delle culture e delle letterature comparate presso l’Università degli Studi di Sassari, la stessa presso cui è stato ricercatore tra il 2014 e il 2015. In qualità di critico letterario collabora con “Nuovi Argomenti”, “La Nuova Sardegna”, “Succedeoggi”. Con la sua agenzia Milkbar organizza corsi sul mondo editoriale e laboratori di critica letteraria e di editing.
Alessandro Marongiu, “Scrittori sardi del terzo millennio”, Milano Udine, Mimesis, 2017
Luca Martello, dicembre 2017.
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