Quando mi è stato proposto questo libro pensavo, a prima vista, che si trattasse di un pamplhet in difesa del sacerdozio femminile, ma non immaginavo che venisse messo in discussione il sacerdozio stesso come istituzione e di conseguenza la Chiesa nela sua organizzazione e nel suo ruolo.
Essendo poi un testo scritto da un sacerdote ultraottantenne mi ha stupito ancora di più. Si tratta di un pamplhet colto e dettagliato, in cui si argomenta in modo molto serrato, ribattendo punto per punto sugli argomenti in discussione.
Con l’atteggiamento del “chierichetto impertinente che esce dalla chiesa, pianta la sua tenda sulla piazza e scruta la direzione del vento della storia” Mencucci afferma – per diretta esperienza – di aver constatato come i discorsi del clero siano spesso estranei e privi di interesse per gli uomini contemporanei. Semplicemente si muovono in un’altra dimensione, che non viene più compresa dagli uomini moderni.
Non è il messaggio evangelico a essere sbagliato o inattuale, sono i modi, il linguaggio e gli strumenti usati per comunicarlo a risultare obsoleti e ormai poco significativi.
Detto questo scorriamo rapidamente l’indice del libro, che è articolato in sei capitoli: L’esclusione dal sacerdozio, La dimensione storica, Il sacerdozio, L’ambiguità del sacro, Dal sacro all’umano, Intanto le donne.
Come si intuisce, la questione non è solo quella del sacerdozio femminile.
La donna è sempre stata esclusa da questo ruolo, poiché ritenuta inferiore, impura e peccaminosa in tutto il suo essere. Inoltre, si afferma, Gesù non ha mai chiamato donne al sacerdozio (ma questo non significa che le ritenesse indegne, semplicemente la società del suo tempo non era pronta per un fatto del genere e, come si sa, Dio si è sempre servito del linguaggio umano, con i suoi limiti, per intervenire nella storia). Ma Gesù ha “veramente” chiamato uomini per questo ruolo? Egli non ha mai usato il termine sacerdote, ha scelto dodici apostoli, “inviati” (questo significa apostolo) ad annunciare la buona novella.
“L’apostolo è «l’inviato» ad annunciare una salvezza già compiuta una volta per sempre, sovrabbondante per tutta l’umanità di tutti i tempi, senza bisogno di riti o altro, basta accoglierla e fondare su di essa l’orientamento della vita. Il sacerdote «sta di fronte a Dio», compie sacrifici e intercede per il popolo, custodisce il tempio ed è gestore del sacro, lui stesso è sacro e «messo da parte»”.
L’apostolo si muove in un contesto di dialogo e di relazione d’amore, Dio ama e cerca l’uomo per donargli la salvezza, ma preserva la sua libertà e quindi l’uomo è libero di rifiutare.
La sacerdotalizzazione della vita cristiana si verifica solo nel III secolo, con l’aiuto della patristica (Tertulliano, Cipriano, Origene, Ippolito). Col tempo si crea una casta, quella sacerdotale, preposta al sacro e alla mediazione tra i fedeli e Dio.
Il modello di Chiesa che ne scaturisce è molto gerarchico e tende a ritenersi immutabile nei suoi riti e nella loro ripetizione. Si crea uno strumento di potere, che ovviamente non è nello stile di Cristo e che il vento della storia può corrodere. Il sacro oggettivato viene rifiutato dall’uomo moderno, che non ne ha bisogno e vuole pensare con la sua testa, ciò di cui invece ha bisogno è un senso per la sua vita, per il suo operare, per il suo soffrire.
“Il cristianesimo non è una religione, ma è fede nella persona di Cristo e nella sua Parola. La religione comporta una struttura intangibile articolata in gerarchia autoritaria, norme comportamentali giuridiche e morali non negoziabili, prodecure rituali esigite da Dio. L’individuo che entra in questo orizzonte non ha nulla da decidere, deve solo eseguire e credere che la storia passi su queste strutture senza minimamente scalfirle, perché sono al di sopra del tempo, eterne. La fede in Cristo invece è dialogo con quel Dio che si è calato nelle nostre vicende umane cariche di miseria e di violenza e si esprime nel segno dei tempi, dialogo che è continua manifestazione dell’inesauribile mistero.”
In questo contesto il sacerdote come colui che insegna precetti o impone divieti non ha senso, così come non ne ha l’eccesso di attivismo, che lo rende una specie di operatore sociale, che rischia di perdere il fine ultimo di tutto il suo operare.
Don Vittorio su questi argomenti parla anche della sua esperienza personale, li ha vissuti dall’interno ed è quindi interessante cogliere le sue osservazioni. Parla chiaro e molte sue osservazioni riflettono proprio la realtà che spesso si vive nelle parrocchie e nella Chiesa. Mi domando quali reazioni abbia suscitato tra i suoi confratelli, molti dei quali si vedono messi in discussione.
A questo punto, la donna, la grande esclusa, potrebbe avere un ruolo importante, perché per molti secoli è stata la responsabile del primo insegnamento religioso dei figli e il motore trainante per la frequenza alla messa domenicale, pratica ormai in clamoroso declino.
Ma le donne hanno ancora voglia di avere un ruolo determinante nella Chiesa oppure ormai se ne stanno andando tutte? Un paragrafo è proprio intitolato “La fuga delle quarantenni” e già il titolo è emblematico.
Si spera che non sia troppo tardi, il diaconato alle donne (che fine hanno fatto le diaconesse nominate da san Paolo?) sarebbe una buona idea, purché non diventino una brutta copia dei preti o una sorta di sacrestani.
Mencucci lancia alcune proposte: si parla di un più ampio ruolo dei laici, di “probi viri” (ne parlava già il cardinal Martini), laici sposati, magari in pensione e con i figli sistemati, che possono organizzare, insieme alle mogli, la parrocchia laddove il prete non c’è più, si parla di autonomie locali per le diocesi, in modo che la Chiesa sia meno rigida e centralizzata.
Papa Francesco ha compiuto dei passi verso il cambiamento, ma la strada è ancora lunga.
“È necessario passare da un’etica di obbedienza ai precetti, presentati a nome di Dio, ma gestiti dalla casta clericale, a una vita morale orientata da un progetto di sé che dà senso alla vita e si determina volta per volta nelle concrete circostanze con libera decisione e autonomo discernimento”.
Ben vengano dei cristiani adulti, responsabili delle proprie scelte e ben vengano, in una Chiesa rinnovata, le donne, che con il loro coraggio e la loro fantasia saprebbero certamente portarla verso nuovi orizzonti.
C’è da augurarsi che voci critiche e intelligenti come quella di don Vittorio vengano ascoltate.
Edizione esaminata e brevi note
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Vittorio Mencucci, presbitero cattolico dal 1961. Laureato in Filosofia e Teologia, dopo anni di insegnamento presso vari Licei statali, ha diretto il reparto di filosofia della “Università per gli anziani” organizzata dal Comune di Senigallia, ha fondato e diretto il gruppo “Amici della Filosofia”, è stato presidente della Scuola di Pace “Vincenzo Buccelletti” ed è membro effettivo dell’Accademia Marchiagiana di Scienze, Lettere e Arti. Attualmente è parroco nella chiesa di San Giovanni Battista di Scapezzano di Senigallia (Ancona).
Vittorio Mencucci, Donna sacerdote? Ma con quale Chiesa?, Trapani, edizioni Il Pozzo di Giacobbe 2017.
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