Ho pescato questo libricino da uno scatolone, in fondo allo stand della Sellerio a “Più libri più liberi” nel 2011. Non sapevo neppure che Leonardo Sciascia lo avesse scritto. Leggo il risvolto di copertina: “Questo racconto-inchiesta è stato pubblicato nel 1971, ha avuto dalla critica – non soltanto italiana – un vasto ed entusiastico consenso, è stato ristampato nel 1977: ma resta, tra i libri di Sciascia, il meno conosciuto“.
“Atti relativi alla morte di Raymond Roussel”, il titolo dice praticamente tutto. Sciascia si limita, per modo di dire, a raccogliere e lasciarci leggere, senza commentare più di tanto, gli atti ufficiali relativi alla morte di Raymond Roussel, un cittadino francese trovato cadavere il 13 luglio 1933, A. XI E.F., presso la stanza n. 224 dell’Hotel des Palmes a Palermo. A distanza di decenni lo scrittore siciliano recupera i fascicoli di una morte che venne subito descritta come accidentale: “Il Roussel, a quanto si è appreso, era ammalato al cervello e pigliava dei medicinali per stordirsi“.
Dagli incartamenti si comprende che Raymond Roussel è uno scrittore la cui fama è descritta in modo contraddittorio. Si trova a Palermo perché ama le temperature miti (a luglio?) del luogo insieme ad una accompagnatrice, una signora di 53 anni. I facchini dell’albergo riconoscono il cadavere, il medico, dopo aver visionato il corpo, ritiene che l’uomo sia deceduto per morte naturale “probabilmente causata da intossicazione da narcotici e sonniferi rinvenuti in grande quantità nella stanza“. Risultato: niente autopsia.
Gli atti tracciano il lavoro degli inquirenti tra omissioni, cancellature, correzioni postume e trascuratezze varie. Tanto che Raymond diviene misteriosamente mutato in Armand mentre il nome dell’accompagnatrice, la signora Fredez, diventa Dufrène poi Freder e torna a divenire nuovamente Fredez in atti successivi. Tra testimonianze e riscontri il caso della morte di Roussel sembra risolversi da sé. Nessuno, a parte Sciascia e a distanza di quasi 40 anni, sembra notare le manifeste sbavature, i personaggi del tutto ignorati (l’autista, ad esempio) e le evidenze trascurate e le incongruenze di varia entità. Lo scrittore pone alla nostra attenzione una sequela di documenti, di parole e di fatti che non fanno che generare perplessità in noi lettori. E appare davvero piuttosto insolito che le autorità, al tempo, abbiano sorvolato su così tanti elementi.
Il 15 luglio, esattamente due giorni dopo la morte di Raymond Roussel, a Palazzo Venezia, l’Italia firmava il “patto a quattro” e la Francia era ritenuta ancora “la sorella latina”. I magistrati, tornando agli atti dell’inchiesta sulla morte di Roussel, sembrano essersi accontentati di quanto appariva evidente, senza sospettare di niente e di nessuno. L’intervento del console francese, richiesto dalla signora Fredez, ha avuto il suo peso. E poi, scrive Sciascia: “oltre tutti questi elementi, senza dubbio concorse la regola fascista, cui polizia e magistratura alacremente sottostavano, di mettere sotto silenzio tutti quei casi in cui il «taedium vitae» assurgesse a tragici esiti“. L’intuizione sembra corretta: un suicidio, seppur apparentemente generato in maniera indiretta, poteva dare l’impressione, in un periodo in cui l’orgoglio fascista era al culmine, “dell’impossibilità di vivere sotto la tirannide“. Una evenienza intollerabile quindi impossibile da verificarsi concretamente. Il caso Roussel è chiuso nell’arco di una mezza giornata. La camera 224 dell’Hotel des Palmes viene liberata dai sigilli il 21 luglio e il duca d’Elchingen, nipote di Raymon, viene a sapere e si convince che suo zio sia morto suicida, tagliandosi le vene perché rimasto senza soldi. Una verità “derivata” da un circuito di comunicazioni mai verificate e prese per buone.
Nell’ultimissima parte del racconto-inchiesta, Sciascia palesa i punti oscuri della vicenda riflettendo, con una punta di amarezza e la sua onnipresente ironia: “I fatti della vita sempre diventano più complessi ed oscuri, più ambigui ed equivoci, cioè quali veramente sono, quando li si scrive – cioè quando da «atti relativi» diventano, per così dire, «atti assoluti»“.
Cinquanta pagine da leggere in un’ora appena. Cinquanta pagine attraverso le quali Leonardo Sciascia si sofferma, ancora un volta, su un episodio di “banale” cronaca ricorrendo, al solito, ad una scrittura acuta e raffinata. Con la passione di un’analisi tagliente e critica, quella di chi non si accontenta del già dato. E scava, semplicemente raccogliendo i dati messi agli atti, in una verità “relativa” assurta a verità “assoluta” per l’atteggiamento opportunistico di chi avrebbe dovuto operare per scovare un reo e ha preferito accontentarsi delle apparenze, senza vedere o capire oltre. Un principio nemmeno tanto stranamente applicato in ogni tempo e con svariate sfumature.
Edizione esaminata e brevi note
Leonardo Sciascia nasce a Racalmuto, provincia di Agrigento, nel 1921. La sua prima opera, Favole della dittatura, risale al 1950. L’attività letteraria di Sciascia tocca vari ambiti, dalla narrativa con opere come Le parrocchie di Regalpetra (1956), Gli zii di Sicilia (1958), Il giorno della civetta (1961), Il consiglio d’Egitto (1963), A ciascuno il suo (1966), Il contesto (1971), Todo modo (1974), La scomparsa di Majorana (1975), Candido (1977); alla saggistica: La corda pazza (1970), Nero su nero (1979); alle opere di denuncia sociale ed episodi veri di cronaca nera: Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (1971), I pugnalatori (1976) e L’affaire Moro (1978). Sciascia, nel 1979, accetta di candidarsi al Parlamento Europeo e alla Camera dei Deputati per il Partito Radicale. Riesce in entrambi gli ambiti, ma sceglie l’incarico di deputato, attività che porta avanti fino al 1983 occupandosi in maniera costante dei lavori relativi alla Commissione d’Inchiesta sul rapimento Moro. Le ultime opere di Leonardo Sciascia sono A futura memoria (pubblicato postumo) e Fatti diversi di storia letteraria e civile (1989). Lo scrittore muore a Palermo il 20 novembre del 1989. È sepolto a Racalmuto.
Leonardo Sciascia, “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel“, Sellerio, Palermo, 2009.
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