Non poteva che essere questo il titolo dell’autobiografia di Bruce Springsteen, “nato per correre”. Scrivere un’autobiografia vuol dire che si pensa che la storia della propria vita possa interessare a qualcuno, un gesto abbastanza autoreferenziale che secondo me dovrebbe essere riservato solo a persone ormai avanti con gli anni o che sanno di essere vicine alla fine. Mi è capitato spesso di vedere in libreria autobiografie di giovani star della musica o addirittura di nuovi influencer poco più che ventenni, cosa mai avranno di così interessante da raccontare? Come puoi capire qualcosa della tua vita se la maggior parte di questa ce l’hai ancora davanti? Quale bilancio puoi fare? Quale messaggio puoi mandare?
Il “boss” di anni ne ha ormai più di sessanta e ha tutti i diritti di pensare che la sua vita possa interessare a qualcuno: si parte dai suoi primi ricordi ad Asbury Park, sulla costa del New Jersey e si arriva fino al giorno d’oggi. Nel mezzo una vita dove l’unica certezza è stata l’amore per la musica. Lo stile di queste pagine è lo stesso delle sue canzoni, è da sempre che Springsteen si racconta e sa bene come usare le parole, stavolta però lo fa in prosa e non in musica e non era scontato che ci riuscisse così bene.
Il libro si divide in tre parti, a loro volta divise in capitoli che per la maggior parte portano i titoli dei suoi album, delle sue canzoni o di altri grandi classici del rock. In mezzo non mancano citazioni di Bob Dylan, Woody Guthrie, Roy Orbison, James Brown e tanti altri che hanno influenzato la sua musica e l’hanno ispirato. Alla fine del libro ci sono una serie di fotografie scelte proprio da Springsteen e che catturano alcuni momenti della sua vita, una bella raccolta di scatti famosi e altri più personali.
In certi passaggi sembra quasi di leggere un romanzo della beat generation: giovani bianchi che corrono per l’America a bordo di vecchie auto dovendo scontrarsi con una società che ancora non accetta i capelloni, i fricchettoni e gli alternativi e che arrivano spesso in California per partecipare a feste allucinate e cercare di diventare famosi. I personaggi che lo affiancano sono amici, colleghi della E-Street Band, membri di quello che ancora oggi è il suo staff, personalità spesso forti e che descrive sempre con grande affetto. Naturalmente non mancano le donne, la prima è sua madre, per cui nutre un profondo affetto e poi due su tutte, la prima moglie Julianne Philips e la seconda, Patti Scialfa.
Springsteen non nasconde le sue numerose conquiste amorose degli anni giovanili ma non fa nomi, non se ne vanta e anzi prende coscienza dei suoi profondi problemi nello stabilire relazioni serie e durature e spesso dice di essersi meritato le numerose delusioni che ha ricevuto. Sesso, droga e rock’n’roll, Springsteen fa il pieno del primo e del terzo ma per quanto riguarda le droghe è tutta un’altra storia: la prima sbronza se la prende già più che ventenne, i ricordi d’infanzia sugli effetti dell’alcool su suo padre sono troppo dolorosi e quanto alle altre droghe, da maniaco del controllo quale dice di essere non se ne sente attratto, la sua droga preferita è il lavoro, la musica, la scrittura di canzoni e l’ossessiva volontà di offrire al suo pubblico il massimo e di lasciare tutto sul palco.
Ciò che in questo libro forse sconcerterà di più i suoi fan è l’ammissione di avere problemi di depressione: il muscoloso, autoritario, sicuro, granitico, boss della musica lotta da decenni con l’ansia e non lesina dettagli sui suoi terapeuti e sugli psicofarmaci che lo aiutano a vivere normalmente. La sua ossessione per il lavoro, il perfezionismo, la mania del controllo, il ruolo di primus inter pares che ha stabilito con la E-Street Band, sono il suo punto forte, quello che lo ha reso famoso e che ancora gli permette di offrire concerti di più di tre ore senza sbavature ed errori, ma sono anche la sua debolezza: più volte parla della depressione “post-tour” che lo colpisce ogni volta che torna a casa dopo aver suonato per mesi in giro per il globo e spesso narra dei suoi crolli nervosi e delle tecniche che ha sviluppato per arginarli. Springsteen parla quasi come un drogato, non può stare senza il suo lavoro, questo lo rende uno dei migliori, ma è un circolo vizioso dalla quale gli sarà difficile uscire.
Commoventi sono le parole dedicate ai suoi compagni della E-Street Band, in particolare a Danny Federici e Clarence Clemons, morti qualche anno fa per delle malattie e pure i paragrafi dedicati alla moglie, Patti Scialfa. Molte sono pure le parole riguardanti il rapporto con suo padre, difficile, conflittuale, fortunatamente non violento ma vissuto male da entrambe le parti, un muro contro muro dove nessuno dei due è mai riuscito a capire come comportarsi.
Born To Run è soprattutto una bella storia e il fatto che sia vera la rende ancor più appassionante. Vale la pena leggerla per sapere come sia nata una delle rockstar più famose della storia e pure per avere un punto di vista interessante sulle vicende dell’America degli ultimi decenni da una persona che con le sue canzoni ha contribuito a formarne l’opinione pubblica. Lo consiglio ovviamente ai fan di Bruce Springsteen ma anche a qualsiasi musicista e a chi ha voglia di un romanzo “on the road” con una bella colonna sonora rock.
Francesco Ricapito – gennaio 2018
Edizione esaminata e brevi note
Bruce Springsteen (Long Branch, New Jersey, 1949) è stato ammesso alla Rock and Roll Hall of Fame, alla Songwriters Hall of Fame e alla New Jersey Hall of Fame. Vincitore di venti Grammy Awards e di un Oscar, ha ricevuto il Kennedy Center Honors. Vive nel New Jersey con la sua famiglia.
Bruce Springsteen, Born To Run, traduzione di Michele Piumini, Trento, Mondadori, 2016.
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